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martedì 26 giugno 2018

MORIRE DI LINFOMA A TRENT’ANNI



Poco fa sulla soglia della mia cucina ho scorto una cavalletta.
Un animale bellissimo di un colore verde luminoso. Giaceva su un fianco immobile. Era morta, come tanti insetti che non si vedono più.

Ho alzato lo sguardo verso il cielo. Oggi è una giornata confortata da una fresca brezza che fa ondeggiare la cima color ruggine del pruno nel prato del mio vicino. Il cielo è trasparente, di un azzurro pulito, come raramente si riesce a vedere nei giorni di estate. Cumuli bianchissimi si innalzano verso occidente.

 Nell’ immenso spazio che si spalanca verso Calvarina e più in là verso le Piccole Dolomiti, si avverte una strana sensazione di vuoto, una mancanza che non sai cosa sia, uno sgomento che ti cresce dentro e di cui non percepisci l’origine, una inquietudine silenziosa, una assenza di cui non avverti la causa. Pian piano comici a capirne la ragione.

Non una rondine solca quell’oceano azzurro. Quel cielo che fino a qualche anno fa pullulava di uccelli è morto; avvelenato come la terra e l’acqua. Non si sentono più i garriti che riempivano l’aria.

Più in là, sulle colline che si innalzano da Montorso, qualcuno, bardato con guanti, casco, occhiali e un mantello di plastica guida un piccolo trattore lungo i filari delle viti, senti il compressore che martella spargendo bianchi aerosol di veleni.

Lungo le tracce del suo passaggio troverai tra qualche ora piccoli uccelli morti, qualche talpa, animaletti fermi in mezzo alle zolle sulle quali ha cessato di crescere un’erba color arancione. 

La cosa più sconvolgente è che nessuno, nel lucido schermo dello smartphone nel quale si riflette costantemente l’immagine di una umanità distratta, ha percepito la morte della natura. I suoi gemiti non raggiungono l’orecchio delle persone, troppo prese dal chiacchierio delle chat.

 Nessuno più guarda il cielo. Nessuno si è accorto che la primavera non porta più le rondini. E, la stessa primavera, dov’è? Segna solo l’inizio della stagione in cui si deve fuggire dalla campagna.

Un tempo, da ragazzo, in Sicilia, vedevo i contadini seminare la vita nei solchi scavati con le zappe e con l’aratro a chiodo trainato da un mulo. Una fatica millenaria che affidava alla terra una attesa di messi dorate. Adesso quei contadini non ci sono più.





Partirono, giovani pieni di sconforto, coraggio e la speranza di una nuova vita più umana e più giusta verso le fabbriche del Nord, accolti, per necessità, da genti ostili.
Lasciarono nel paese le loro donne, i vecchi e i bambini a rincorrersi nei carruggi, inseguendo una palla di pezza. Trovarono tra ingranaggi, frese, torni odorosi di petrolio quel pane che la loro fatica stentava a guadagnare in una terra avara, dominata da feudatari anacronistici sopravvissuti al medioevo.


Ora anche quel lavoro sta agonizzando, tradito da chi avrebbe dovuto proteggerlo, dall’avidità di gente sempre più dimentica delle proprie radici.
Dove sono finite le serate d’estate sull’aia, le fisarmoniche che riempivano improvvisamente la sera di cascate di note come fuochi d’artificio, gli orchi e le anguane e i filò nelle stalle scaldate dal doppio fiato delle mucche?


Migrazioni si appalesano per figli e nipoti, inutilmente arricchitisi di saperi che chi governa una economia malata e disumanizzata non sa utilizzare.

La terra, la madre, fu profanata. Tonnellate di rifiuti velenosi giacciono nelle sue viscere. La terra muore lentamente nella quotidiana distrazione di una assuefazione al peggio.

Ora anche gli uomini cominciano a morire, come muoiono le api che non vengono più a succhiare il polline nei fiori del mio piccolo giardino.



La loro malattia viene vissuta come un fatto privato, una sventura personale, qualcosa che non accadrà mai a me o alla mia famiglia. Ma è veramente così?

Tre casi di linfoma non Hodgkin, un mieloma, due tumori intestinali e un tumore al cervello. Tre ricoveri in ospedale per vertigini e perdita di conoscenza. Tutto nel raggio di 100 metri.

Siamo in via Borgovilla, a Cappella Maggiore, uno dei 15 comuni dell’alto Trevigiano che fanno parte dell’area della denominazione Prosecco Docg.

A farla da padrone qui è il vitigno Glera, da cui si ottiene l’uva bianca Prosecco. 

Una zona ricoperta da vigneti, e, da maggio a settembre, avvolta da nuvole di pesticidi.

I cittadini sono spaventati e puntano il dito proprio contro l’uso dei fitofarmaci:
 "I linfomi non sono contagiosi: come possono esserci tanti casi di malattia e di ricoveri in una sola strada? Sono davvero una coincidenza?".

A raccontarci la storia di una via di campagna dove "non si respira più" è la famiglia G****. 

La figlia Al***, 35 anni, due bimbe piccole, sta lottando contro il linfoma non Hodgkin. La stessa malattia che si è portata via un vicino e che ha colpito la signora R****, che vive a pochi metri da Al***. La madre della ragazza è finita al Pronto Soccorso. Lo stesso è accaduto ad altri due vicini di casa. Al marito di V***, è stato invece riscontrato un enfisema polmonare.”



Palazzo ferro fini Venezia sede della Regione
Queste le cronache di un Veneto tradito da chi avrebbe dovuto governarlo guidandolo verso un nuovo benessere.

Non stiamo parlando di una maledizione divina né di una catastrofe naturale.




Il male che colpisce ignari cittadini è umano, governato dall’alto, da uomini indegni di rappresentare una popolazione che ha loro consegnato incautamente le leve del comando, uomini cinici che proteggono e garantiscono gli avvelenatori, siano questi una multinazionale che scarica i suoi rifiuti nelle vene della terra o imprenditori che hanno scoperto nuove miniere d’oro in un vino sempre più contaminato da una chimica che divora la terra e gli uomini.

Come potete dormire sonni tranquilli la notte? Non sentite il pianto dei bambini accanto all’agonia delle madri? Come fate a guardarvi allo specchio al mattino e raccontare in giro, in interviste servili verso altri poteri molto più grandi di voi, che non ci sono prove certe sulla pericolosità dei PFAS?

State forse aspettando che venga anche a voi un cancro ai testicoli o al rene per convincervi, nelle nebbie dell’Alzheimer collettivo che avanza, che questa acqua che fate bere alla gente e che questo cibo che immettete nei mercati portano sofferenza e morte nelle case?


Quando vi riunite nelle vostre lugubri cene che irridono, di fatto, alla sofferenza altrui, mangiate forse spaghetti alle vongole della laguna e crostacei dell’Adriatico?

Avete mai pensato ai bambini?
Sapete che i tumori colpiscono l’infanzia in età sempre più precoce?






C’è una voragine che ci separa da questi uomini di potere, piccoli, mediocri e arroganti:

è la nostra consapevolezza di essere parte di un intero universo.








Noi sappiamo di essere la terra ferita e i mari agonizzanti tra plastiche e metalli pesanti che scendono a valle trasportati da fiumi trasformati in fogne.






Noi sappiamo di essere il cielo e la speranza che le rondini ritornino in un mondo liberato da una immondizia che è, prima di tutto, morale.

Giovanni Fazio




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