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domenica 11 dicembre 2022

DIRITTI UMANI NEGATI ANCHE DA NOI

 


Nell’era del dominio del mercato i “Diritti umani” passano in secondo piano di fronte alle “necessità “ della produzione e delle borse.

 Le istituzioni usano questa espressione ipocritamente, sapendo quanto poco siano rispettati. E’ sufficiente che ognuno si interroghi quanto tempo è stato costretto ad aspettare una visita specialistica o particolari esami per capire che la Salute appartiene ai diritti umani cancellati proprio da chi “amministra”, meglio usare il termine “Domina”,  la nostra regione.

Non c’è bisogno di andare a veder quello che succede negli altri continenti  per elencare i diritti negati.

A casa nostra nessuno di noi ha il diritto di sapere cosa c’è nel cibo che acquista.

Ingurgitiamo veleni, PFAS, insetticidi, diserbanti e quant’altro senza che una etichetta ci avvisi della presenza di queste sostanze chimiche che entrano nei nostri organismi determinando malattie, tumori e alterando il nostro sistema riproduttivo.

Non c’è alcuna differenza tra noi e chi sbarca o muore nel mediterraneo in cerca di una terra dove sia possibile lavorare. Semplicemente non abbiamo coscienza della nostra “traversata” altrettanto letale. Il veleno presente nei cibi è figlio della stessa cultura neoliberista, quella che aggredisce la salute di noi tutti, bene primario indispensabile. Abbracciamo i nostri figli e inostri nipotini con la coscienza che non stiamo facendo niente per salvarli.

Giovanni Fazio


UNA ETICHETTA, STAMPATA SULLE BOTTIGLIE, SU COSA CONTIENE VERAMENTE IL VINO PERCHE' NON SI FA? NON BASTA CHE IL VINO SIA DOC, DEVE ESSERE LIBERO DAI VELENI, IRRORATI A PROFUSIONE SUI VIGNETI PER DIECI MESI ALL'ANNO.

lunedì 14 novembre 2022

IL PARCO DEL CANSIGLIO È UN BENE COMUNE NON VA PRIVATIZZATO

 


 Gli ecologisti, l’Ecoistituto del Veneto, Mountain Wilderness

Contro la privatizzazione l’ex albergo S. Marco

Ci dispiace che qualcuno in Regione abbia ancora intenzione di vendere l’ex albergo San Marco, come ribadito dall’assessore all’ambiente.

Ecoistituto del Veneto e Mountain Wilderness, con altre associazioni ambientaliste, con fermano la determinazione ad opporsi.

Il San Marco è stato inserito nell’elenco dei beni pubblici alienabili: è stato un errore, la Regione lo sa bene. È ora di porvi rimedio, levandolo da quell’elenco.

COME L’EX BASE AERONAUTICA

Anni fa, anche il Ministero della Difesa aveva impropriamente tentato di mettere in vendita, e per 3 volte, l’ex base aeronautica, poi Caserma Bianchin in Pian Cansiglio, ma ci siamo opposti e la vendita non è avvenuta.

Anche allora si parlava di “ruderi”, di “situazione ambientale da sanare” e la Regione non ne aveva i fondi, ma, data l’impossibilità di vendita, anche grazie all’opposizione delle associazioni, si sono trovati i finanziamenti per recuperare l’area alla situazione originale.

 


Quell’intervento oltre a recuperare la situazione precedente, ha permesso di dotare il Cansiglio di un’area camper, richiesta da anni, e di un auditorium di quasi 200 posti, l’Hangar Cansiglio, molto usato.

 

Stessa storia per il San Marco, con la struttura abbandonata da anni al deterioramento, la solita scusa della mancanza di fondi e l’indisponibilità a spendere soldi pubblici per un’attività alberghiera.

 

Se la Regione veramente lo volesse, potrebbe trovare i fondi per ristrutturare il vecchio albergo e darlo in affitto con un regolare bando pubblico, come avviene per tutte le aziende agricole del Cansiglio.

 

Perché non ha chiesto i fondi del PNNR? Se la Regione vuole, può ristrutturare il San Marco e affittarlo, anche creando una struttura polivalente, per il turismo e la didattica ambientale.

 

LO IMPEDISCE ANCHE LA COSTITUZIONE

 

Se invece la regione perseguirà la via della vendita, Ecoistituto e Mountain Wilderness, appoggiati dalle altre associazioni, hanno già disponibilità e in formazioni da alcuni ex giudici della Corte Costituzionale per un’opposizione legale efficace che bloccherà la vendita, anche se con dispendio di energie e costi legali, che però non ci fermeranno.

 

Se sarà necessario, proporremo una grande campagna per sostenere le spese legali, in molti hanno già espresso solidarietà e disponibilità.

 

Il San Marco deve rimanere pubblico, restaurato ed affittato per turismo ed educazione ambientale.

 

Non abbiamo cambiato idea: nessuna parte di Cansiglio, veneto friulano, regionale statale, va venduta.

Non va dimenticata la questione della presenza della comunità cimbra, insediatasi nella foresta dopo la fine della Serenissima del 1797, con 5 villaggi e alcune case singole.

 


È demanio, rimasto pubblico: non si è creato nessun diritto acquisito.

La comunità cimbra, tutelata dalla legge come minoranza etnica, costituisce una presenza storica e culturale importante che va salvaguardata nei giusti modi, senza mettere in crisi l’inalienabili del demanio pubblico.

Dopo anni di tentativi, la Regione Veneto, con una legge degli anni ’90, ha riconosciuto la proprietà delle case ai cimbri, ma non del terreno su cui sono state costruite, sanando la situazione con una concessione a tempi molto lunghi.

 

Il problema è invece irrisolto per i villaggi cimbri de Le Rotte e di Vallorch, nel demanio statale, gestito dal Corpo Forestale, ora Carabinieri.

 

Qui sì è verificata una situazione anomala: non è stata chiesta la stessa procedura, ma il passaggio dei due villaggi dallo Stato al Comune di Fregona, lasciando a questo la possibilità di alienare case e terreno.

 

Per l’ennesima volta riemerge la questione della vendita di parte del Cansiglio e, anche in questo caso, se passa la possibilità di vendere piccole parti, infranto il principio della inalienabilità, poi si procederà ad altre vendite a cascata.

 

Perciò ribadiamo il no alla vendita: eventuali passaggi di demanio dallo Stato, avvengano non verso i Comuni ma verso la Regione che gestisce il Cansiglio.

 

I due villaggi cimbri si trovano all’interno della Riserva Biogenetica e il Ministero della Transizione Ecologica (competente) ha espresso l’impossibilità di intaccare l’integrità di una Riserva statale col rischio di introdurre proprietà private in un ambito statale di grande valore naturalistico.

 

La  presenza della  comunità cimbra in Cansiglio è un elemento importante, storicamente e culturalmente, ma non può essere usata strumentalmente per perseguire la vendita del Cansiglio, che deve rimanere per sempre un Bene Comune.

*direttore Ecoistituto Veneto Alex Langer

**vicepresidente nazionale Mountain Wilderness Italia

 

lunedì 24 ottobre 2022

SUL TAVOLO DEL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA DI VERONA L’INQUINAMENTO DI A.Ri.C.A.

 LA CONSIGLIERA REGIONALE CRISTINA GUARDA INTERVIENE IN DIFESA DEI COLTIVATORI E DELLA SALUTE.

 

Sbocco del dotto A.Ri.C.A. nel Fratta Gorzone

In questi giorni la Consigliera Regionale Cristina Guarda ha denunciato con un esposto alla procura di Verona, il gravissimo stato di inquinamento del fiume Fratta Gorzone, chiedendo la chiusura del dotto A.Ri.C.A. che raccoglie i reflui dei cinque depuratori del distretto conciario arzignanese scaricandoli  più in giù, nella bassa pianura, all’altezza di Cologna Veneta.

Era inevitabile che ciò accadesse ed è prevedibile che richieste simili continuino ad arrivare alla magistratura veneta che in questi giorni sta processando Miteni per motivi simili.

È chiaro che la eventuale chiusura del dotto A.Ri.C.A. comporterebbe il blocco di tutto il distretto con quello che ne consegue. Una cosa gravissima che colpirebbe, oltre alle aziende anche il lavoro di 17000 addetti.

L’associazione CiLLSA ha operato da diversi anni per evitare che ciò accadesse perorando l’apertura dei lavori di bonifica del Fratta Gorzone con la messa in opera dei progetti previsti nell’accordo decennale Stato Regione, siglato nel 2005 e riconfermato nel 2017 con scadenza nel 2027.

 Di tali progetti, purtroppo nemmeno uno è stato realizzato dallo Stato né dalla Regione Veneto che sono i principali firmatari dell’accordo.

È importante sottolineare che tra i firmatari figurano, il Distretto conciario vicentino, l’Associazione industriali di Vicenza, la sezione concia Apindustria Vicenza, la sezione Concia UNIC , la Sezione Confartigianato di Vicenza (Sezione Concia).

Sono passati inutilmente 10 anni dalla firma del primo accordo e altri cinque da quella del secondo .

Nel frattempo le condizioni del fiume si sono ulteriormente deteriorate determinando l’inquinamento delle colture  cui sono destinate le sue acque malate.

                                                                                                                                            Ricordiamo che attualmen

Manifestazione sull'argine del Fratta Gorzone

te il fiume è, di fatto, l’unica fonte di irrigazione del vasto territorio a Sud di tre province venete dove vivono circa un milione di persone. Ricordiamo che la falda sottostante è stata messa fuori gioco dall’inquinamento PFAS Miteni che coinvolge circa 10.000 pozzi privati.

Basta solo questo, unito alla siccità provocata dal riscaldamento globale, per capire la gravità di quanto sta avvenendo. Oltre alle concerie, sono a rischio le colture  della grande pianura e la salute dei cittadini che di esse si nutrono.

Di chi la responsabilità di non avere attivato i progetti che stavano nei cassetti della Regione da quindici anni?

Oltre a noi molte associazioni e comitati del Movimento ambientalista hanno ripetutamente sollecitato, in questi anni, la Regione a rendere operativi i numerosi progetti già previsti. Se ci sono dei responsabili del disastro sistemico che coinvolgerà oltre alle popolazioni, una parte importante dell’economia regionale questi vanno cercati tra coloro che hanno deliberatamente ignorato l’accordo Stato Regione per 15 anni.

Forse in alto loco si pensava che il distretto della concia fosse too big to fail, come si dice negli USA, ma si pensava questo anche di Miteni, con i risultati che si sono visti.

Nessuno dei firmatari può dire di non sapere cosa contenesse l’accordo.

A mo’ di esempio riportiamo la riproduzione dell’articolo 1 del primo accordo in modo da renderci conto di cosa si tratta e di quanto fosse ritenuto necessario già nel lontano 2005 intervenire con urgenza.

 


 

 Riportiamo anche  copia di un brano della pagina 8 dell’allegato “A” del DGR n°359 del 22 marzo 2017, che recepisce il nuovo accordo di programma, in cui si legge:

 “In particolare nella considerazione della contaminazione storica che alcune aste fluviali hanno subìto, soprattutto nella matrice dei sedimenti, da parte delle industrie conciarie, il piano rileva che il ripristino delle comunità biologiche non è compatibile con il raggiungimento, ancorché in regime di proroga, degli obiettivi della DQA e fissa pertanto, per cinque corpi idrici del bacino del Fratta-Gorzone, l’obiettivo del raggiungimento dello stato sufficiente entro il 2027. Nel Piano si evidenzia inoltre  la presenza diffusa di sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS) nelle acque superficiali e sotterranee del bacino in oggetto e viene riportato il “programma preliminare di misure” finalizzate all’abbattimento delle concentrazioni delle sostanze PFAS, già in parte operative;”

In parole povere, nel 2017, all’atto della stipula del programma, i firmatari sottoscrivevano il fatto che lo “storico inquinamento” da parte  delle industrie conciarie non consentiva la possibilità di riportare il fiume allo stato “Buono” ma soltanto allo stato “Sufficiente”. 

Tale affermazione è stata sottoscritta anche dai rappresentanti delle varie associazioni della concia . Ciò significa che i firmatari dell’accordo erano pienamente  coscienti del danno grandissimo arrecato al fiume dagli scarichi conciari.

Malgrado ciò, chi aveva il dovere di far partire rapidamente i lavori non lo fece. Dopo15 anni, pertanto, il fiume si trova in una situazione pessima proprio a causa degli scarichi di A.Ri.C.A. 

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Per anni abbiamo sollecitato le istituzioni competenti a provvedere ma forse si pensava che una tale situazione si potesse gestire, senza problemi, per anni introducendo dei “limiti” allo scarico per giustificare legalmente quanto avveniva.

25 aprile 2022 staffetta per il Fratta Gorzone


 Quando qualcuno, come per esempio ha fatto nel novembre dello scorso anno il COORDINAMENTO PER IL RISANAMENTO DEL FIUME FRATTA GORZONE, chiedeva che si intervenisse sullo stato di inquinamento del fiume si rispondeva che gli scarichi erano entro i limiti di sicurezza previsti dalla Regione o non si rispondeva affatto.

Dal momento che questi limiti,  la cui definizione fu avocata a sé dalla Regione, non erano sufficienti ad evitare il progressivo degrado delle acque del fiume, è evidente che erano insufficienti a garantire la salubrità del Fratta Gorzone.

Se ne deduce che tali limiti erano sbagliati e che bisogna indagare sulle responsabilità chi li ha fissati, tenendo presente che il degrado del Fratta Gorzone non è un atto improvviso e imprevedibile ma si è realizzato nel corso di molti anni, periodo in cui era impossibile non accorgersi che le misure per garantirne la salubrità del fiume non erano affatto sufficienti.  

Il progressivo degrado del fiume e della pianura erano sempre più evidenti tanto che si programmò un inutile e costoso prolungamento del dotto A.Ri.C.A. per bypassare la città di Cologna veneta. Solo le istituzioni regionali ignoravano quanto accadeva sotto gli occhi di tutti.

A suo tempo avvertimmo chi faceva orecchie da mercante che il mancato avvio dei lavori dei progetti che avrebbero dovuto bonificare il fiume metteva a serio rischio di chiusura il comparto conciario ma, evidentemente, tali avvertimenti non furono presi sul serio.

Ci si accusò, al contrario, di essere nemici delle concerie, quando, invece, i nostri appelli miravano a mettere in guardia le istituzioni al fine di preservare le aziende dal disastro paventato.

Contrariamente a quanto affermano persone in malafede, siamo preoccupati per la leggerezza e superficialità con cui si opera in alto, mettendo a rischio, oltre che un comparto produttivo di enorme valore, anche il posto di lavoro di quanti operano nel comparto.

Invece di correre rapidamente ai ripari si preferisce accusare chi difende la salute di centinaia di migliaia di persone costrette ad ingerire cibi inquinati, prodotti nei campi contaminati da acque insane, chi si preoccupa per le patologie acclarate che le PFAS arrecano alle persone, soprattutto alle nuove generazioni.

A testimonianza dell’impegno dei comitati ecologisti, riproduciamo parte di una PEC inviata alla Regione Veneto nel 2021

 

COORDINAMENTO PER IL RISANAMENTO DEL FIUME FRATTA GORZONE

COMUNICATO STAMPA

 

Il 6 novembre 2021. a Cologna Veneta è stato costituito il “Coordinamento per il risanamento del fiume Fratta Gorzone”, una realtà che raggruppa associazioni, comitati e attivisti con la finalità di sollecitare il risanamento del fiume Fratta Gorzone.

Il coordinamento nasce dalla condivisione dei seguenti presupposti:

-          l’inquinamento del fiume Fratta Gorzone è noto da tempo, tuttavia alcuni fatti relativamente recenti rendono il suo risanamento ancora più urgente;

-          la contaminazione della falda sotterranea dovuta ai pfas, ad esempio, penalizzerà o impedirà del tutto l’utilizzo dell’acqua prelevata dai pozzi rendendo i corsi d’acqua superficiali la principale risorsa per l’agricoltura;

-          uno screening della Regione Veneto (reso pubblico recentemente dal comitato delle Mamme no-pfas e da Greenpeace) effettuato su determinati prodotti (carne, uova, frutta, verdura) ha rivelato presenze rilevanti di Pfas, indicando una contaminazione in atto della catena alimentare dovuta evidentemente anche all’utilizzo di acque irrigue inquinate;

-          un’ulteriore ricerca condotta su questi dati, e oggetto di un apposito articolo scientifico pubblicato nel numero di ottobre della rivista Epidemiologia e Prevenzione, ha portato alla conclusione che una delle aree a maggior probabilità di contaminazione si trova proprio lungo la direttrice del fiume Fratta, al di fuori dell’area di contaminazione della falda, nel territorio dei comuni di Montagnana, Bevilacqua e Terrazzo.

-          è fondamentale perciò - ora più che mai - risanare i corsi d’acqua superficiali a partire dal Fratta Gorzone.

 

Pubblichiamo questa ultima testimonianza per evidenziare che il Movimento No PFAS ha tentato, per anni in tutti i modi, di aprire un dialogo con le istituzioni regionali per indurle a prendere atto della gravità di quanto stava avvenendo. Tuttavia tali tentativi sonno stati frustrati dal silenzio del destinatario.

Se la Regione dorme il Distretto concia arzignanese sembra, invece, avere capito che così non si può andare avanti.

 Sono stati presentati finalmente una serie di progetti nell’ambito del PNRR per ridurre l’inquinamento del fiume tramite nuove modalità di trattamento dei rifiuti, step to step, recuperi e riciclaggi, tali da comportare un forte abbassamento del carico inquinante.

Dai colloqui avuti col presidente del Distretto e con gli amministratori di Acque del Chiampo abbiamo avuto modo di vedere, per grandi linee, il tipo di intervento che si intende attuare. Ci auguriamo che questa volta le cose marcino diversamente di quanto è avvenuto in passato.

Nel frattempo ….

 

Giovanni Fazio

 

 LINK dell'intervista di Marco Milioni a Cristina Guarda