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martedì 26 ottobre 2021

A QUALCUNO PIACE SPORCO


 

È apparso in questi giorni un endorsement a favore delle concerie che il mio amico Piero avrebbe potuto risparmiarsi dopo il reportage di PRESADIRETTA.

 La trasmissione non lascia dubbi sulle responsabilità del distretto della concia arzignanese relativamente al disastro ambientale provocato dai SUOI reflui.

L’accusa di “ideologismo” a chi denuncia, con documenti alla mano, i dati drammatici dell’inquinamento da PFAS non regge di fronte alle numerose schiaccianti evidenze.

Concordo tuttavia con Piero sulla critica al depuratore arzignanese:

Da sempre il depuratore di Arzignano non è in grado di depurare gli scarichi industriali in maniera adeguata. I reflui del depuratore sono fuori dai parametri previsti per legge per diverse sostanze (PFAS compresi) da quando è stato costruito.”

Una analisi, quella di Piero, seria. 

Altra è, invece, la considerazione che leggiamo nella brochure del Consorzio A.Ri.C.A.

A.Ri.C.A. non si limita a gestire l’impianto di canalizzazione (Collettore). Monitora il rispetto dei limiti per le acque conferite e agisce per farli rispettare. Provvede a trattamenti che concorrono a migliorare la qualità delle acque ricevute e poi scaricate. È parte attiva nei programmi territoriali per ridurre la pressione degli inquinanti sulle acque di superficie.”

Leggendo tale idilliaca descrizione del tubone A.Ri.C.A.  non sappiamo se ridere o piangere pensando agli scoli tossici che si riversano nel Fratta Gorzone grazie alle amorose cure di Regione, Conciari e A.Ri.C.A. malgrado le quali, il fiume, tuttavia, è stato dichiarato da ARPAV biologicamente morto. (Amen)

   Non è difficile individuare la causa di ciò nell’azione di coloro che hanno condizionato, fin dall’inizio, l’efficienza del depuratore, per avere più margini e meno spese dallo smaltimento dei propri rifiuti.

La responsabilità di quanto accaduto è anche di coloro che avrebbero dovuto controllare e non lo hanno fatto (Regione, Province, Comuni e Gestori delle acque).

Si tratta di una realtà istituzionale complessa sulla quale, oggettivamente, pesa più l’interesse economico degli imprenditori della concia che la salute dei cittadini.

   


Pertanto, non è che il guasto sia dovuto, come afferma Piero, al fatto che “il depuratore sia gestito dalla politica” bensì al fatto che la politica è gestita da sempre dai conciari. 

La conferma di ciò la possiamo leggere nell’allegato a DGR nr. 359 del 22 marzo 2017 pag. 8 del Patto Stato Regione, che qui riporto.

“In particolare, nella considerazione della contaminazione storica che alcune aste fluviali hanno subito, soprattutto nella matrice dei sedimenti, da parte delle industrie conciarie, il piano rileva che il ripristino delle comunità biologiche non è compatibile con il raggiungimento, ancorché in regime di proroga, degli obiettivi della DQA e fissa, pertanto, per cinque corpi idrici del bacino del Fratta-Gorzone, l’obiettivo del raggiungimento dello “stato sufficiente” entro il 2027. Nel Piano si evidenzia inoltre la presenza diffusa di sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS) nelle acque superficiali e sotterranee del bacino in oggetto e viene riportato il “programma preliminare di misure finalizzate all’abbattimento delle concentrazioni delle sostanze PFAS, già in parte operative;”

 

Non siamo noi, pertanto, a indicare le industrie conciarie come responsabili del disastro bensì un documento da esse stesse sottoscritto.

 Una ammissione di colpa cui nessuno ha, fino ad ora, fatto caso. 

Per essere onesti, bisogna dire, come ha confermato, candidamente, in trasmissione, il direttore di Acque del Chiampo, che il vero motivo della scarsa funzionalità del depuratore è dato dal fatto che le concerie scaricano in fognatura di tutto, comprese decine di tonnellate di prodotti a base di PFAS”.

A ciò si sarebbe potuto ovviare con l’attuazione del PATTO STATO REGIONE, un accordo di programma siglato nel 2005 per salvare il fiume e il suo bacino dal degrado totale.

I lavori previsti da tale accordo non sono mai nemmeno iniziati. Dopo la sua scadenza, nel 2017 l’accordo di programma è stato rinnovato, con scadenza al 2027.

Il “Patto”, così aggiornato, contiene utili progetti come quello di mettere i filtri a carboni attivi in ingresso all’acquedotto industriale, separare i fanghi civili da quelli industriali, separare i fanghi della pre-concia da quelli della concia, vietare lo scarico di sostanze PFAS in fognatura, riciclare l’acqua invece di immetterla nell’ambiente ecc.

Suonano particolarmente irrisorie, però, certe previsioni scritte su un patto che non partirà mai: 

“… È previsto per cinque corpi idrici del bacino del Fratta-Gorzone, l’obiettivo del raggiungimento dello “stato sufficiente” entro il 2027”

Infatti, anche questa volta, i lavori che sarebbero dovuti iniziare nel 2017 non sono mai partiti. E siamo alla fine del  2021.

Una presa in giro.

 

Già nel lontano 2005, la bonifica avrebbe dovuto esser realizzata. Il vantaggio per tutti i cittadini sarebbe stato quello di non sprecare più l’acqua dell’Adige per diluire(illegalmente) la fogna dell’A.Ri.C.A., di non trovare i PFAS nei prodotti alimentari provenienti dalla bassa pianura veneta inquinata, di sostenere migliaia di agricoltori e, non ultimo, di salvare tanti bambini dalle conseguenze della contaminazione, evitare aborti , dimezzare il numero di ictus che affliggono la nostra zona e tanti altri vantaggi per la nostra salute seriamente condizionata dai PFAS.

 Tutto ciò non interessa ai protagonisti di questa storia mentre, alcuni di loro, sono fortemente interessati alla costruzione di un inceneritore da realizzare ad Arzignano e alla privatizzazione di Acque del Chiampo.



Proprio questi, pensiamo, siano i veri obiettivi (non dichiarati) che hanno scatenato i gruppi di minoranza consiliare contro l’Amministrazione arzignanese, contraria all’incenerimento dei rifiuti e alla privatizzazione del gestore delle acque.

L’altra faccia della medaglia rispetto agli enormi profitti realizzati dai conciatori è rappresentata da un immane disastro ambientale che ha colpito centinaia di migliaia di persone e agricoltori, in una area che include il sud di tre province venete.


Chi ha realizzato i guadagni non vuole farsi carico delle spese enormi necessarie alla bonifica dei fiumi e del territorio da essi devastato. Questo è sufficiente a spiegare perché i bei progetti restano solo nella carta ma non partono mai.

A fronte di ciò i danni restano a carico della restante popolazione.

Tocca a noi subire le conseguenze del disastro e le spese necessarie che si devono sostenere per far sopravvivere un terzo del territorio del Veneto.

Tale modo di agire è giunto al capolinea. Non crediamo che i cittadini siano ancora disposti a sopportare ulteriori vessazioni.

Non ci lasceremo inquinare anche l’aria, già abbastanza compromessa dalle esalazioni della concia e dei depuratori.

Tutte le persone di buon senso si opporranno alla privatizzazione dell’acqua e alla costruzione di un inceneritore ad Arzignano.

Avvertiamo chi di dovere che la festa è finita.


Giovanni Fazio

 


 





 

 

 

 

mercoledì 20 ottobre 2021

DURA DENUNCIA DI PRESADIRETTA SULLE RESPONSABILITA' DEL DISASTRO PFAS

 

LA REGIONE VENETO, NELLE PIU' ALTE CARICHE DELLA GIUNTA, SI RIFIUTA DI RISPONDERE.



E' evidente che al dialogo questi signori preferiscono il monologo.  


Ripropongo alla vostra riflessione una parte della trasmissione di PRESADIRETTA che riguarda il ruolo delle concerie del distretto arzignanese e le responsabilità evidenti della Regione nella diffusione della contaminazione dei PFAS nel territorio, la grave omissione per avere per ben 16 anni ignorato i progetti previsti e siglati per la bonifica dei depuratori, per la rivisitazione delle modalità di smaltimento dei PFAS, e non solo i PFAS, e la bonifica del fiume Fratta Gorzone.