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domenica 30 settembre 2018

VENEZIA SI RIBELLA. LE GRANDI NAVI UCCIDONO LA CITTA' NELLA INDIFFERENZA DI CHI LA GOVERNA



UNA REGIONE NELLE MANI DEI COMITATI DI AFFARI


Ieri 29 settembre abbiamo partecipato a Venezia al raduno nazionale dei movimenti che sostengono le lotte popolari contro lo sfascio del Paese. Dai cittadini che si battono in Val di Susa contro la TAV ai salentini che lottano duramente contro la devastazione della loro terra, derivata dalla costruzione di un gasdotto destinato a rifornire di energia l’Europa centrale.

Tra le mille voci di cittadini che si vedono quotidianamente calpestati dalle istituzioni e dalle lobby, c’eravamo anche noi del NO PFAS per sostenere il diritto dei veneti, e soprattutto dei nostri bambini, a non ammalarsi gravemente a causa di un sottile, invisibile, veleno che penetra quotidianamente nei nostri corpi attraverso l’acqua, gli alimenti e l’aria.

Eravamo, nella sala dei Magazzini del sale alle Zattere, davanti allo splendore del canale della Giudecca in un pomeriggio dorato dal sole, per protestare e lottare contro il passaggio delle grandi navi in laguna.

Prima gli affari. Poi i Veneti 
 La “Lega Veneta” se ne infischia di Venezia.

Sventolano le bandiere col leone di S. Marco, piazzano leoni a tutti gli incroci dei paesini del Veneto e distruggono la città più bella del mondo.

L’agonia di Venezia, devastata da un turismo usa e getta, scaricato quotidianamente per alcune ore da gigantesche navi che sconvolgono con il loro passaggio gli equilibri della laguna e la stabilità dei preziosi palazzi che si affacciano sui canali, è ormai la metafora triste di un Veneto governato dai comitati di affari.


Tanto paga Pantalone
Il disastro MOSE non ha insegnato niente.
Le dighe mobili, costate fino ad ora più di 5 miliardi di euro, giacciono sul fondo sabbioso della laguna in balia dei mitili e della corrosione.




Questa immane e inutile opera resta come monumento al malaffare veneto che ne ha accompagnato l’ideazione e la realizzazione; un’opera che non potrà mai funzionare per proteggere Venezia dall’acqua alta ma che ha funzionato benissimo per mungere alla comunità miliardi di euro a esclusivo vantaggio delle solite cricche.

Assemblea dei Movimenti
ai Magazzini del sale
Siamo venuti alle Zattere ieri pomeriggio, non solo perché la morte di Venezia ci strazia il cuore ma anche per incontrare chi, come noi della terra dei PFAS, sta lottando contro i mille delitti che devastano non solo la salute dei cittadini ma, attraverso sprechi, corruzione e malaffare, la vita di un’intera nazione e l’integrità di un Paese; lo chiamavano Ausonia, una volta stupenda terra distesa sull’azzurro splendore del Mediterraneo, ricco di pesci e conchiglie, e ora piattaforma esausta in mezzo ad una cloaca devastata da rifiuti e ricerche petrolifere.

Ai Magazzini del sale abbiamo ascoltato le voci delle avanguardie, abbiamo sentito il racconto drammatico di mille disastri la cui lettura ci dice che da questa esperienza non può non scaturire una riflessione su cosa ha portato il nostro paese in uno stato così miserevole.

"CE LO CHIEDE L’EUROPA"

Ogni giorno, attraverso i media, sentiamo i grandi economisti con il ditino alzato sentenziare sul debito pubblico, sulla necessità di tagliare la spesa (leggi sanità, pensioni, scuola pubblica, assistenza ai più poveri e disagiati, finanziamenti a servizi, ai trasporti pubblici, ecc. ecc.)
Ce lo chiede l’Europa” affermano con spudorata faccia tosta. “E’ l’unica strada per rilanciare lo sviluppo e la crescita.”

Non è vero. L’Europa non può chiederci niente perché non esiste.
Il parlamento Europeo, unica istituzione eletta dai cittadini europei non esprime alcun governo e non può controllare nulla, tanto meno la moneta e le banche.

Il potere è nelle mani delle lobby multinazionali che ci stanno depredando del nostro welfare e di una banca privata, la BCE il cui governatore non è stato eletto dai cittadini europei. 

Gli economisti e i partiti innamorati della commissione europea possono disquisire finché vogliono sulla necessità di adeguarsi al pensiero unico liberista e al governo incontrastato dei mercati.

Noi non abbiamo bisogno di disquisire sulle loro teorie: ci basta constatare gli effetti ineludibili provocati in tutti questi anni dal governo del pensiero unico.

Il liberismo economico, abbracciato senza riserve dalla destra politica e sociale, è diventato la stella polare  dei partiti socialdemocratici europei.

GLI EFFETTI DI VENTI ANNI DI GOVERNI LIBERISTI

Pronto soccorso
Il numero di persone sprofondate sotto il livello di povertà: in Italia ha superato il tetto di 4 milioni e mezzo; maggiore è il numero di cittadini che non riescono più a curarsi a causa del costo sempre più esoso dei ticket, e delle estenuanti file di attesa.
Non parliamo degli esodati e delle leggi sulle pensioni che mirano a sottrarre sempre più risorse ai cittadini e allungare i tempi per arrivare al pensionamento.





Le aziende, sempre in maggior numero, delocalizzano, lasciando dietro di loro la disperazione dei lavoratori abbandonati, volano verso lidi in cui gli operai percepiscono salari infimi e le leggi del luogo non garantiscono i diritti minimi (molte sono le aziende, anche quelle dei nostri marchi all’estero, dove si sfrutta il lavoro dei bambini).



Le leggi emanate dai governi di centro sinistra hanno ridotto il lavoro a merce che si acquista a tanto all’ora.

A causa di queste leggi la stragrande maggioranza dei contratti passa attraverso agenzie private. Si vive alla giornata, senza nessuna certezza sul domani. Nessuna banca ti fa un mutuo e il tuo futuro è praticamente inesistente.

I nuovi contratti a tempo indeterminato rappresentano una percentuale irrisoria, malgrado l’abolizione dell’articolo 18 voluta da un governo che si auto considera di sinistra.


C'è chi diventa sempre più povero
PRECARIETA’ è la parola che definisce meglio di ogni altra la condizione di chi vive di lavoro, a maggior ragione di chi il lavoro non è riuscito mai ad averlo o lo ha perso per strada prima di arrivare alla pensione.

Mi fermo qui perché stiamo parlando di cose stranote e stradette che sono di fatto incontestabili e che non sono l’effetto di una crisi prodotta dalle banche americane ma di scelte politiche ben precise.

Di fronte alla realtà tutte le teorie e i ditini alzati saccentemente dagli economisti vanno a farsi benedire.
C'è chi diventa sempre più ricco

Le leggi emanate in questi lunghi anni di dominio liberista vanno a solo vantaggio dei mascalzoni e dei ricchi.

La prescrizione facile per chi ha depredato il patrimonio pubblico o ha avvelenato operai e cittadini ha reso inconsistente la fiducia nella Giustizia.

I politici, lacchè dei mercati, ci minacciano di chissà quale catastrofe ventura, se non si accetta il diktat della BCE e non sono capaci di vedere il baratro in cui ci hanno cacciato con i loro illuminati precetti.




UNA FALSATA RAPPRESENTAZIONE DELLA REALTA’

Credo che a fronte di questa realtà la gente viva in un film che ne rappresenta un’altra.


 Penso all’indifferenza di molti cittadini nei confronti dei veleni che eroga Miteni, o alla mancanza di indignazione per quelli che escono dal tubo A.Ri.C.A. contaminando un grandissimo bacino agro alimentare da Cologna Veneta a Montagnana fino a Chioggia. 

Penso alla tranquillità con cui tante ignare persone acquistano al supermercato alimenti di incertissima origine.

 Penso alle mille menzogne di coloro che avrebbero dovuto prendersi cura della nostra integrità e della nostra salute.

Penso ai sindaci che se ne fregano dell’acqua che bevono i bambini e i cittadini. Penso ai consigli comunali proni che accettano ogni complicità, anche la più indegna.

Tutto ciò ha un nome preciso “Egemonia culturale” di una classe sociale e del grande capitale internazionale che ci mostrano ogni giorno una realtà inesistente per cui tutto andrà meglio se lasceremo le mani libere a coloro che ci hanno portato al peggio.


SPEZZARE LA FALSA COSCIENZA DEL MONDO


Per questo motivo, la rete delle avanguardie, di cui facciamo parte, che da anni lotta con coraggio contro l’aggressione liberistica che si manifesta poliedricamente in mille violenze quotidiane, non è sufficiente a fermare chi, in nome dei mercati, sta distruggendo le stesse basi di sopravvivenza dell’intero pianeta.


Bisogna attaccare la sovrastruttura culturale e ideologica, il film che viene proiettato quotidianamente nelle menti di milioni di uomini da parte di chi li manovra e li uccide per ignobili interessi.





















L’azione è il nostro linguaggio ma ad essa deve necessariamente accompagnarsi il confronto ideologico contro la finzione del reale rappresentato da chi è al potere. 

Un potere conferito, purtroppo, dai cittadini che vivono la propria miseria, condita dall’inganno quotidiano: i grandi temi della distrazione di massa elargiti dalle televisioni e dai giornali.

Dobbiamo concentrarci nello studio oltre che nella lotta contro la falsa rappresentazione della realtà e soprattutto dobbiamo liberare noi stessi dall’ handicap della autorefenzialità.

E’ necessario costruire un unico fronte trasversale antiliberista aprendo un dibattito di ampio respiro laddove l’analisi delle singole esperienze si inserisce come un tassello indispensabile in un processo di sintesi più avanzata.

 E’ necessario fare tesoro delle differenze all’interno del Movimento, delle diversità delle esperienze e delle diverse matrici ideologiche degli attori di questa comune lotta per gli obiettivi condivisi.

E’ nostro compito fare di una cultura alternativa a quella dominante il vessillo di una concezione del mondo e dell’umanità radicalmente diversa e contrapposta.

E' necessario investire i gangli della formazione culturale tra i quali il primo è la scuola


Non è una utopia bizzarra quella secondo cui ogni uomo deve essere padrone del proprio destino.

Non è una strana fantasia quella che i rapporti tra gli uomini debbono essere improntati al rispetto di ognuno, alla solidarietà alla condivisione delle risorse.

1947 FIRMA DELLA COSTITUZIONE

Non è uno strano hobby credere nella democrazia e nel dovere di ciascuno di noi di associare alla lotta per la difesa e l’affermazione dei diritti civili quella per la salvaguardia e la realizzazione dei diritti sociali. Due momenti inseparabili del nostro agire politico.


CENTRALITA' DELLA DIFESA DELL'AMBIENTE 

Non è una idea peregrina quella per cui la sopravvivenza del genere umano è legata al rispetto per l’ambiente di cui facciamo parte, ritenendo la natura nella sua complessità la comune matrice di ogni forma di vita. 
Le gravi problematiche ambientali legate al riscaldamento globale, alla morte degli oceani, alla pesca indiscriminata, alla contaminazione di tutti gli alimenti con sostanze cancerogene e interferenti endocrine, l'invadenza della plastica e delle microplastiche che si insinuano nelle carni degli animali e degli esseri umani, la polluzione totale non sono più problemi separati e rinviabili. 
Il contesto ambientale nel quale viviamo è parte integrante e determinante di noi stessi e dei nostri figli e nipoti.
L'uso dei motori a combustione, la costruzione delle autostrade al posto delle ferrovie e delle metropolitane di superficie, gli scarsi investimenti  per promuovere sempre più le energie rinnovabili e stili di vita alternativi fanno parte di un processo forse irreversibile che ci porta alla catastrofe.

Tutto ciò sottolinea l'URGENZA dell'azione politica e ci spinge verso il superamento delle diatribe bizantine finalizate alla sopravvivenza di modi di concepire la politica ormai superati e insufficienti.

Le idee forti che affondano le proprie radici nella realtà della condizione umana sono storicamente state mallevatrici dei grandi movimenti che hanno cambiato il mondo.

Respingiamo la tentazione di una delega che nessuno ci ha conferito. 

Restiamo cittadini tra cittadini nella comune intelligenza di quanto avviene e nella lotta quotidiana contro le mistificazioni e le violenze del capitalismo.

Giovanni Fazio


Trissino Vicenza.Manifestazione contro Miteni





sabato 22 settembre 2018

PFAS : NUOVE PROVE SCIENTIFICHE DALL’AMERICA



L'esposizione ai PFAS comporta «inequivocabilmente» gravi danni ai reni.

I BAMBINI SONO I PIU’ ESPOSTI


Lo conferma uno studio pubblicato lo scorso 13 settembre sul Clinical Journal dell'American Society of Nephrology

Il professore John Stanifer della Duke University di Durham, autore della ricerca dichiara:
 «I reni sono organi molto sensibili, soprattutto quando si tratta di tossine ambientali che possono entrare nel flusso sanguigno …

Poiché così tante persone sono esposte ai prodotti chimici che rientrano nella famiglia dei PFAS e agli agenti sempre nuovi come il GenX, era per noi fondamentale comprendere il rapporta tra queste sostanze chimiche e le malattie renali.
 Ci sono diversi modi in cui queste sostanze possono causare danni ai reni ….
Per comprendere la correlazione tra i PFAS e le malattie renali abbiamo effettuato le nostre ricerche sistematicamente su pubblicazioni mediche dal 1990 al 2018: ricerche epidemiologiche, farmacocinetiche, tossicologiche, e abbiamo incluso nella ricerca dati clinici, istologici, molecolari e metabolici.
Il professore John Stanifer della Duke University di Durham
 In totale abbiamo analizzato 74 studi di cui 21 epidemiologici,13 farmacologici e 40 tossicologici.


Tre studi epidemiologici effettuati sulla popolazione dimostrano l’associazione tra esposizione ai PFAS e bassa funzione renale.
Proseguendo, in dieci studi tossicologici si sono dimostrate modificazioni istologiche a livello tubulare e cellulare provocate dall’esposizione ai PFAS;
 cinque studi farmacocinetici dimostrano che i reni sono la maggiore via di eliminazione dei PFAS.
 Infine numerosi studi dimostrano, per altre vie, che l’esposizione ai PFAS è collegata a malattie renali.
Sono ormai accertate l’associazione tra PFAS e scarsa funzionalità renale e la prevalenza di malattia renale cronica nei soggetti esposti.
Questi effetti sono sati riscontrati anche nei bambini.
Ed è particolarmente preoccupante che i bambini abbiano una maggiore esposizione a queste sostanze chimiche rispetto agli adulti.”
Concludendo “dalla ricerca si evidenzia che nel rapporto tra ambiente e malattie renali sta emergendo un crescente corpo di evidenze anche se restano ancora molte domande sul modo in cui i PFAS agiscono.”





Particolarmente penoso e ridicolo appare, dopo la lettura delle dichiarazioni del professor John Stanifer quanto pubblicato su Giornale di Vicenza giovedì 20 settembre 2018 nella rubrica “Lettere” Pagina 47:

“Il Servizio epidemiologico dell'Ulss 8 ha già affermato che gli effetti delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sulla salute umana "sono poco conosciuti, ma si è visto che possono determinare delle alterazioni di tipo metabolico, se associate a scorretti stili di vita, portare allo sviluppo di malattie croniche".

Ci domandiamo se questi dottori della nostra Ulss abbiano mai letto qualcosa della letteratura internazionale dove gli effetti delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sulla salute umana sono, contrariamente a quanto essi affermano, ampiamente descritti.

 Ci chiediamo anche se abbiano avuto sentore degli studi del Prof. Foresta che dimostrano il rapporto tra PFOA e i recettori del testosterone, o se siano al corrente del fatto che tale sostanza può determinare alla 11^ settimana di gravidanza gravi lesioni al feto che ne comprometterebbero lo sviluppo e l’identità sessuale. 

Dichiarano questi dottori, su un giornale ampiamente rassicurante,  che queste sostanze fanno male “se associate a scorretti stili di vita”.

Allo stesso modo ci chiediamo se il dott. Giorgio Gentilin sia al corrente dei danni renali che l’esposizione ai PFAS può arrecare a bambini.

Avete mai pensato che un bambino di 10 chili se beve un litro d’acqua in un giorno beve l’equivalente di un decimo del proprio peso corporeo? E che se un adulto di 80 chili dovesse bere in proporzione al bambino dovrebbe bere 8 litri di acqua al giorno? Non è difficile quindi capire che un bambino di dieci chili riceve, in proporzione, una dose di PFAS otto volte superiore a quella di un adulto, e questo mentre si trova nella più delicata fase del suo accrescimento.

Signor sindaco, non c’è bisogno dell’autorizzazione della ULSS 8 (che, tra l’altro abbiamo visto come la pensa, cosa sa e cosa non sa) per emettere un’ordinanza che vieti negli asili, nelle mense scolastiche e alle donne in gravidanza l’uso dell’acqua del rubinetto e rifornire di acqua veramente potabile i bambini.

 Si tratta del cosiddetto PRINCIPIO DI PRECAUZIONE EUROPEO (se lo vada a leggere) che è appunto stato fatto per situazioni simili alla nostra, in cui, sebbene l’acqua dei nostri acquedotti comunali rientri, secondo acque del Chiampo, entro i limiti di performance per i PFAS stabiliti da un decreto regionale, non vi è alcuna prova scientifica che tali limiti, come del resto i precedenti del 2015, rappresentino una garanzia rispetto ai rischi di cui sopra.




E ai genitori consiglio di non scommettere sul sindaco: nel dubbio viene prima la salute del vostro bambino.
Non stiamo chiedendo altro che acqua pulita e non inquinata!

Giovanni Fazio

venerdì 14 settembre 2018

CiLLSA: CONSEGNATE AL MINISTRO DELL’AMBIENTE SERGIO COSTA RIFLESSIONI SULLA CONTAMINAZIONE DA PFAS DI TRE PROVINCE VENETE.





Roma 11/09/2018

A pochi anni di distanza dall’apertura a Marghera della seconda zona in cui Monsanto e Sicedison avevano aperto il primo impianto per la produzione di Cvm e Pvc (materie prime per la plastica) il conte Giannino Marzotto comincia, nel giardino della sua villa, un tempo Villa delle nobili famiglie Trissino e Da Porto, gli esperimenti per produrre sostanze impermeabilizzanti per i tessuti che producevano i suoi opifici di Valdagno. Siamo nel 1960, anno in cui possiamo indicare l’inizio di questa incredibile storia che ci condurrà al più grande disastro ambientale del Veneto.



Cito il petrolchimico di Marghera, che si innesta su una zona industriale creata nel 1917 dall’imprenditore veneziano Giuseppe Volpi e il suo svilupparsi tumultuoso che lo porta a diventare uno dei più importanti poli per la produzione di materie plastiche in Europa, per descrivere un processo di industrializzazione nel Veneto, totalmente privo di quel rispetto che meritava una terra ricca di storia e di mirabili architetture, uniche al mondo, come la città di Venezia.

Questa triste eredità del recente passato ha inciso il suo marchio nella storia dello sviluppo industriale dell’intera regione.

Le classi dirigenti che ne furono i protagonisti dimostrarono di non comprendere il nesso tra industrializzazione e territorio, e questa incomprensione o malafede ci porta dritti allo scempio dei nostri giorni.

La mancanza di una visone sistemica necessaria per armonizzare, per quanto possibile, la crescita delle industrie e delle infrastrutture con le caratteristiche ambientali, culturali ed economiche è evidente già nelle modalità con cui nasceva Miteni .

Dopo i primi incidenti in villa, Giannino Marzotto, agli inizi del 1967, trasferisce la sua azienda, che nel frattempo prende il nome di Rimar, in località Colombara, a valle del comune di Trissino, accanto al torrente. La localizzazione dell’azienda dipende solo dal fatto che in quell’area i Marzotto avevano una proprietà.

 È questo l’atto fondativo della attuale Miteni.  Già nel 1970 la Rimar produce 12 tonnellate di Apo-PFOA l'anno, e nel 1973 avvia altre produzioni come i Btf-benzotrifluoruri.

Per tornare al ruolo della politica, diremo che nessun ostacolo ebbe dalle istituzioni di allora Giannino Marzotto nella scelta della localizzazione della sua azienda che pure insisteva in uno dei punti più fragili del sistema idrico del Veneto occidentale, in piena zona di ricarica di falda.

Non si tratta di una falda qualunque ma di quella che è stata definita la seconda falda in Europa, capiente, per dare un’idea, quanto il Lago di Garda.


Questa non è l’unica “disattenzione” da parte di chi ha governato il Veneto e lo governa tuttora. Lo stesso comportamento si manifesta anche nel silenzio relativo a quanto accade qualche tempo dopo, a pochi chilometri di distanza, cioè alla nascita, agli inizi degli anni ‘80 della zona industriale di Arzignano che in pochi anni diviene il più grande polo europeo della concia, industria estremamente inquinante.

Anche il distretto conciario arzignanese con il suo hinterland, gravita sopra la grande falda su un territorio caratterizzato da ghiaie e sabbie.

Non si si sono mai accorti coloro che avrebbero avuto il dovere di vigilare, che nei primi anni dello sviluppo della concia, quando ancora le fabbriche sorgevano in mezzo all’abitato, alcuni conciatori utilizzavano vecchie cave di ghiaia abbandonate per scaricarvi gli scarti delle loro lavorazioni.

Con gli anni ’80 però si volta pagina, si costruisce un mega depuratore e si cominciano a costruire le prime discariche tutto attorno.

Nessuno è intervenuto per impedire che su una zona di ricarica così delicata si scaricassero migliaia di tonnellate di rifiuti conciari, e non solo, che gravitano tuttora sull’acqua sottostante, separati solo da un piccolo strato di argilla e un telo di plastica.

Oggi siamo arrivati alla nona discarica in zona, malgrado le proteste negli anni passati di Legambiente e di alcuni abitanti del posto, miei compagni di lotta, già deceduti da tempo per tumore.

Il denaro fluiva copioso nelle viscere del distretto e il settore acquistava sempre maggiore peso politico.
Ma ciò che fluiva più copiosamente erano i reflui che uscivano dal depuratore, inondando il Rio Acquetta di liquidi non eccessivamente potabili e non in regola con le prime leggi di tutela ambientale che cominciavano a “disturbare” l’espansione delle industrie.

Ne facevano le spese gli abitanti di Lonigo, a valle del depuratore, che iniziarono una lunga stagione di proteste finché non si decise in Regione di costruire un tubo per bypassare il territorio leoniceno.

         Naturalmente l’arrivo nelle rogge dei comuni a valle del tubo (detto A.Ri.C.A. dal consorzio che ne cura la gestione) determinò uguali malumori costringendo i geniali gestori del liquido inquinante a prolungare il tubone fino a Cologna Venta dove finalmente i reflui possono gettarsi nel fiume Fratta, non prima però di essere diluiti con acque pulite derivate, con un apposito canale di nome LEB (Lessino, Euganeo, Berico), dal vicino Adige.
L’operazione fu salutata come definitivamente risolutiva del problema dei reflui conciari che viaggiavano insieme ai reflui della Miteni, provenienti dal depuratore di Trissino. (Di questa struttura trissinese si può tranquillamente dire che sia poco più di una vasca di decantazione, certamente sprovvista di filtri per i PFAS).


Sbocco del dotto A.Ri.C.A. nel fiume Fratta 


Qualcuno però fece notare che la diluizione dei reflui fognari era reato.
Il problema fu risolto ricorrendo ad una geniale modifica lessicale. Qualche mente illuminata in Regione definì col termine di “vivificazione” l’apporto di acque pulite provenienti dall’Adige, pertanto le procure di Vicenza e di Verona, rassicurate dalla nuova dizione, chiusero le indagini o forse non le aprirono nemmeno.

Fatto sta che trent’anni di reflui industriali distribuiti attraverso il Fratta – Gorzone in una delle zone più fertili del Veneto occidentale, non contribuirono certo alla salute dei cittadini né degli esseri viventi di questa zona. Non ne ricevettero beneficio nemmeno le colture di vongole della laguna veneta.



Per questo motivo nel 2005 fu siglato un patto stato-regione, con la partecipazione dei comuni interessati, dei gestori degli acquedotti e depuratori e dei rappresentanti delle industrie, finalizzato alla definitiva bonifica del fiume Fratta e di tutto il territorio.  

Tuttavia, il piano per la bonifica del Fratta Gorzone, in dieci anni, non riuscì a partorire nemmeno l’ombra di un progetto e si concluse, alla scadenza prevista, (dicembre 2015) con un nulla di fatto.

Oggi, che prodotti agricoli della “zona rossa” sono risultati da un recente monitoraggio effettuato dall’Istituto Superiore di Sanità, totalmente inzuppati dai vari PFAS, tra cui primeggiano PFOA e PFOS, la questione della depurazione delle acque del tubo A.Ri.C.A. diventa ineludibile, malgrado l’ostinato silenzio della politica, sul ruolo del comparto conciario.

Infatti, nella mappa dei comuni inquinati il nome di Arzignano non appare nemmeno, pur essendo il più vicino alla Miteni (dopo Trissino ovviamente) ed essendo, al contempo comune inquinato e inquinante.

 È arcinoto infatti che molte industrie delle pelli usano prodotti contenenti PFAS o derivati per impermeabilizzarle.
La politica regionale e locale è stata molto attenta a non coinvolgere mai il distretto conciario come co-responsabile dell’inquinamento del territorio di tre province.
 Adesso arriva dall’EUROPA il PIANO REACH, finalizzato alla individuazione nelle attività industriali dell’uso di sostanze chimiche dannose ai lavoratori, ai cittadini e all’ambiente.
 Si tratta di un piano ambizioso con cui in Europa si tenta di regolamentare o vietare tante sostanze chimiche responsabili di un rapido degrado dell’ambiente e considerate pericolose per la stessa sopravvivenza della specie umana. 
La Regione Veneto deve giocoforza aderire. Questa è l’intestazione della delibera regionale che viene qui riportata di seguito:
Piano Regionale di Controllo ufficiale REACH – Anno 2018” (PRC 2018) in ambito regionale veneto  attuato, nel rispetto del Piano Nazionale delle attività di controllo sui prodotti chimici - anno 2018” (PNC 2018), da parte delle Aziende ULSS e dell’ARPAV competenti per territorio, attraverso un coordinamento con la Direzione Regionale Prevenzione, Sicurezza Alimentare e Veterinaria, che fornirà, in ordine all’effettivo svolgimento dei controlli, specifiche indicazioni operative per l’effettuazione dell’attività di vigilanza.”
Su un’area che conta circa 600 aziende, quale è quella del distretto conciario di Arzignano, la Regione, in riferimento alla problematica PFAS, ha incluso nel suo piano di controllo per l’anno 2018 due controlli REACH nella ULSS 8, da effettuarsi secondo la metodologia REF.

Tralasciando momentaneamente le vicende del tubo A.Ri.C.A. e dell’inquinamento alimentare emerso dal monitoraggio dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità), torniamo alla mancanza di visione sistemica delle problematiche ambientali nella gestione della politica regionale e veniamo al punto in cui l’inquinamento della Miteni si incrocia con la costruzione della Superstrada Pedemontana.


Scavi per la Pedemontana
Si tratta, come è noto di una superstrada a pagamento (di cui da molte parti si è contestata l’utilità) che partendo dal casello stradale di Montecchio Maggiore dovrebbe percorrere circa 97 chilometri fino a Spresiano, in prossimità di Treviso.

Non parliamo in questa sede di tutte le irregolarità, i conflitti di interesse e le discrepanze emerse da un’opera che va a solo vantaggio di alcuni privati e a grande svantaggio per l’erario veneto. Ma ci occupiamo dell’opera sotto due aspetti che riguardano il tema in questione.

Stranamente l’opera, diversamente dalla maggior parte delle opere stradali esistenti, viene costruita “in trincea” cioè diversi metri al di sotto del livello campagna. La motivazione data dai costruttori sarebbe di ordine paesaggistico, ma i maligni sospettano che scavare lungo il percorso consente alla società di reperire preziose ghiaie (materiale indispensabile alla costruzione dei sottofondi stradali.)

 Tuttavia ammessa la buona fede paesaggistica dei costruttori, nessuno ha obiettato sul fatto che là dove le falde subiscono in maniera più incisiva l’offensiva dell’inquinamento Miteni, una ferita profonda del territorio e la costruzione di ancora più profonde barriere di calcestruzzo, potrebbero sconvolgere l’attuale quadro idrografico già fortemente compromesso con effetti imprevedibili sull’inquinamento delle falde.

Evidentemente chi ha il compito di valutare l’impatto ambientale delle grandi opere che si progettano in Veneto non è in grado di vedere le grandissime problematiche che una superstrada di quel tipo determina incrociando il territorio inquinato da Miteni, all’altezza delle ricariche di falda.

Torrente Poscola 

Ignari di tutto, i progettisti avevano previsto anche un attraversamento del torrente Poscola, direttamente inquinato da Miteni e dal depuratore di Trissino, tramite una galleria che sarebbe dovuta passare sotto il letto del torrente.

 Il progetto fu poi modificato per l’insorgere delle popolazioni locali e la evidente incompatibilità con le problematiche emerse dall’inquinamento Miteni.

La totale ignoranza del territorio, della struttura geologica dello stesso, degli eventi antropici che ne hanno alterato la conformazione da parte di chi disegna autostrade soltanto sulla carta topografica, fa sì che inopinatamente, poche centinaia di metri prima di incrociare il Poscola, in territorio confinante tra i comuni di Arzignano e Montecchio Maggiore, gli scavi autostradali hanno tagliato di netto una grande discarica abusiva (sembra risalente agli anni sessanta).
I lavori della Pedemontana incrociano una
mega discarica abusiva degli anni '60

La ditta costruttrice, seguendo la regola del rattoppo, si è limitata a elevare dei muri di contenimento in cemento, incastonati su profondi pali di sostegno che, tra l’altro, potrebbero spingere più a fondo i percolati.
La scoperta della grande discarica dimenticata non ha scomposto nessuno e tanto meno le istituzioni preposte alla tutela del territorio.
Dopo un po’ di maretta, provocata da una consigliera comunale del M5S di Montecchio Maggiore e dal movimento No PFAS della zona, la questione si è inspiegabilmente ma legalmente appianata consentendo alla ditta di proseguire il suo infausto percorso verso nuove disavventure, crolli di gallerie e manifestazioni di cittadini e agricoltori.

Ci si chiede come mai i progettisti non avevano notato la discarica, già nota al comune di Montecchio. Ci si chiede di chi sia il compito di verificare se i lavori effettuati abbiano peggiorato la situazione delle falde sottostanti. Ci si chiede in che modo vengono rilasciate impunemente le certificazioni VIA, ammesso che siano state effettivamente rilasciate.

 I contrafforti di cemento che hanno separato il tracciato della superstrada da rifiuti e percolati, hanno sigillato la questione. Nessuno sa quanto stia avvenendo dietro il sipario di cemento e quanto stia succedendo sotto il fondo stradale. Tutto ciò si chiama Veneto, la regione più cementificata d’Italia.

Contemporaneamente allo svolgersi di questi incidenti poco più in là, a poche centinaia di metri da Miteni si costruisce un grande invaso sul torrente Guà che proviene dai monti del Recoarese.
La ditta ha ottenuto regolare licenza per la costruzione due vasche di laminazione il cui scopo, a detta dei commissionari e dei costruttori, sarebbe quello di contenere eventuali piene, responsabili dell’allagamento di una piccola frazione in prossimità di Monselice a circa settanta chilometri di distanza.

Il fatto è che dopo le rotte del 1907 l’area delle cosiddette “rotte del Guà” era diventata una zona umida, ricca di ruscelli e di alberi entrata nella lista dei parchi Baden Powel e aveva sempre funzionato come bacino di espansione naturale durante le piene del torrente, senza danni per le frazioni limitrofe.
Il parco delle rotte del Guà prima della sua distruzione

Di fatto le nuove escavazioni, che abbassano di ulteriori 4 metri l’intero livello dell’area precedentemente occupata dal parco, sono realizzate in una zona in cui le risorgive emergono periodicamente sul piano campagna che risulta una decina di metri più alto del fondo del bacino.

Chi ha autorizzato l’opera non sa niente dell’inquinamento delle falde operato dalla adiacente fabbrica di perfluorati. Nessuno si è posto il problema di cosa succederà a causa di questa opera insensata, realizzata a poche centinaia di metri dalla Miteni.

Si procede a compartimenti stagni senza una minima visione di insieme e senza nessun rispetto per un territorio martoriato da una antropizzazione selvaggia e irrazionale.

La mano destra non sappia quello che fa la sinistra, soprattutto se questo può danneggiare ulteriori affari.

Proprio per ciò, chi autorizza gli scarichi dell’’A.Ri.C.A. nel Fratta – Gorzone ignora il recente monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità sui prodotti agricoli e sugli allevamenti che insistono sulla “zona rossa”.

Risulta che in varie zone del territorio indagato sono stati repertati allevamenti di maiali con livelli altissimi di contaminazione da PFAS. Lo stesso vale per uova, mais e verdure. Tuttavia nessuna misura è stata presa per impedire che tali prodotti fossero immessi nel mercato.

Eccetto che per i pesci, presenti nei fiumi e nelle rogge, che sono risultati immangiabili per gli altissimi contenuti di PFAS delle loro carni e per i quali è stato decretato un divieto di pesca, nessuna indagine è stata effettuata sulla fauna locale.

In alcune zone definite arancione (comune di Creazzo), dove alcuni privati hanno effettuato un esame chimico dei terreni agricoli, questi sono risultati letteralmente inzuppati di PFAS. Nella stessa occasione sono stati analizzati dei campioni di kiwi coltivati su questi terreni, con riscontro di livelli altissimi di contaminazione. Tuttavia ciò non toglie che questi prodotti siano finiti sui banchi del mercato.

Nel Veneto si naviga a vista.
Non è stata effettuata una mappatura completa dei pozzi privati.
Malgrado recenti delibere regionali, molto chiare in proposito, non esiste una mappatura dei terreni. Non esiste nemmeno una mappatura di tutti i prodotti agricoli e di allevamento. Non è previsto un controllo permanente veterinario per i prodotti a rischio.

Al dipartimento di prevenzione si attendono i nuovi limiti proposti dall’EFSA per la TDI e, nel frattempo, non si applica alcuna precauzione.

I cittadini non sanno più cosa mangiare e soprattutto cosa dare da mangiare e da bere ai propri bambini.

Il sindaco di Arzignano, si rifiuta di rifornire asili e mense scolastiche di acqua non contaminata ma mette i filtri nelle cosiddette casette dell’acqua.
I cittadini abitanti nelle zone arancione chiedono, inascoltati, l’estensione dei monitoraggi sanitari, attualmente riservati solo agli abitanti della zona rossa.


Il popolo dei PFAS, stimato in 350.000 persone, ma sicuramente molto più numeroso in considerazione di siti contaminati inesplorati e della mancanza di informazione sulla contaminazione umana nelle altre aree inquinate, chiede che non ci siano discriminazioni di trattamento, tra gli abitanti delle varie zone contaminate.

Un momento dell'incontro della delegazione NO PFAS col ministro Sergio Costa
Chiede che si provveda immediatamente al sequestro della causa prima della contaminazione, cioè della Miteni di Trissino, chiede che siano presi provvedimenti per tutte le altre industrie inquinanti che rilasciano non solo PFAS nelle acque del Veneto, a partire dal distretto conciario di Arzignano.

In merito a quest’ultimo punto è necessario che parta al più presto il nuovo patto decennale Stato-Regione per la bonifica del Fratta Gorzone.


TRENT'ANNI DI INQUINAMENTO


Trent’anni di inquinamento attraverso il tubo A.Ri.C.A. impongono la fine degli sversamenti dei reflui industriali nei fiumi e nelle rogge con la realizzazione di sistemi di depurazione industriale a circuito chiuso nei depuratori.

 È necessaria la separazione delle fognature civili da quelle industriali, il recupero dei fanghi derivati dal pretrattamento delle pelli (scarnificazione e pelo) che si effettua prima della concia vera e propria, che deve avvenire con l’uso di acqua filtrata priva di PFAS per consentirne un uso come materia seconda riccamente proteica.

Chiedono interventi sulla linea dei prodotti usati per la produzione conciaria, attraverso l’applicazione stretta del REACH e l’adesione al progetto di Greenpeace “DETOX”; chiedono, anche attraverso il potenziamento del locale istituto conciario, la promozione di una ricerca finalizzata ad una produzione industriale compatibile con le esigenze dell’ambiente.



Le richieste dei cittadini, seppur onerose, possono essere realizzate con enorme vantaggio non solo ambientale ma anche sanitario ed economico per i produttori (agricoltori e allevatori) che, a valle di Miteni e delle industrie conciarie, non possono più sostenere il danno arrecato dalla contaminazione delle acque da parte delle industrie a monte.

Chi produce non può addossare alla comunità il costo e il compito di risolvere i problemi ambientali da lui creati. Se una determinata produzione non è compatibile con l’ambiente e con la salute dei cittadini va cambiata o esclusa perché non tutto si può fare e non a tutto ci sono risposte praticabili.

È bene che chi fino ad ora ha governato il Veneto, usando due pesi e due misure, tenga conto del fatto che industriali, cittadini, agricoltori, allevatori, fanno parte di una umanità in cui tutti hanno uguali diritti e meritano uguale rispetto. Il futuro dei nostri figli è strettamente legato a questo principio che è e deve essere alla base di ogni democrazia compiuta.

Per l’associazione CiLLSA e il Comitato Zero PFAS Agno Chiampo

Giovanni Fazio

Ps:
 A nome di CiLLSA e del Comiatato Zero PFAS Agno Chiampo, ringraziamo la consigliera Sonia Perenzoni e il gruppo veneto del Movimento Cinque Stelle per avere realizzato l’incontro del Ministro Sergio Costa con tutti gli attori del Movimento No PFAS presenti nel Veneto. Si è trattato di un confronto molto costruttivo e utile alla causa della bonifica del nostro territorio ma anche ad un cambio di rotta che ci porti fuori dalle sabbie mobili di una politica veneta che fino ad ora non ha voluto o non è stata capace di bloccare gli inquinatori né di proteggere i cittadini da acque e cibi inquinati.