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lunedì 4 gennaio 2021

A.Ri.C.A. 20 ANNI DI INQUINAMENTO DELLA BASSA PIANURA VENETA

 

Il giornale di Vicenza del 2 gennaio pubblica un servizio dedicato ai 20 anni di attività del consorzio A.Ri.C.A, l'ente che gestisce il collettore delle acque di cinque impianti di depurazione del Vicentino, quelli di Trissino, Arzignano, Montecchio Maggiore, Montebello e Lonigo.

 Venti anni fa, infatti, in seguito ad anni di proteste dei cittadini e degli agricoltori dei comuni attraversati dalle acque marce e inquinate provenienti dagli scarichi dei depuratori dell’area del distretto conciario, la Regione Veneto decise di far passare sotto terra i liquami suddetti, bypassando i territori dei comuni immediatamente vicini, tramite un condotto.

Nel corso degli anni, sempre per gli stessi motivi, il collettore sotterraneo si è allungato sempre più raggiungendo una lunghezza di 40 chilometri e sboccando, in prossimità di Cologna Veneta, nel fiume Fratta dove viene miscelato con acque provenienti dall’ Adige, poco distante, attraverso un canale appositamente costruito, chiamato LEB. La diluizione fu necessaria per rientrare nei cosiddetti limiti di tolleranza per le sostanze tossiche e cancerogene che affluivano nel Fratta.

Tali limiti, estremamente generosi nei confronti degli inquinatori, non furono però sufficienti a salvare la grande bassa pianura veneta da un gravoso inquinamento che di giorno in giorno, per venti anni, ha contaminato l’intero territorio meridionale di tre province (Verona, Vicenza e Padova) nonché il mare Adriatico.

Malgrado gli elogi continui con cui veniva celebrata in questi venti anni l'opera e le congratulazioni che anche oggi esprime il giornale di Vicenza per il compleanno del consorzio, ben presto, ci si era resi conto del danno enorme che provocavano queste acque a tutto il comparto agroalimentare e alla salute dei cittadini.

Fu così varato nel 2005 un piano decennale detto “Patto Stato Regione” che avrebbe dovuto risolvere la faccenda con grandiose opere e rimodellazione delle filiere produttive, nonché dei materiali usati per le lavorazioni. 

Finalmente, con anni di ingiustificato ritardo, ci si era resi conto che non era sufficiente spostare l’inquinamento un po’ più in là per risolvere la questione.

I cittadini, soprattutto quelli abitanti nell’area inquinata (circa 500.000 persone coinvolte) restarono in trepida attesa dell’inizio dei lavori che però non iniziarono mai. Si giunse così al 31 dicembre del 2015, data in cui l’allora presidente Serafin di Acque del Chiampo, constatata la fine del decennio assegnato al Patto ne celebrò la fine.

La situazione intanto nel frattempo si era aggravata anche perché si era “scoperto” nel 2013 che i liquami, insieme a cromo, solfati, cloruri e altro portavano nei campi, e nelle falde sottostanti, un carico abbondantissimo di PFAS. Tali inquinanti non giungevano solo dall’azienda produttrice Miteni, che ha rovinato per sempre la più grande falda idrica italiana, contenente una quantità di acqua paragonabile al quella del lago di Garda, ma arrivavano anche dall’area della concia, dove i prodotti a base di PFAS sono tuttora molto usati.


TABELLE ARPAV I PFAS NELLE ACQUE SUPERFICIALI SUPERANO DAPPERTUTTO I LIVELLI DI PERFORMANCE


Non ci voleva molto per capire che i prodotti agroalimentari della zona erano altamente contaminati dai PFAS, oltre che dal resto; se ne accorse anche l’Istituto Superiore di Sanità che effettuò nel 2016 delle ricerche e monitoraggi in loco.



Le solerti autorità istituzionali ritennero di agire tempestivamente siglando, nel febbraio del 2016, un altro grande Patto decennale Stato Regione.

Credo che nessuno si sia presa mai la briga di leggere quello che c’è scritto in questo documento, tuttavia, io che l’ho letto  vi posso assicurare che i tecnici che lo hanno redatto hanno dato il meglio di sé, anche  se lo  possiamo ritenere  solo l’inizio della soluzione del problema. Vi sono dentro proposte e progettazioni veramente interessanti e degne di essere rapidamente messe in atto.

Purtroppo però i progetti del Patto decennale sono rimasti nei cassetti dei vari enti, ministeri assessorati ecc. Sono passati altri 4 anni e non è stato fatto niente. E anche adesso che potrebbe essere co finanziato nel contesto del Recovery Fund next generation UE, il presidente della Regione non lo ha nemmeno menzionato tra le opere proposte.

 In questi quattro anni abbiamo assistito ai festeggiamenti per il quarantesimo compleanno del depuratore di Arzignano, ormai vecchio, obsoleto e, fin dalla nascita, non in grado di assolvere al suo compito di fornire ai cittadini acqua potabile ben depurata, stiamo assistendo alla sopraelevazione di una discarica a pochi passi dal centro di Arzignano e adesso alla celebrazione del dotto A.Ri.C.A. che continua a sversare senza sosta i suoi veleni, più che ventennali, nel Fratta Gorzone.

Ho voluto raccontarvi questa storia perché pochi la conoscono e moltissimi però ne sono vittime.

Le acque inquinate ci riguardano in prima persona: prima di tutto per un principio etico, perché mandare i fanghi a bruciare a Marghera e 40.000 litri di schifezze al giorno a coloro cha abitano un po’ più a Sud di Arzignano, provocando danni ingenti alla salute di tante persone, soprattutto bambini, è un crimine che non possiamo tollerare.


SBOCCO DEL DOTTO ARICA A
COLOGNA VENETA
(Foto aerea sbocco G.Peruffo)

In secondo luogo, e parlo esclusivamente a coloro che pensano egoisticamente di farla franca e che la cosa non li riguardi, e non sanno che quelle schifezze che spediamo nei campi del Sud del Veneto ritornano nei nostri piatti in forma di radicchi, cavoli, frutta, uova e bistecche. Se non sono generosi con gli altri, cerchino di aprire gli occhi almeno su quello che ogni santo giorno si trovano nel piatto e nei bicchieri.

Affidiamo il nostro scritto alla intelligenza dei lettori che sono, in massima parte, le vittime di quanto da troppi anni avviene nel Veneto occidentale. 

Auspichiamo che la lettura del post possa stimolare i cittadini a prendere atto della necessità di far partire  urgentemente  la bonifica di questa parte molto grande della regione; le risorse europee ci sarebbero, ma vanno richieste. Ne va della salute di tutti. E' necessario pertanto che ognuno si attivi, nel modo che gli sia più congeniale, per la difesa  della propria salute, per quella dei propri cari e della comunità tutta.

            Noi crediamo nel ruolo della cittadinanza attiva e pensiamo che documentare sia il modo migliore perché autonomamente si intervenga positivamente nella società.

Come nostro costume, le nostre relazioni sono sostanziate da un corredo di ampie documentazioni scientifiche. Le due tabelle che abbiamo inserito nel testo servono a darvi una immagine immediata del reale stato di cose. Si tratta di documenti ufficiali. Ne abbiamo in archivio molte altre che sono a vostra disposizione se voleste richiederle, così come i documenti relativi. Basta scrivere alla redazione di CiLLSA  cillsa4@gmail.com 


   Riteniamo possa interessarvi un articolo dell'Espresso che illustra efficacemente i rapporti e le correlazioni tra Covid 19 e inquinamento da PFAS https://web.whatsapp.com/#

 

Giovanni Fazio