È apparso in questi
giorni un endorsement a favore delle concerie che il mio amico Piero avrebbe
potuto risparmiarsi dopo il reportage di PRESADIRETTA.
La trasmissione non
lascia dubbi sulle responsabilità del distretto della concia arzignanese relativamente
al disastro ambientale provocato dai SUOI reflui.
L’accusa di “ideologismo” a chi denuncia, con documenti alla
mano, i dati drammatici dell’inquinamento da PFAS non regge di fronte alle
numerose schiaccianti evidenze.
Concordo tuttavia
con Piero sulla critica al depuratore arzignanese:
“Da sempre il depuratore di Arzignano non è in grado di
depurare gli scarichi industriali in maniera adeguata. I reflui del
depuratore sono fuori dai parametri previsti per legge per diverse sostanze
(PFAS compresi) da quando è stato costruito.”
Una analisi, quella
di Piero, seria.
Altra è, invece, la
considerazione che leggiamo nella brochure del Consorzio A.Ri.C.A.
“A.Ri.C.A. non si limita a gestire l’impianto di canalizzazione
(Collettore). Monitora il rispetto dei limiti per le acque conferite e agisce
per farli rispettare. Provvede a trattamenti che concorrono a migliorare la
qualità delle acque ricevute e poi scaricate. È parte attiva nei programmi
territoriali per ridurre la pressione degli inquinanti sulle acque di
superficie.”
Leggendo tale idilliaca descrizione del
tubone A.Ri.C.A. non sappiamo se ridere
o piangere pensando agli scoli tossici che si riversano nel Fratta Gorzone
grazie alle amorose cure di Regione, Conciari e A.Ri.C.A. malgrado le quali, il
fiume, tuttavia, è stato dichiarato da ARPAV biologicamente morto. (Amen)
Non è difficile individuare la causa di ciò
nell’azione di coloro che hanno condizionato, fin dall’inizio, l’efficienza del
depuratore, per avere più margini e meno spese dallo smaltimento dei propri
rifiuti.
La responsabilità di quanto accaduto è anche di coloro
che avrebbero dovuto controllare e non lo hanno fatto (Regione, Province, Comuni
e Gestori delle acque).
Si tratta di una realtà
istituzionale complessa sulla quale, oggettivamente, pesa più l’interesse
economico degli imprenditori della concia che la salute dei cittadini.
Pertanto, non è che il guasto sia dovuto, come
afferma Piero, al fatto che “il depuratore sia gestito dalla politica” bensì
al fatto che la politica è gestita da sempre dai conciari.
La conferma di ciò la
possiamo leggere nell’allegato a DGR nr. 359 del 22 marzo 2017 pag. 8 del Patto
Stato Regione, che qui riporto.
“In particolare, nella considerazione
della contaminazione storica che alcune aste fluviali hanno subito,
soprattutto nella matrice dei sedimenti, da parte delle industrie conciarie, il piano
rileva che il ripristino delle comunità biologiche non è compatibile con il
raggiungimento, ancorché in regime di proroga, degli obiettivi della DQA
e fissa, pertanto, per cinque corpi idrici del bacino del Fratta-Gorzone,
l’obiettivo del raggiungimento dello “stato sufficiente” entro il 2027.
Nel Piano si evidenzia inoltre la presenza diffusa di sostanze
perfluoro-alchiliche (PFAS) nelle acque superficiali e sotterranee del
bacino in oggetto e viene riportato il “programma preliminare di misure finalizzate all’abbattimento delle concentrazioni delle
sostanze PFAS, già in parte operative;”
Non
siamo noi, pertanto, a indicare le industrie conciarie come responsabili del
disastro bensì un documento da esse stesse sottoscritto.
Una ammissione di colpa
cui nessuno ha, fino ad ora, fatto caso.
Per essere onesti, bisogna
dire, come ha confermato, candidamente, in trasmissione, il direttore di Acque
del Chiampo, che “il vero motivo della scarsa funzionalità del depuratore è
dato dal fatto che le concerie scaricano in fognatura di tutto, comprese decine
di tonnellate di prodotti a base di PFAS”.
A ciò si sarebbe
potuto ovviare con l’attuazione del PATTO STATO REGIONE, un accordo di
programma siglato nel 2005 per salvare il fiume e il suo bacino dal degrado
totale.
I lavori previsti
da tale accordo non sono mai nemmeno iniziati. Dopo la sua scadenza, nel 2017 l’accordo
di programma è stato rinnovato, con scadenza al 2027.
Il “Patto”, così
aggiornato, contiene utili progetti come quello di mettere i filtri a
carboni attivi in ingresso all’acquedotto industriale, separare i fanghi
civili da quelli industriali, separare i fanghi della pre-concia da quelli
della concia, vietare lo scarico di sostanze PFAS in fognatura, riciclare
l’acqua invece di immetterla nell’ambiente ecc.
Suonano particolarmente
irrisorie, però, certe previsioni scritte su un patto che non partirà mai:
“… È previsto per cinque corpi idrici del
bacino del Fratta-Gorzone, l’obiettivo del raggiungimento dello “stato
sufficiente” entro il 2027”
Infatti,
anche questa volta, i lavori che sarebbero dovuti iniziare nel 2017 non sono
mai partiti. E siamo alla fine del 2021.
Una presa in giro.
Già nel lontano 2005, la
bonifica avrebbe dovuto esser realizzata. Il vantaggio per tutti i
cittadini sarebbe stato quello di non sprecare più l’acqua dell’Adige
per diluire(illegalmente) la fogna dell’A.Ri.C.A., di non trovare i PFAS nei prodotti
alimentari provenienti dalla bassa pianura veneta inquinata, di sostenere
migliaia di agricoltori e, non ultimo, di salvare tanti bambini
dalle conseguenze della contaminazione, evitare aborti , dimezzare il
numero di ictus che affliggono la nostra zona e tanti altri vantaggi per
la nostra salute seriamente condizionata dai PFAS.
Tutto ciò non interessa ai protagonisti di questa storia mentre,
alcuni di loro, sono fortemente interessati alla costruzione di un
inceneritore da realizzare ad Arzignano e alla privatizzazione di Acque
del Chiampo.
Proprio questi, pensiamo, siano i veri obiettivi (non dichiarati)
che hanno scatenato i gruppi di minoranza consiliare contro l’Amministrazione
arzignanese, contraria all’incenerimento dei rifiuti e alla privatizzazione del
gestore delle acque.
L’altra faccia della medaglia rispetto agli enormi profitti
realizzati dai conciatori è rappresentata da un immane disastro ambientale che
ha colpito centinaia di migliaia di persone e agricoltori, in una area che
include il sud di tre province venete.
Chi ha realizzato i guadagni non vuole farsi carico delle spese
enormi necessarie alla bonifica dei fiumi e del territorio da essi devastato.
Questo è sufficiente a spiegare perché i bei progetti restano solo nella carta
ma non partono mai.
A fronte di ciò i danni restano a carico della restante
popolazione.
Tocca a noi subire le conseguenze del disastro e le spese
necessarie che si devono sostenere per far sopravvivere un terzo del territorio
del Veneto.
Tale modo di agire è giunto al capolinea. Non crediamo che i
cittadini siano ancora disposti a sopportare ulteriori vessazioni.
Non ci lasceremo inquinare anche l’aria, già abbastanza
compromessa dalle esalazioni della concia e dei depuratori.
Tutte le persone di buon senso si opporranno
alla privatizzazione dell’acqua e alla costruzione di un inceneritore ad
Arzignano.
Avvertiamo chi di dovere che la festa è finita.
Giovanni Fazio