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martedì 6 marzo 2018

Chi non sa riconoscere il vento della rivolta perderà per l’ultima volta il treno della storia.





























Fiumi di parole, per lo più provenienti dall’oltre tomba politico, invadono le pagine dei quotidiani.

Si tratta di opinionisti che vogliono interpretare il presente che ha rotto ogni paradigma con il passato con gli strumenti inadeguati del rottame ideologico della narrazione neo liberista.

Chi fino al quattro marzo ha guardato il mondo da dietro le lenti deformanti del pensiero unico si trova smarrito davanti ad un vero e proprio fenomeno di massa: il rigetto liberatorio della vecchia politica piena di ipocrisie, luoghi comuni e rifiuto istintivo delle “riforme”.

Il coretto degli opinionisti e dei politici non ha mai specificato che non di riforme si trattava ma di controriforme che in pochi anni hanno spazzato via il diritto al lavoro, alla salute, alla pensione e alla istruzione.

Abbiamo assistito, ad un attacco micidiale allo stato sociale come non si era mai visto fino ad ora, il tutto declamato con i toni rudi del precedente presidente del consiglio o con quelli modesti da cane bastonato di Gentiloni.

 In questo clima di privatizzazioni selvagge, mentre il paese andava allo sfascio, si giustificava la necessità delle controriforme per combattere un mostruoso debito pubblico, scegliendo la strada inaugurata dalle lobby europee in Grecia, dove tutto è stato svenduto all’avidità delle multinazionali della rapina europea.

Ultimo boccone sono stati tutti gli aeroporti greci, ingoiati in un sol colpo dalle banche tedesche.

La legge del profitto e della cosiddetta crescita ha pervaso la mente di chi governava.


E’ stato così che un ministro della “sinistra” ha ritenuto che il patrimonio culturale del paese non fosse tale se non produceva profitto.
 Il metro mercatista è stato quello con cui sono stati misurati tutti i valori etici, morali e ideali di una intera nazione. 

Ogni cosa, secondo la religione del pensiero unico, ha valore se monetizzabile o scambiabile, se può essere ridotta ad oggetto e quindi comprata o venduta.


Il primo valore fondante della nostra costituzione, il lavoro, grazie alle riforme introdotte dalla “sinistra” al governo, è stato trasformato in merce.

 Un esempio locale di come si sia ridotto il lavoro ce lo dà, sul Giornale di Vicenza, la UILTEC

Crescono gli impiegati della concia, settore trainante dell'Ovest Vicentino.
 La differenza tra nuovi assunti e rapporti di lavoro cessati nel corso del 2017 dà infatti un risultato positivo, con 220 contratti in più.
 Entrando nel dettaglio, nel 2017 il comparto contava 11.665 contratti di cui 9475 in somministrazione, ossia brevi con agenzie, 1160 assunti a tempo determinato, 730 a tempo indeterminato e 300 apprendisti.”

La UILTEC e il Giornale di Vicenza esultano per quelli che non si chiamano più posti di lavoro ma “contatti” dove su 11.665 lavoratori solo 730 sono a tempo indeterminato (che poi, grazie all’abolizione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, rientrano anche essi nel precariato).

Di questo tipo di occupazione si è gloriato recentemente il Presidente del Consiglio Gentiloni, facendosene un merito. Ma di cosa stiamo parlando?





 Lavoro interinale, senza nessuna garanzia occupazionale, utilizzabile a piacere, quando serve, facendone a meno quando c’è un po’ di molla.
Una condizione di lavoro dove non si può fare altro che ubbidire al capo e dire signorsì, qualunque sia l’ordine che viene impartito. 
Ma, proseguiva il premier, con quell’ aria da cane bastonato che piace tanto ai corifei della stampa nazionale, che non bisognava fermarsi ai risultati raggiunti ma bisognava proseguire nelle riforme. Riforme che consistono in ulteriori tagli alla spesa pubblica.

Dall’altra parte, quella dei beneficiati dalle riforme del lavoro, c’è un clima euforico.

 Scrive il Giornale di Vicenza :

  La “flessibilità” sul lavoro ha avuto il successo che ci si aspettavaSuperato il picco di settembre: +4,69% di prodotti con un nuovo record mai toccato negli ultimi 7 anni L'export vola: +6,23% extra-Ue e +5,45% in Europa
L'accelerazione continua.
La 138a indagine congiunturale di Confindustria Vicenza per il 4° trimestre 2017 certifica come l'anno scorso abbia segnato una svolta per l'economia berica: si conferma un trend di crescita di rilievo. «Si chiude un anno con numeri straordinari, una crescita che avevo ribattezzato "da tigri asiatiche" e si conferma tale - commenta il presidente Luciano Vescovi -. Avevamo la percezione che questo andamento potesse reggere per tutto l'anno, ora i dati confortano queste impressioni. Siamo davvero soddisfatti: i risultati rimarcano la grande capacità delle nostre realtà, per lo più medie imprese, flessibili e fortemente votate al commercio con l'estero, di saper cavalcare al meglio l'onda della ripresa globale.
 Ora però abbiamo bisogno di essere messi nelle condizioni di proseguire su questa strada e per farlo abbiamo bisogno di stabilità a livello politico. La prima cosa che dovrebbe fare il nuovo governo, sempre che questa legge elettorale assurda permetta di comporne uno, è non fare confusione e lasciarci lavorare come sappiamo».                                                                                                                        



Si sa, i padroni non sono mai contenti e pretendono che li si lasci fare “come sappiamo”.
        

Da una parte i profitti del commercio estero ingrassano i conciari mentre dall’altra un esercito di operai precari, in gran parte di origine straniera, vivono al limite di pura sussistenza, senza nessuna certezza per il domani, senza diritti reali, in mano alle agenzie e ai capi.

Questa è appunto una immagine dell’Italia a due velocità e a due direzioni: una verso l’alto e l’altra sempre più in basso. Una che oltre ai profitti batte cassa agli sportelli generosi dello stato (“perché produce occupazione”) e l’altra che non sa dove sbattere la testa.

E’ contro questa immagine di una Italia a due velocità e a due direzioni che si è ribellata il 4 marzo la gran maggioranza dei cittadini.
Saluto pertanto con gioia un fenomeno politico che nobilita il nostro paese.

Restano ora davanti a chi è stato l’espressione politica di questa rivolta, compiti immani.

Il primo è quello di non farsi omologare dalla vecchia politica e dalle lobby di Bruxelles, dando un colpo di reni e rilanciando una politica estera dignitosa e non servile, come è stata quella che ha caratterizzato quella italiana di questi anni.

 Imporre ai vampiri della commissione europea l’obbligo di far valere per tutti gli stati le norme sull’accoglienza dei migranti, pena procedura di infrazione.

Nei confronti dei vari Kascinski, Orban e di tutti gli staterelli, compresa l’Austria, che si permettono di ignorare le regole, non solo del rispetto degli altri partner ma anche quelle della democrazia, un atteggiamento fermo sul rispetto degli obblighi comunitari.

 Nemmeno un euro a chi fa il furbo, pena la fuoriuscita dell’Italia dall’unione o la cacciata dei furbetti del quartierino europeo.

In politica estera i nuovi arrivati dovranno confrontarsi con le problematiche del debito pubblico e del livello insopportabile degli interessi (80 miliardi questo anno).


Dovranno confrontarsi con le regole sulla emissione della moneta, sulla necessità di un controllo federale e statale dell’economia attraverso banche pubbliche che mettano ordine nel caotico mondo della finanza privata e diano tutela e garanzia al risparmio e al credito.

Dalla salvaguardia dell’ambiente alla ricostruzione di una economia circolare che abbia al centro i servizi e il welfare, alla riscrittura dello statuto dei lavoratori.

Come l’uomo in rivolta di Camus la gran massa di coloro che fino ad ora sono stati ignorati e degradati pretende una palingenesi che non sarà un nuovo ordine ma, se tutti noi coopereremo al cambiamento, un nuovo umanesimo.

Noi ci auguriamo che così sia e che tutti gli uomini di buona volontà partecipino, anteponendo i bisogni importantissimi di milioni di donne, uomini e giovani alle ideologie, esaltando le differenze come valore aggiunto.

Come diceva una canzone degli Inti Illimani

“ Porqué esta ves no se trata
De cambiar un presidente.
Serà el pueblo que costruja
Un Cile bien diferente.”







Giovanni Fazio


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