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mercoledì 23 agosto 2017

NUOVI E VECCHI VELENI SOTTO LA MITENI

Manifestazione al tribunale di Vicenza
La storia di Miteni descrive crimini aziendali che si perpetuano per decine di anni nella assoluta impunità.

Navi cariche di sostanze tossiche da scaricare in mare o nei paesi africani, benzene e altri veleni interrati nel sottosuolo dello stesso stabilimento, acque inquinate da decenni in tutto il vicentino e nelle provincie vicine.

Vi dice niente tutto ciò? Credete che si tratti di un caso isolato?

Gli stessi ex proprietari di Rimar, poi diventata Miteni, hanno esportato il lavoro e il modello veneto in un povero paese della Calabria.
Anche lì una fabbrica chiamata “Marlane” ha distribuito i doni che oggi ci elargisce Miteni. 
Anche lì, in quello che era stato un ridente paese aperto sul mar Tirreno sono state interrate nel sottosuolo dello stabilimento tonnellate di veleni (un vizietto di famiglia duro a morire) che hanno inquinato le falde e gli uomini.

Cittadini di Praia a mare protestano
Ma questa impunità, per cui si possono derubare migliaia di cittadini che ingenuamente depositano i risparmi di una vita nella banche venete oppure versare nei vari depuratori del triangolo Trissino, Arzignano, Montebello e Lonigo sostanze tossiche derivate dalla lavorazione della concia e altro e arricchirsi mostruosamente lasciando alla comunità l’onere di depurare quello che non è depurabile, non vi fanno riflettere?


Praia a Mare

 Il modello Veneto, quello dove si interrano i rifiuti di fonderia sotto le nuove autostrade, dove si costruiscono a spese dei contribuenti costosissime e inutili superstrade pedemontane o sfacciatamente si buttano al vento milioni di euro per costruire un nuovo ospedale a Montecchio quando ce ne è già uno, costato una fortuna, ad Arzignano, nella complicità più assoluta di sindaci, stampa e bande politiche che gestiscono da decenni la nostra regione, non vi fa ribrezzo?

Non sapendo dove buttare quello che rimane dei PFAS e del cromo, metalli pesanti e altre porcherie, hanno costruito un condotto chiamato “tubone” che arriva fino a Cologna Veneta, fino ad ora, ma che si spera di allungare, con i soldi che Zaia & C reclamano da Roma, fino alla laguna di Venezia, con buona pace dei banditi del MOSE.

Sbocco del dotto ARICA

Nel frattempo la gente si ammala e muore nella cosiddetta “zona rossa”.
Nel sangue dei quattordicenni di Lonigo e Montagnana si trovano percentuali altissime di PFAS.

Latte, galline, uova, pesci e vitelli subiscono la stessa sorte degli uomini: 

che c’è di strano? La prerogativa di assorbire i PFAS non è solo un privilegio che riguarda gli esseri umani.

Tutta la natura tripudia di piante al PFOA o ai nuovi PFAS, cosiddetti a catena corta, quelli prodotti da MITENI solo dal 2015 e che sono già ampiamente presenti nei nostri acquedotti per la gioia di Giorgio Gentilin che li chiama “Acque oligominerali”.

 Da dove ci sono arrivati secondo voi? 
Zaia, sai dare una risposta anche a questo o proporrai una plasmaferesi anche per le vacche e per i vitelli?   

Cosa? Non partecipano al referendum? Allora possiamo lasciarli come sono e spedire bistecche e salsicce i tutta Italia, tanto qui fanno notizia solo le uova inquinate che vengono dall’Olanda.

Di quelle autoctone, prodotte dalle nostre galline padovane non parla, come al solito, nessuno.

 Bocche cucite, come sempre. E pensare che credevamo che l’omertà fosse una virtù del vituperato SUD terrone, sì, quello dove abbiamo spedito per anni una parte dei nostri veleni con un formidabile accordo con mafie e camorre.


Ma sì, andiamo coralmente tutti a votare per l’indipendenza del Veneto,
insieme al PD e a tutti quelli che non vogliono perdere il treno del referendum.

 Si sente proprio il bisogno di un Kazakistan nella pianura padana, libero e indipendente.
Un paese dove Monsanto può investire in vigneti al glifosato, un paese che può erogare liberamente veleni DOC non solo ai ragazzi veneti ma anche a quelli di tutto il mondo.

Giovanni Fazio

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