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domenica 28 gennaio 2024

VELENO A TAVOLA

 



Nel Veneto nessuno è in grado di sapere cosa sta mangiando.

Tonnellate di prodotti agroalimentari arrivano quotidianamente ai mercati dalle zone inquinate. Ogni giorno noi e i nostri bambini siamo esposti ai PFAS.

Nessuno controlla.

Il nuovo "Piano regionale di sorveglianza PFA" non è sufficiente.                   

Non è la soluzione del problema se non è urgentemente accompagnato da un  piano di prevenzione e di bonifica generale, tale da proteggere la salute e la vita dei cittadini.

Sono passati dieci anni dalla scoperta dell’inquinamento di mezzo Veneto, provocato da Miteni. Centinaia di migliaia di cittadini contaminati in tutto il territorio e non solo nella “zona rossa”.

In questo post tutto quello che i cittadini debbono sapere.

 Ricomponendo il puzzle dei dati sulla contaminazione da PFAS, raccolti su piante e animali nei vari monitoraggi  che dal 2015 in poi si sono susseguiti, in parte totalmente cancellati per presunti errori nella raccolta dei dati, in parte interrotti  e ripresi per varie cause, la Regione Veneto intende portare a termine l'ennesimo piano di monitoraggio sugli alimenti. Non si sa però per quali  arcane ragioni, siano stati esclusi dalla ricerca i prodotti di origine animale.

Malgrado l'incompletezza dei dati, una cosa certa è emersa da questi monioitoraggi:

     i cibi sono fortemente contaminati da PFAS in una vastissima parte del territorio. Sono contaminati gli animali, le piante e i derivati, uova, latte latticini ecc. 

Il caos che ha caratterizzato il comportamento della Regione Veneto in questi lunghi anni di incertezze e di nuovi allarmi, scientificamente confermati, si riflette su una parallela confusione delle istituzioni europee e del parlamento Italiano.

Lo stallo della prevenzione che ne deriva lascia indifesi ed esposti alla contaminazione i cittadini del Veneto

Incredibili divieti di accesso ai laboratori di analisi per la ricerca dei pfas nel sangue,  mancanza di indagini epidemiologiche, mancata formazione degli operatori sanitari,  mancata demarcazione e blindatura delle aree inquinate per evitare la diffusione della contaminazione, mancata bonifica di Miteni, dei fiumi e il vano tentativo di liberarsi dei PFAS bruciandoli, sono l’espressione di una assoluta mancanza di strategia e del tentativo di mettere in sordina il più grande evento contaminante che si sia mai registrato nella storia del Veneto.

 LA DOSE AMMISSIBILE DI VELENO (DGA)

René Truhaut, tossicologo francese  (1909/1994),  per molti anni direttore del laboratorio di tossicologia della facoltà di farmacia dell’università di Parigi, è l’inventore del metodo per definire la DGA (Dose ammissibile giornaliera) per le sostanze tossiche presenti nei cibi e nelle bevande.

A causa della sua grande notorietà di scienziato, il metodo da lui creato è stato adottato pedissequamente dai laboratori di tutto il mondo anche se tale metodo non è costruito su basi scientifiche ed è traballante anche dal punto d vista del conflitto di interesse.   Lo steso autore, dichiara pubblicamente che il suo metodo non è stato mai pubblicato sulle riviste scientifiche.

Esso ha, di fatto, permesso  l’ingresso legalizzato di agenti tossici negli alimenti, negli ambienti di lavoro e negli ambienti biologici dei soggetti esposti.

La richiesta di un metodo per misurare l’effetto di additivi chimici negli alimenti proveniva dall’industria alimentare, per cui nel 1956, fu istituito da FAO e OMS un comitato di esperti sugli additivi alimentari (JEFCA).

Nel 1961, malgrado i limiti del metodo proposto da Truhaut, il JEFCA lo adottò ufficialmente nella sua sesta sessione.

In che consiste il metodo Truhaut

Tecnicamente la dose giornaliera ammissibile di un additivo alimentare viene proposta dal produttore in base ad esperimenti eseguiti su animali, e verificata da un ufficio di controllo. Con la somministrazione di cibo a roditori viene anzitutto appurato il grado massimo di tossicità. Quest'ultimo viene misurato tenendo conto della quantità di sostanza che provoca la morte del 50% delle cavie. Tale dose è chiamata DL (dose letale al 50%). 

Si tratta di un metodo empirico che considera il metabolismo umano uguale a quello delle cavie ma non è dimostrato che ciò sia vero per tutte le sostanze. Inoltre non sono considerati i danni epigenetici, cioè quelli che si scoprono nei figli di coloro che hanno mangiato i cibi contaminati.

Infine, non è scientificamente vero che gli effetti tossici dipendono dalla quantità ingerita, anzi, a volte, si hanno effetti inversi, soprattutto per tossici di piccolissime dimensioni. 

Questi e altri sono i motivi per cui il metodo di  René Truhaut non fu mai pubblicato nelle riviste scientifiche.

 Nota: la DGA è recentemente evoluta in  TWI (TOLERABLE WEEKLY INTAKE) cioè dose accettabile settimanale. Per tale ragione da ora in poi useremo solo il termine TWI.

 L’ILSI 

“ILSI è una federazione globale senza scopo di lucro impegnata a migliorare la salute pubblica e planetaria riunendo esperti internazionali del mondo accademico, del settore pubblico, del settore privato e di altre ONG per promuovere la ricerca scientifica basata sull’evidenza. Scopri di più sulla nostra missione, visione e principi operativi .Scienza collaborativa per alimenti sicuri, nutrienti e sostenibili.

ILSI opera nel quadro dei più alti principi di integrità scientifica . I nostri professionisti e volontari di fiducia in tutto il mondo lavorano in sinergia e trasparenza in tutti i settori e le discipline”. 

Questo è quello che si legge nel sito della ONG.

L’ILSI è da tempo promotore e sostenitore della dose giornaliera ammissibile. 

Fondata a Washington nel 1978 da grandi aziende del ramo agroalimentare (Coca Cola, Heinz, Kraft, General Foods, Procter e Gamble cui si sono unite successivamente altre aziende del settore agroalimentare (Danone, Mars, McDonalds, Kellog’s, Ajimoto, il principale produttore di Aspartame), così come aziende del mercato dei pesticidi (Monsanto, Dow, AgroSciences, DuPont, Nemours , Basf) e del settore dei farmaci (Pfizer, Novartis).

Ad eccezione del settore farmaceutico, tutte queste aziende hanno prosperato grazie all’avvento della cosiddetta “Rivoluzione Verde Agroalimentare”: producono o utilizzano sostanze chimiche che contaminano i nostri alimenti.

L’ILSI , fino al 2006, godeva di uno statuto speciale in seno alla OMS, poiché i suoi rappresentanti potevano partecipare direttamente  ai gruppi di lavoro creati per stabilire le norme sanitarie internazionali.

L’agenzia delle Nazioni Unite ha poi abrogato tale privilegio quando è chiaramente emerso il lavoro di lobbying di questo organismo che, sotto il manto di una pseudo indipendenza, promuoveva gli interessi dei suoi membri.

PRIMO MOTIVO PER NON USARE LA TWI  per dosare i PFAS negli alimenti.

Considerando quanto detto sopra, il carattere empiristico, approssimativo e non scientifico di questa misura, utile solo alle grandi lobby della trasformazione e della produzione alimentare, riteniamo non utilizzabile questo metodo per una corretta definizione della edibilità di una sostanza chimica.  

 UN SECONDO MOTIVO PER NON USARE LA TWI per i PFAS:

La Persistenza. 

Detto questo, un secondo motivo per cui non è scientifico utilizzare la DGA o la dose settimanale (TWI) è dovuto al fatto che i PFAS sono molecole persistenti, cioè sostanze pressoché indistruttibili che rimangono e si accumulano nei nostri organismi per anni prima di esserne espulse.

 Per esempio, il PFOS ha un tempo di dimezzamento di 5 anni. Pretendere di stabilire una dose innocua, sia pure minima, per i PFAS significa ignorare questo precipuo aspetto delle molecole perfluoroalchiliche e ciò non fa onore all’EFSA (Autorità Europea per la Salute Alimentare)

 

UN TERZO MOTIVO PER NON USARE LA TWI:

migliaia di molecole perfluoroalchiliche 

         Un terzo motivo per cui non ha senso usare la TWI per determinare la dose minima di PFAS negli alimenti è che di tutte le molecole PFAS, diverse migliaia fino ad ora prodotte dall’industria chimica, solo una ventina sono state studiate e di sole 4 è stato calcolato il TWI. 

    Un po’ pochino per molecole molto tossiche,  scoperte nel Veneto da più di dieci anni. Procedendo di questo passo, forse nel 2100 arriveremmo ad una mappatura delle migliaia di molecole esistenti; nel frattempo …  Di tutte le altre migliaia non si sa niente, e soprattutto quali e in quale quantità siano presenti negli alimenti.

In realtà non esistono dosi innocue di PFAS: sono molecole molto tossiche,  insidiose e resistenti capaci di determinare danni notevoli già nella misura di pochi nanogrammi (miliardesimi di grammo). 

Infine, lo IARC (International Agency for Research on Cancer) ha recentemente classificato il PFOA “cancerogeno di gruppo 1” “cancerogeno certo per l'uomo”.

L’ EFSA  con il suo TWI, non c’è ancora arrivata e continua a centellinarne dosi accettabili nei cibi. Pensiamo che anche per lei sia venuta l’ora di voltare pagina. (Tra l'altro non ha ancora provveduto a rimuoverne la dose accettabile, malgrado ormai sia accertato che il PFOA è cancerogeno). 


In armonia con quanto detto da sempre in merito da ISDE  (Associazione Internazionale dei Medici per l’Ambiente), l’unico livello accettabile di pfas negli alimenti è zero. 

Partiamo dal fatto che attualmente la casa brucia e che l’incendio dura da dieci anni senza che nessuno si sia preso la briga di spegnerlo.

Anche un bambino è in grado di comprendere, che prima di attivare continui studi su come determinare la natura e l’uso di materiali ignifughi con cui si debbano costruire le case è necessario chiamare i pompieri e spegnere l’incendio.

 In parole spicciole. Chi avrebbe dovuto immediatamente controllare i prodotti agroalimentari provenienti dalle zone inquinate  e supposte tali non lo ha mai fatto. In tal modo, migliaia o forse milioni di tonnellate di alimenti, sospetti di essere inquinati da PFAS e cancerogeni, sono state immesse nel mercato e centinaia di migliaia di persone hanno inconsapevolmente ingerito per anni alimenti contaminati da  PFAS in tutto il Veneto e altrove e non soltanto nella Zona Rossa.

 

Il Dipartimento di Prevenzione Regionale è in grado di spiegarci questo comportamento o dobbiamo ancora ascoltare la motivazione secondo cui ancora non sappiamo se i PFAS siano causa diretta di malattia ripetuta come un mantra, per  anni, dai responsabili regionali della prevenzione e, a scendere, dalle ULSS del Veneto?

Da anni sono noti molti dei meccanismi con cui agiscono i PFAS nel nostro organismo. Essi sono in grado di  generare, autonomamente moltissime malattie e tumori, a prescindere dalle errate abitudini di vita citate sempre dai responsabili regionali della prevenzione.

Dobbiamo anche sentirci dire che, se non sappiamo quali PFAS e in quale quantità sono presenti negli alimenti, non siamo in grado di verificare il rischio per i cittadini del Veneto che li mangeranno?

A noi ciò sembra un’ottima ragione per escluderli tutti. Continueremo a comprare e mangiare mele marce fin quando chi di dovere non ci fornirà la misura secondo la quale una mela si possa definire tale e anche marcia?

Quante donne in gravidanza e quanti bambini sono stati contaminati dai PFAS in tutto il Veneto, e non solo nella cosiddetta Zone Rossa?  

Gli alimenti, come del resto i rifiuti dei depuratori, viaggiano tranquillamente, direi scorrazzano, per il Veneto grazie alle magnifiche leggi che regolano il libero mercato?

Non lo sapremo mai, grazie anche al divieto di usare i laboratori di analisi, per controllare il nostro sangue, imposto da chi legifera in merito nella nostra regione.

Quanti sono i morti per ictus, infarto, tumori e altro provocati dalla presenza di queste molecole nel sangue dei residenti in Veneto?                Non lo sapremo mai perché le indagini epidemiologiche proposte non sono mai state effettuate: chissà perché. 

Tuttavia abbiamo uno studio epidemiologico effettuato dalla Regione Veneto nel 2011, epoca ancora non sospetta, che evidenzia un numero di ictus cerebrali quasi doppio della media regionale nella ULSS 5 (nella quale all’epoca erano inclusi alcuni territori oggi definiti Zona Rossa). La cosa non suscitò alcun sospetto all’epoca.

  


 

 

 

 

  È dal 2015 che la Regione risponde alla esigenza di una dieta non inquinata da PFAS proponendo studi sulla contaminazione delle piante e degli animali nelle zone inquinate. Studi i cui esiti, a volte, sono stati distrutti (perché fatti male), oppure interrotti (perché c’è il Covid). Oppure (non considerati, in attesa di ulteriori accertamenti). Così si è tirato avanti bellamente di anno in anno cercando di fare dimenticare alla gente quello che mangia ogni giorno, senza prendere alcun provvedimento. 

Alla luce di queste considerazioni, andiamo ad esaminare il caos e la schizofrenia che sembrano guidare le azioni della Commissione  Europea, della Regione Veneto e del Parlamento italiano. 

Cominciamo dall’acqua potabile e dal limite massimo di PFAS  fissato dalla Commissione Europea  e dalla Regione Veneto che lo recepisce ( Dlgs 18/2023 ) è di 100 nanogrammi di PFAS totali per litro.

Useremo la TWI poiché è questo il parametro usato dai legislatori.

Tale limite confligge con quello previsto  dall’EFSA (Autorità Europea per la Salute Alimentare) che fissa la TWI  quantità settimanale di PFAS che si possono assumere senza rischio a 4.4 nanogrammi per KG di peso corporeo.

 Se utilizziamo questo metodo, malgrado quanto detto sopra, possiamo prendere ad esempio cosa accadrebbe ad un bambino del peso di kg 10 .

Secondo la TWI otterremo una dose limite giornaliera di 6,2 nanogrammi al dì.

Tenendo presente che un litro d’acqua può contenere per legge ng.100 di PFAS per litro, per rimanere dentro i limiti previsti dall’EFSA il bambino potrà bere in un giorno non più di 62.8 grammi di acqua.

 Come è evidenziato da questo esempio che chiunque può eseguire sul proprio peso corporeo, l’idea che un bambino non possa bere più di 62 grammi di acqua, legalmente inquinata, al dì è irragionevole. Questo comunque è il dettato dell’EU e della Regione Veneto. 

È evidente che l’errore consiste nel fatto di pensare che negli acquedotti di tutta Europa possano scorrere, assieme all’acqua, PFAS fino a100 nanogrammi /litro.

l'acqua della salute

Quale laboratorio scientifico o quale università ha fornito tale dose a Ursula Von der Leyen? Non è dato saperlo ma è probabile che la dose sia stata suggerita dalle lobby della chimica.

 

LA RACCOMANDAZIONE UE DEL 24 AGOSTO 2022

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32022H1431&from=EN

 L’attenzione della EU sugli alimenti cresce , mentre nel frattempo la Regione Veneto sonnecchia.

Il 24 agosto del 2022 viene infatti spedita a tutti gli stati membri la raccomandazione (UE) 2022/1431 della Commissione Europea relativa al monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche negli alimenti. Il documento raccomanda di eseguire il monitoraggio relativo ad una ventina di molecole PFAS e i loro sali. Ovviamente esorta i paesi membri che ne fossero sprovvisti ad allestire rapidamente laboratori di massima precisione.

Tra le altre disposizioni gli Stati membri dovrebbero fornire all’Autorità i dati di monitoraggio su base regolare, unitamente alle informazioni e nel formato elettronico di comunicazione stabilito dall’Autorità, ai fini della compilazione in un’unica banca dati.

 Gli Stati membri dovrebbero: 

a) trasmettere i dati provenienti da regioni notoriamente ad elevato inquinamento ambientale come campioni sospetti, in particolare in relazione a pesce, selvaggina, pollame allevato all’aperto, frutta e ortaggi coltivati all’aperto; 

b) specificare il tipo di produzione, in particolare per i prodotti di origine animale (animali selvatici, raccolti o cacciati rispetto alla produzione non biologica o biologica; produzione all’aperto rispetto ai metodi di produzione al chiuso) e funghi (selvatici o raccolti rispetto a coltivati); 

c) per le carni e le frattaglie di selvaggina indicare, ove possibile, l’età degli animali;

 d) per gli alimenti destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia, indicare gli ingredienti principali (latte vaccino, semi di soia, pesce, carne di animali terrestri, cereali, ortaggi o frutta).

 Nulla di tutto ciò è stato fatto.



 IL NUOVO REGOLAMENTO UE 2022/2388

7 DICEMBRE 2022

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32022R2388&from=EN

 Il 7 dicembre del 2022 la UE invia il nuovo REGOLAMENTO (UE) 2022/2388 DELLA COMMISSIONE che modifica il regolamento (CE) n. 1881/2006 per quanto riguarda i tenori massimi di sostanze perfluoroalchiliche in alcuni prodotti alimentari.

 Il 9 luglio 2020 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare («Autorità») ha adottato un parere sul rischio per la salute umana connesso alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche negli alimenti (3). L’Autorità ha concluso che il PFOS, il PFOA, il PFNA e il PFHxS possono provocare effetti sullo sviluppo e possono avere effetti nocivi sul colesterolo sierico, sul fegato nonché sul sistema immunitario e sul peso alla nascita. Essa ha considerato gli effetti  sul sistema immunitario come l’effetto più critico e ha stabilito una dose settimanale tollerabile (TWI) di gruppo di 4,4 ng/kg di peso corporeo alla settimana per la somma di PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS, che protegge anche dagli altri effetti di tali sostanze. Ha concluso che l’esposizione di parti della popolazione europea a tali sostanze supera la TWI, il che desta preoccupazione.”

A tal uopo sono state realizzate delle tabelle, di seguito pubblicate, nelle quali sono espressi i valori massimi di pfas consentiti negli alimenti.       

Riportiamo qui le tabelle pubblicate in Gazzetta “ L 316/40 IT Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 8.12.2022”

In tale regolamento  sono espressi i tenori massimi in µ/kg di peso fresco edibile  relativamente alla somma dei 4 PFAS presenti.

Notare che nelle nuove tabelle il peso dei PFAS è indicato in µ (microgrammi), misura 1000 volte superiore al ng (nanogrammo) normalmente usato.

 

La Direttiva fissa il limite massimo ammesso nei cibi (tenore) per  sole 4 molecole tra le migliaia che possono essere presenti negli alimenti.  E autorizza limiti altissimi per alcuni di essi che esulano dalla precedente raccomandazione della TWI.

 

Riportiamo le tabelle originali:

 

Un uovo , secondo questa tabella può contenere 130 ng di PFAS. Se torniamo al nostro bambino di 10 kg, ci domandiamo in quante parti si dovrà suddividere quest’uovo perché rientri nella TWI del bambino che è di 6.2 nanogrammi di PFAS al giorno?

Come mai, tutti questi scienziati  non capiscono che un uovo con 130 ng di PFAS al suo interno non è assolutamente innocuo? Un Uovo! Ma non si vive di sole uova. 

Qualcuno si chiederà come mai i grandi scienziati al servizio di Ursula, da un lato, fissano un limite massimo di assunzione giornaliera di pfas in ng 4,4 per kg  di peso corporeo e, contemporaneamente autorizzano tenori massimi per alimenti che superano anche di migliaia di volte, in certi casi, la TWI.

 Infatti, secondo la TWI, un adulto del peso di 70 kg non potrebbe superare, al giorno, l’assunzione di una dose di PFAS maggiore di 44 ng (nemmeno un litro di acqua).  

Se poi volesse assaggiare una aringa del Baltico da 150 grammi il suo organismo potrebbe incassare, in un colpo solo, 1605 nanogrammi di PFAS.

 Questi numeri faranno felici i pescatori del baltico, ai quali saranno spalancate le porte dei mercati di tutta Europa, ma non certo gli amanti del pesce nordico che li mangeranno.

 Siamo chiaramente davanti ad una contraddizione palese.                                I massimi espressi nelle tabelle non corrispondono ai limiti posti dall’ EFSA. In tali condizioni   non è possibile effettuare alcuna prevenzione.

Se, infine il nostro ipotetico uomo di 70 kg desiderasse mangiare 150 grammi di anguilla,  arricchirebbe il suo patrimonio di PFAS di 7875 ng in un solo colpo.

 

Inutili ulteriori commenti.

Tuttavia, ci chiediamo come possano fare i cittadini del Veneto ad adeguarsi ai suddetti valori se non sono segnalati sulla merce in vendita?             Come effettuare le TWI dei cibi se non si sa quanti PFAS ci sono nel nostro pane quotidiano? Questo aspetto misterioso riguarda una questione ormai fantascientifica per cui dalla Regione vengono emanate disposizioni  in merito, alle ULSS affinché si adeguino per quanto riguarda le nuove misure.

 Nota bene che le misure aggiornate sono in vigore già dal gennaio del 2023. C’è qualcuno che se ne sia accorto?



 Come si evince dal documento, la Regione non perde tempo a recepire la nuova direttiva Europea e il dott. Michele Brichese con la dottoressa Alessandra Luisa Amorena, trasmettono il regolamento ai direttori dei dipartimenti di prevenzione del SIAN (Sistema Informativo Agricolo Nazionale), SIAOA (Servizio di Igiene degli Alimenti di Origine Animale) e SIAPZ (Servizio Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni Zootecniche).

Dal primo gennaio 2023 gli allevatori o i pescatori  devono, quindi, implementare il loro “Piano di autocontrollo” provvedendo ad effettuare le analisi dei prodotti indicati.

Non sappiamo quanti allevatori o pescatori abbiano ottemperato alle esecuzioni delle suddette analisi. Non sappiamo in quali laboratori le avrebbero effettuate né se esse corrispondano nei limiti alle indicazioni europee. Non sappiamo come abbiano fatto i cittadini del Veneto ad adeguarsi alla TWI, come da regolamento europeo, se non sono venuti a conoscenza della quantità di PFAS, espressa in nanogrammi, o, se volete in microgrammi, presente negli alimenti esposti nei banconi dei mercati.

         Bisognerebbe chiedere ai signori direttori destinatari della lettera se si tratta di uno scherzo o se veramente tutti questi produttori abbiano effettuato ed effettuano, di volta in volta gli esami previsti e ne inseriscono i dati nel loro “Piano di Autocontrollo”. Interessante inoltre sapere quanti controlli ufficiali, come previsto nella lettera, siano stati fino ad ora effettuati.            Non mancheremo di inviare una richiesta di informazioni dettagliate. 

Continuando a seguire il bandolo di questa incredibile storia vediamo che la Regione tira fuori l’asso che aveva conservato da tempo nella manica e lancia il

PIANO REGIONALE DI SORVEGLIANZA DI PFAS NEI PRODOTTI AGROALIMENTARI DELLE ZONE ROSSA E ARANCIONE: ALIMETI VEGETALI.

Istituto superiore di Sanità, Istituto zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Regione del Veneto.

Una vera corazzata lanciata contro tutti i denigrator storici dell’inefficienza della prevenzione alimentare in Veneto.

 Dopo una cronistoria degli studi effettuati sugli alimenti, che ciascuno può andarsi a leggere nel DGR n. 1676 del 29 dicembre 2023, 5. https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/pubblica/DettaglioDgr.aspx?id=520082

Si elencano i risultati delle indagini fino ad ora condotte, in partenza,  solo su PFOS e PFOA.  Viene detto che esistono sicuri elementi per considerare reale la trasmissione dei due PFAS esaminati dai prodotti agroalimentari all’uomo.  In questa prima indagine furono ricercate solo due molecole PFOS e PFOA quindi mancano i dati degli altri perfluoro contaminanti. Tuttavia il documento della Regione, aggiornato al 2019 sottolinea che

“L'esposizione media cumulativa a PFOA e PFOS nelle aree non soggette alla contaminazione è pari a 1,6 volte il TWI per gli adulti e 1,7 volte il TWI per i bambini.

 Nei territori soggetti alla contaminazione, oggi tali valori sono stimati essere pari a 2,0 e 2,1 volte il TWI per i soggetti residenti nella zona a maggiore impatto che consumano alimenti locali, e aumenta a 3,8 e 5,8 volte il TWI per i residenti che in aggiunta si servono dell'acqua dei pozzi privati a scopo potabile.”

 I dati raccolti dal ISS nel 2019 confermano pertanto l’aumento della presenza dei PFAS dovuto all’alimentazione del doppio e del triplo dei valori soglia.

Il documento regionale aggiunge:

 “Va sottolineato che ogni stima è affetta da incertezze e l'analisi delle incertezze è parte integrante di una corretta e trasparente valutazione del rischio. In proposito, corre l'obbligo di evidenziare che gli elevati livelli espositivi e di rischio descritti sono raggiunti senza il contributo di PFNA e PFHxS.

E aggiunge:   “Per entrambe le molecole i risultati dello studio evidenziano l'opportunità di una valutazione più dettagliata del contributo degli alimenti prodotti in loco all'esposizione complessiva della popolazione. Questa appare particolarmente importante per alimenti come le uova e i prodotti carnei.”

 

Malgrado, fin dal 2019 l’ISS ritenesse particolarmente importante  la ricerca dei PFAS nelle uova e  nei prodotti carnei, l’attuale Piano di sorveglianza di PFAS viene effettuato solamente sui vegetali. Sono previsti almeno 24 mesi per portarlo a termine. Quindi si saprà qualcosa solo nel 2027 ma, per completare l’opera, ci vorrà un nuovo piano per esaminare anche “uova e prodotti carnei” raccomandati dall’ISS fin dal 2019.

Il piano di monitoraggio è ben strutturato sono definiti i compiti di ciascun attore, le misure dei terreni da monitorare, dei campioni da analizzare ecc. È previsto un formidabile data base dove ogni elemento sarà trascritto.

Tuttavia non c’è scritto cosa accadrà se durante il monitoraggio, o dopo, se si dovessero trovare patate o radicchi contenenti quantità di PFAS eccedenti la TWI o le misure previste dal nuovo regolamento europeo. Che fine farebbero le patate e il radicchio iper contaminati? Sarebbero comunque avviate al mercato o inviate ad apposite discariche speciali  (particolarmente costose) per lo smaltimento? Lo stesso vale per i mangimi che, se trovati con notevoli quantità di pfas dovrebbero essere inviati, anziché ai pollai o alle stalle a specifiche discariche.

Di ciò che avverrà, in seguito alla mega indagine conoscitiva i documenti regionali non parlano e, per la verità nemmeno quelli europei.

Sono passati dieci anni da quando Sara Valsecchi e Stefano Polesello, operatori del CNR scopersero i PFAS nella provincia di Vicenza.

 

Giovanni Fazio

martedì 9 gennaio 2024

MELONI SOGNA UN TRONO; SU UN CUMULO DI IMMONDIZIE

 



Mentre Meloni urla che vuole “un presidente del Consiglio eletto direttamente dai cittadini”, frase demagogica che, dietro le apparenze di un popolo che sceglie da sé i suoi rappresentanti, propone in realtà l’istituzione di un nuovo sistema TOTALITARIO.

Infatti, collegando a tale scelta una legge elettorale con un premio maggioritario del 55 per cento  alla lista del presidente,  il dibattito parlamentare diventerebbe una pura formalità .


Lo capisce anche un bambino e, soprattutto, ne sono coscienti tutti coloro che fino ad ora non sono andati a votare, rifiutando la farsa di leggi elettorali anti democratiche e anti costituzionali come quella definita, senza pudore, “legge porcata” dallo stesso relatore Calderoli.


 Ricordiamo l’umiliante episodio di un Parlamento che votò le dichiarazioni di Berlusconi secondo cui una prostituta minorenne marocchina sarebbe stata la nipote del presidente egiziano Moubarak. Un Palamento Prono e senza dignità che sghignazza sulla faccia dei cittadini onesti e disgustati.

Siamo giunti a questa totale ininfluenza delle indicazioni dei cittadini alla elezione del Parlamento e del Senato dopo il referendum tenutosi nel 1991 che aveva modificato la legge, consentendo un solo voto di preferenza.

Questa modifica fu applicata unicamente durante le elezioni politiche del 1992, in quanto nel 1993 venne varata una nuova legge elettorale, la legge Mattarela, che introduceva un sistema misto maggioritario-proporzionale con liste bloccate, eliminando quindi completamente il voto di preferenza.


Da allora in poi la preferenza fu cancellata da tutte le leggi elettorali che seguirono.

 Anche la successiva legge elettorale entrata in vigore nel 2005, la legge Calderoli, ha mantenuto il sistema delle liste bloccate.

Nel novembre del 2017 nella legge Rosato (PD) non è prevista l'espressione di voti di preferenza, cosicché nei collegi plurinominali, una volta determinato il numero degli eletti che spettano a ciascuna lista, i candidati vengono nominati secondo l'ordine fissato dal partito al momento della presentazione della lista stessa.

L’accorpamento delle coalizioni e i doppi turni, previsti nelle attuali leggi elettorali, allontanano ancor di più la volontà dei singoli cittadini dai risultati elettorali, che esprimono solo minoranze auto referenziali che si aprono la strada verso il potere attraverso premi di maggioranza.  

Non entro nel merito dei grandi dibattiti che seguirono l’esclusione del voto di preferenza, che comunque era molto comoda a chi deteneva le redini dei partiti, qualunque essi fossero. Faccio inoltre notare che il voto di preferenza è invece tuttora previsto dalle elezioni europee. (Se avessero tentato di cancellarlo anche lì, i cittadini europei avrebbero certamente disertato le urne) e la UE non esisterebbe più.

Alla prova dei fatti, l’idea quindi che le preferenze fossero manipolabili non ha condizionato la legge per l’elezione del Parlamento europeo, né ha provocato le tremende conseguenze prefigurate dai sostenitori delle liste bloccate.

È chiaro ormai che il motivo della disaffezione crescente al voto è determinato dalla chiara percezione, da parte dei cittadini, della propria ininfluenza nella scelta dei deputati e dei senatori (ormai diventati una vera casta che in gran parte si autoriproduce).

Una disaffezione dovuta anche al disgusto per la presenza, in Parlamento e in Senato, di pregiudicati e inquisiti per reati amministrativi gravissimi; allo spettacolo delle auto assoluzioni, alla lontananza dai problemi reali del Paese e alla sostanziale omogeneità degli schieramenti contrapposti, ormai da tempo profondamente infiltrati e corrotti da una ideologia ordoliberista che sta demolendo lo Stato e il welfare, delegando il potere politico al mercato e alle banche.  

Come cantava il duca di Mantova “questa o quella per me pari sono”.

Le motivazioni che Meloni adduce per giustificare la sua proposta sono le continue crisi di governo che si susseguirono nella cosiddetta prima repubblica. È vero ma quei governi che si susseguivano seguendo comunque una ispirazione politica univoca, realizzarono il grande miracolo economico e sociale di una Italia contadina che in pochissimo tempo divenne la seconda realtà manufatturiera Europea.

Un notevole impulso alla modernizzazione e alla trasformazione democratica del paese fu dato dalla presenza di un forte partito comunista e del partito socialista nonché la presenza di un forte movimento sindacale. La presenza di queste forze politiche smorzò sul nascere tentativi autoritari, colpi di stato e iniziative anti operaie e gettò le basi per quello che nel 1969 fu chiamato l'autunno caldo. 

 Furono anni di grande progresso in cui la vita e l’economia del nostro paese migliorò a vista d’occhio. Quei governi diedero vita all’ENI (ente di stato),  che consentì all’Italia una autonomia economica nel campo dell’energia, fino ad allora governata dalle “Sette sorelle” cioè da un pool di corporation inglesi, francesi e americane. Costruì meravigliose autostrade in un paese in cui la dorsale appenninica creava notevoli difficoltà alla loro realizzazione; favorì la motorizzazione civile, nazionalizzò l’energia elettrica, portando la corrente in tanti comuni dove i privati non l’avrebbero mai portata, abbassando le tariffe e uniformando in meglio il servizio nazionale. Adesso, più di settecento gestori  di un servizio  riprivatizzato criminalmente dai governi liberisti costituiscono il dramma di milioni di famiglie abbandonate alla babele e al caos della liberalizzazione.

Tirò fuori dal medioevo paternalista la società civile, rinnovando il diritto di famiglia, istituendo il divorzio e il diritto della donna alla maternità e alla interruzione di gravidanza e dando alle donne accesso definitivo alla scolarizzazione e al lavoro. Promulgò lo statuto dei lavoratori e istituì il Servizio Sanitario Nazionale, tra i più ammirati del mondo, determinando un allungamento della speranza di vita e migliorando notevolmente la salute dei cittadini Italiani.

Quali critiche insulse può fare oggi Meloni a una classe politica e un sistema istituzionale che hanno modernizzato l’Italia rendendola un paese europeo a tutti gli effetti? Forse il suo desiderio di potere incontrollato la porta a immaginare una Italia rifascistizzata nella sostanza, una democratura che ha per modello l’Ungheria di Orban?

È necessario ripartire dal diritto dei cittadini di scegliersi i propri parlamentari, di interrompere il ciclo, inaugurato dalla cosiddetta seconda repubblica, che ha portato il paese alla dipendenza della finanza internazionale attraverso un debito pubblico spaventoso.

Esso fu creato ad arte nel 1981 da carlo Azeglio Ciampi, Governatore della banca d’Italia, e Beniamino Andreatta, ministro del tesoro dei governi di Arnaldo Forlani e Giovanni Spadolini. L’operazione semplicissima fu quella di togliere l’obbligo, della Banca d’Italia di acquistare i titoli di stato invenduti durante le aste annuali.

Da allora i governi successivi dovettero cercare nel mercato i compratori dei titoli invenduti, sottostando a esosi interessi crescenti che hanno determinato la attuale situazione debitoria ormai non più controllabile. Grazie a quella manovra adesso siamo in un circuito che non ha sbocchi e che fa aumentare ogni anno di più gli interessi che ci vengono estorti dagli strozzini internazionali

Cosa sta facendo Meloni rispetto a ciò se non adeguarsi alle nuove regole europee che, in nome del debito, ordinano tagli alle pensioni, tagli alla sanità e al welfare, tagli a tutta la spesa pubblica, cioè una paralisi totale delle funzioni dello stato, indebolito dal blocco del turn over imposto anche esso dall’Europa.

Siamo molto lontani dall’epoca di quei governi a vita breve che seppero lanciare in avanti l’Italia nel mondo e diedero lavoro e benessere a intere generazioni. Adesso, grazie alla economia di mercato, il paese languisce e Meloni non vede altro che sé stessa regnante su un cumulo di immondizie.

 Giovanni Fazio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

venerdì 5 gennaio 2024

ALLARME SANITA': I NUMERI DI UN DISASTRO ANNUNCIATO

 




La spesa dei cittadini ormai è un euro su quattro. Il Ssn resta un grande malato. I fondi in manovra sono un palliativo, al sistema serve una cura da cavallo.

Marzio Bartoloni – IL Sole 24 Ore

5 Gennaio 2024

 

Sfonda 40 miliardi il costo per le cure pagato dagli italiani: quasi metà è assorbito da visite e interventi per aggirare le code. Il Ssn resta ancora un grande malato. I fondi in manovra sono un palliativo, al sistema serve una cura da cavallo

La spesa sanitaria degli italiani per la prima volta ha sfondato quota 40 miliardi. Un record assoluto che si traduce in una amara realtà: ormai i cittadini per curarsi mettono di tasca propria un euro su quattro del totale di quanto si spende in Italia per la Sanità visto che il Servizio sanitario, con le tasse che paghiamo, ne spende altri 130 miliardi. Dopo la frenata del 2020 quando in piena pandemia la spesa sanitaria privata era crollata a 30,7 miliardi (-11,6%) l’anno successivo è risalita a 37,16 miliardi e poi appunto ha raggiunto i 40,26 miliardi nel 2022 con un aumento di oltre l’8 per cento. Un segnale questo dell’esplosione della domanda di salute che ha mobilitato tra spesa pubblica e privata quasi 170 miliardi, come ha appena certificato la Ragioneria generale dello Stato nel suo ultimo rapporto sulla spesa sanitaria pubblicato lo scorso dicembre. Si tratta di una montagna di soldi che però non sembra sufficiente a soddisfare la richiesta di cure visto che l’Istat sempre nel 2022 ha registrato un dato allarmante e cioè che oltre 4 milioni di italiani (il 7%) hanno rinunciato a curarsi per vari motivi: se nel 2020 e in parte anche nel 2021 la ragione principale per rinunciare ad andare in ospedale e negli ambulatori era il timore di contagiarsi con il Covid nel 2022 il primo motivo di rinuncia – per quasi 2,5 milioni di italiani – è stato quello delle liste d’attesa che si sono allungate con la pandemia seguito poi dalle ragioni economiche (per meno di 2 milioni di italiani).

Chi può dunque – come certifica la Ragioneria generale dello Stato – paga di tasca propria magari per evitare le liste d’attesa e lo fa in particolare per visite specialistiche ed interventi che, in linea con gli anni precedenti, continuano ad avere un peso prevalente (45,8%) sul totale dei 40 miliardi di spesa a carico dei privati. Mentre farmaci e dispositivi medici assorbono un altro 25 per cento. Tra le visite specialistiche la parte del leone la fanno quelle dal dentista che rappresentano circa il 30 per cento.

A confermare questo trend ormai inarrestabile è anche l’ultimo rapporto sulle politiche della cronicità di Cittadinanzattiva dal quale emerge che a causa dei lunghi tempi di attesa e della mancata copertura da parte del servizio sanitario di alcune prestazioni, la gran parte dei cittadini con patologie croniche e malattie rare – circa 24 milioni di italiani – sono costretti a sostenere spese private: il 67,8% lo fa per visite specialistiche effettuate in regime privato o in intramoenia; il 60,9% per l’acquisto di parafarmaci; il 55,4% per esami diagnostici; il 44,6% per l’acquisto di farmaci necessari e non rimborsati. Tra chi ha bisogno delle cure a domicilio, il 47,8% reputa il numero di ore di assistenza erogati inadeguato e il 23,9% parla di sospensione o interruzione del servizio. Non va meglio con la riabilitazione: la metà dei pazienti ritiene i cicli insufficienti e 1 su 3 segnala la mancata erogazione del servizio.



 

La manovra in realtà stanzia i fondi (280 milioni l’anno) per pagare di più gli straordinari di medici e infermieri da destinare in particolare all’abbattimento delle liste d’attesa (oltre ad aumentare il tetto di spesa per ricorrere ai privati). Ma il rischio è che questa misura faccia flop come emerge anche da una indagine appena realizzata da Fadoi (la Federazione dei medici internisti ospedalieri) su un campione rappresentativo di camici bianchi per i quali la formula straordinari meglio pagati uguale meno liste di attesa è giudicata efficace solo dal 9,87% degli intervistati, mentre per il 41,18% serve assumere personale e per il 19,92% organizzare meglio le attività. Per il 27,7% andrebbero invece ridotte le prescrizioni e solo per l’1,33% bisognerebbe ricorrere di più al privato convenzionato.

Dai gettonisti alle liste d’attesa: il Ssn resta ancora un grande malato. I fondi in manovra sono un palliativo, al sistema serve una cura da cavallo

Lo spreco. I medici gettonisti pagati a peso d’oro – anche più di 1500 euro per coprire un turno di 12 ore – rischiano di restare nelle corsie ospedaliere fino al 2025 

 

Da una parte il grande spreco dei gettonisti pagati a peso d’oro – anche più di 1500 euro per coprire un turno di 12 ore – che rischiano di restare nelle corsie fino al 2025. Dall’altra le eterne liste d’attesa che condannano come ha ricordato il capo dello Stato Sergio Mattarella nel discorso di fine anno a tempi per visite ed esami «inaccettabilmente lunghi» tanto da essere diventati dopo il Covid la prima causa di rinuncia alle cure costringendo, chi può permetterselo, a pagare di tasca propria (si veda articolo a fianco).

Eccoli i sintomi forse più evidenti della malattia che colpisce da tempo il Servizio sanitario nazionale costretto oggi ad affittare a caro prezzo il personale o a provare a mantenere in servizio i medici fino a 72 anni per non chiudere i battenti (l’estensione dell’età pensionabile potrebbe arrivare con un emendamento al milleproroghe).

Il Ssn che proprio nei giorni scorsi ha compiuto 45 anni assomiglia ormai più a un malato cronico che a un signore di mezza età. Acciacchi e mali di vecchia data sono sempre lí a fiaccarlo: dal sotto finanziamento alla carenza di personale fino alle diseguaglianze sulle cure che spaccano Nord e Sud.

Partiamo dai fondi: l’ultima manovra appena varata dal Parlamento ha aggiunto 3 miliardi nel 2024 e poi 4 miliardi nel 2025 e 4,2 miliardi nel 2026.

Una boccata d’ossigeno che vale un aumento di circa il 3% per il Fondo sanitario che raggiungerà con le nuove risorse la cifra record di 136 miliardi. Una cifra questa che non basta però a metterci in linea almeno con i Paesi europei più vicini visto che in termini di spesa sanitaria pubblica pro-capite (con i nostri 3255 dollari nel 2022) siamo ben al di sotto a esempio della Germania che spende il doppio di noi (6930 dollari) o della Francia (oltre 5mila) e sotto alla media europea (4128 dollari) e a quella Ocse (3899 dollari). Sotto di noi solo Spagna, Grecia e Portogallo.

 

 

 

CE LO ORDINA L’EUROPA

Il problema – va detto – viene da lontano, da oltre 15 anni e cioè da quando tutti i Governi di ogni colore hanno tagliato o non finanziato in modo adeguato il Ssn.

A pagare le spese del prolungato sotto finanziamento è stato soprattutto il personale sanitario – almeno 40mila i medici, gli infermieri e gli altri operatori in meno in un decennio con un lieve rialzo solo grazie al Covid – su cui pende da quasi 20 anni un odioso tetto di spesa: in pratica per assumere non si può spendere più di quanto speso nel 2004 meno l’1,4 per cento. Un vincolo, questo, che ha pesato provocando una carenza cronica di operatori e che ha contribuito per chi lavora tra turni stressanti e stipendi fermi per anni alle fughe all’estero o verso il privato – quest’anno se ne stimano 7mila – in un malessere crescente culminato nei recenti scioperi a dicembre contro la manovra che saranno replicati ora a gennaio.

 

 

Da qui la scorciatoia dei gettonisti – medici e infermieri in affitto da cooperative – pagati profumatamente per coprire i buchi in corsia e che sono dilagati negli ultimi anni tanto che il ministro della Salute Orazio Schillaci a maggio scorso ha deciso con il decreto bollette una stretta provando a vietarli gradualmente. Un addio però che potrebbe allungarsi addirittura al 2025 vista l’interpretazione estensiva che sembra prevalere nell’applicazione delle norme: dopo gli affidamenti fatti entro 12 mesi dall’entrata in vigore del decreto (quindi entro maggio 2024) ci sarà la possibilità di usufruire di altri 12 mesi per nuovi affidamenti stavolta in base alle linee guida che il ministero della Salute sta per licenziare – dopo aver sentito l’Anac – fissando prezzi calmierati per pagarli (si ipotizza un massimo di 70-80 euro l’ora lordi). Intanto per ora solo la Lombardia ha deciso di dire addio ufficialmente ai gettonisti.

Tra i mali più atavici c’è poi quello del divario di cure, soprattutto tra Nord e Sud: secondo l’ultimo monitoraggio del ministero della Salute sul rispetto dei livelli essenziali di assistenza, le cure cioè che deve garantire il Ssn in tutto il Paese, emerge che tra le 14 Regioni che superano la soglia della sufficienza ci sono solo tre Regioni del Sud (Abruzzo, Puglia e Basilicata) e tutte si trovano a fondo classifica. Una differenza che spinge i pazienti meridionali a fare le valigie per curarsi negli ospedali del Centro-Nord: nel 2022 questa migrazione – soprattutto da Calabria, Sicilia e Campania – è costata tra ricoveri e visite circa 3 miliardi incassati in particolare da Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Toscana che sono le destinazioni sanitarie più gettonate.

Ecco perché i soldi in più in manovra – destinati soprattutto a rinnovare i contratti dei sanitari per provare ad arginarne la fuga – potrebbero rilevarsi solo un palliativo per mantenere in vita un Servizio sanitario nazionale che avrebbe bisogno invece di una cura da cavallo.

 

 

 

 

 

 

 

 


mercoledì 3 gennaio 2024

Il ritorno di Erode

 



Dopo oltre duemila anni in Palestina ritorna la strage degli innocenti per mano di un nuovo Erode. La malvagità è la stessa ma i mezzi sono molto più potenti e i risultati sono incomparabili

Essi (I Re Magi) erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo».

Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode.

Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s’infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. (Matteo, 2, 13-23).

Fuga in Egitto e strage degli innocenti, è un capitolo del Vangelo di Matteo che consegna alla storia dell’umanità la vergogna di una strage degli innocenti prodotta dal potere politico dell’epoca all’alba dell’avvento dell’era cristiana.

Il disegno di Erode non riuscì perché Giuseppe e Maria, avvertiti dall’angelo, misero in salvo il bambino Gesù fuggendo in Egitto.

Oggi per i genitori della Striscia di Gaza, anche se avvisati dall’Angelo, non sarebbe più possibile mettere in salvo i loro bambini fuggendo in Egitto perché il valico di Rafah è chiuso e non può passare nessuno.

Non è possibile per i genitori palestinesi trovare alcun rifugio dove mettere al sicuro i loro bambini. Non possono trovare protezione nelle scuole dell’UNRWA dove migliaia di famiglie si sono rifugiate confidando che le sedi dell’ONU sarebbero state risparmiate; invece anche lì sono cadute le bombe che hanno ucciso, assieme ai rifugiati, 135 funzionari delle Nazioni Unite. Non possono trovare protezione negli ospedali che, secondo il diritto delle genti, sono luoghi dove vige l’immunità dalla guerra perché anche gli Ospedali sono stati attaccati, i pazienti evacuati e i neonati lasciati morire nelle incubatrici per mancanza di elettricità. 21 dei 36 ospedali della Striscia sono stati chiusi, 11 sono parzialmente funzionanti e quattro possono offrire solo servizi minimi. Sono stati uccisi 72 medici e centinaia di paramedici, attaccate 102 ambulanze; come se non bastasse, sono state bombardate anche le famiglie degli sfollati che avevano trovato rifugio nei cortili degli ospedali credendoli un luogo sicuro.

Non ci sono solo i genitori che hanno perso i bambini vittime della nuova strage degli innocenti, ci sono anche i bambini che si sono trovati improvvisamente privi della protezione dei genitori. Secondo un rapporto della ong Euro-Med Human Rights Monitor, con sede in Europa, circa 25.000 bambini di Gaza hanno perduto uno o entrambi i genitori. E 640mila non hanno più una casa. La ong ritiene che il numero totale di bambini e ragazzi morti superi i 10.000 poiché i corpi di tanti minori non sono stati recuperati dalle macerie.

Secondo gli studiosi la strage degli innocenti, di cui riferisce l’evangelista Matteo, provocò la morte di 50/60 bambini. Ancora oggi in una cripta della chiesa della natività a Betlemme è possibile vedere un mucchio di piccoli teschi che, secondo la tradizione, sono i resti dei bimbi fatti uccidere da Erode.

Dopo oltre duemila anni in Palestina ritorna la strage degli innocenti per mano di un nuovo Erode. La malvagità è la stessa ma i mezzi sono molto più potenti e i risultati sono incomparabili; non più spade e coltelli ma aeroplani che sganciano la morte dall’altro con bombe da mille kg che esplodendo possono sbriciolare un intero palazzo e togliere la vita a centinaia di persone in un lampo. C’è stata una grande evoluzione tecnologica ma dietro tanta modernità si cela il volto primitivo dell’uomo della pietra e della fionda descritto da Quasimodo: “T’ho visto: eri tu, /con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, /senza amore, senza Cristo. / Hai ucciso ancora, /come sempre, come uccisero i padri.”

Netanyahu ha superato Erode di molte grandezze, ma non crediamo che se ne vergognerà mai. Piuttosto dovremmo vergognarci noi, le Cancellerie degli Stati democratici, che hanno fornito e stanno fornendo a Netanyahu gli utensili per praticare la strage, mentre i miserabili leader politici italiani ed europei, non hanno neanche il coraggio di dire a Erode: fermati!

Domenico Gallo

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