Visualizzazioni totali
mercoledì 5 maggio 2021
domenica 7 marzo 2021
Vaccini. “Nessun profitto sulla pandemia”.
Appello alla
mobilitazione
Ci hanno raccontato che tutto sarebbe passato presto, che bastava aspettare,
sospendere le nostre vite. Ci hanno chiesto di sacrificarci davanti
all’isolamento e alla solitudine, all’angoscia per il futuro, alle tante
difficoltà materiali con cui abbiamo dovuto fare i conti da soli.
Eppure, nonostante i nostri sforzi, il Covid-19 continua a diffondersi a
macchia d’olio e le ultime notizie sulle nuove varianti del Coronavirus ci
costringono a spostare ancora in avanti l’appuntamento con la fine della
pandemia.
Il motivo è semplice: siamo tutti così intimamente connessi che tirarsi
fuori da soli, da questo incubo, non è possibile.
DIRITTO ALLA SALUTE PER TUTTE E TUTTI!
Il diritto alla salute o è per tutti o non esiste per nessuno. Non è solo
un principio sacrosanto di giustizia sociale: nessuno di noi potrà
sentirsi al sicuro finché ci sarà qualcuno che resta tagliato fuori dalla
possibilità di proteggersi dal contagio, dalla somministrazione di vaccini
sicuri ed efficaci, in qualsiasi angolo del mondo, perché, fino ad allora, ci
sarà sempre la possibilità di far ripartire la catena dei contagi e la tragedia
in cui siamo immersi.
RICERCA PUBBLICA DEVE SIGNIFICARE CONTROLLO PUBBLICO
Abbiamo visto il meglio della nostra ricerca pubblica prestata agli
interessi delle grandi multinazionali del farmaco. Ogni azienda ha speculato
sulle scoperte della ricerca di base, intensificando le proprie sul solo
sviluppo del vaccino e dei farmaci, pur di poter prevalere sulle altre, di
accaparrarsi il massimo dei profitti sul mercato immenso che ha aperto la
pandemia.
Avremmo avuto un maggior vantaggio se le forze fossero state comuni, se la
ricerca, le tecnologie, fossero state messe al solo servizio delle nostre vite
e dell’intera umanità. E invece, in nome dell’interesse di pochi, del principio
di un nazionalismo fra Stati, pochi colossi industriali continuano a decidere
chi debba vivere e chi debba morire, chi debba avere accesso ai vaccini, con
che tempi e a quale prezzo, arrivando al punto di potersi permettere persino di
venir meno agli impegni presi, disdicendoli unilateralmente.
SOSPENSIONE IMMEDIATA DEI BREVETTI E TRASPARENZA!
Tutto questo è reso possibile dai brevetti, che consentono un diritto
d’esclusiva sullo sviluppo e la commercializzazione dei vaccini, ne limitano la
disponibilità, aumentandone il costo.
I brevetti sono l’ostacolo che impedisce oggi di sviluppare in tempi brevi
il vaccino per tutti i popoli del mondo, come chiesto a gran voce da India e
Sudafrica; sono il tappo a qualsiasi forma di trasparenza sugli studi condotti
finora e sulla reale efficacia delle molecole attualmente disponibili, su tutto
ciò che riguarda la loro commercializzazione, i contratti stipulati, i costi di
produzione, per finire a quanti di questi costi siano stati scaricati sugli
Stati acquirenti e quindi, indirettamente, sulle tasche di noi cittadine e
cittadini.
UN VACCINO BENE COMUNE È POSSIBILE
Ma non è l’unico destino possibile. È notizia di questi giorni che a Cuba è
partita la produzione delle prime 150.000 dosi di vaccino Soberana, con l’impegno
a coprire il fabbisogno di tutti i Paesi esclusi dal mercato di Big Pharma, la
disponibilità a vaccinare i turisti che approderanno sull’isola, di dare una
mano in futuro anche ai Paesi del ricco Occidente, così come già fatto, nei
mesi scorsi, con le brigate mediche che abbiamo visto giungere in nostro
sostegno anche in Lombardia e Piemonte.
NO PROFIT ON PANDEMIC – NESSUN PROFITTO SULLA PANDEMIA!
Per fortuna anche qui in Europa c’è chi sta provando a imbracciare questa
strada.
Decine di migliaia di cittadine e cittadini europei stanno promuovendo la
campagna No Profit On Pandemic (Nessun profitto sulla pandemia!) per
rivendicare:
o
Salute per tutte e tutti. Non si
può lasciare nelle mani di aziende private il potere di decidere chi abbia
accesso a cure e vaccini e a quale prezzo.
o
Trasparenza, chiarezza,
informazione: i dati sui costi di produzione, sui fondi pubblici investiti, i
contratti tra le autorità pubbliche e le multinazionali di Big Pharma devono
essere resi pubblici.
o
Controllo pubblico: visto che ai
vaccini si è arrivati grazie alla ricerca finanziata dalle tasse dei cittadini
e delle cittadine, il controllo di queste tecnologie deve rimanere nelle mani
del popolo.
o
Nessun profitto sulla pandemia: il
coronavirus è una minaccia collettiva che richiede una risposta improntata alla
solidarietà, non alla volontà di profitto di qualche privato.
L’11 marzo sarà passato un anno da quando l’OMS, l’Organizzazione Mondiale
della Sanità, ha dichiarato l’emergenza pandemica da Covid-19.
La campagna No Profit On Pandemic / Nessun profitto sulla pandemia, a
livello europeo e nazionale ha individuato questa data come giornata di
mobilitazione internazionale per porre all’attenzione pubblica le ragioni dei
nostri popoli contro quelle di pochi privati.
FACCIAMO APPELLO AFFINCHE’ L’11 MARZO VENGA SOSTENUTO ANCHE NEL NOSTRO
BELPAESE
individuando ogni possibile forma di mobilitazione collettiva perché la
nostra salute non può essere privatizzata, né ridotta a mera questione di
quotazioni che salgono o scendono in borsa.
Le nostre vite sono più importanti dei bilanci di Big Pharma.
FIRMATARI (al 5/3/2921)
|
sabato 20 febbraio 2021
LE RESPONSABILITA’ DELLA CONCIA NELL’INQUINAMENTO DA PFAS DELLA PIANURA VENETA
Prodotti contenenti perfluorati scaricati nel Fratta Gorzone dai depuratori.
Detto
questo, se ne deduce che tali sostanze indistruttibili, perciò presenti in
tutto il pianeta compresi i poli, non devono essere più né create, né
commercializzate e né usate. Si tratta di misure già sollevate da alcuni paesi
del Nord Europa e molto contrastate dalle potentissime lobby della chimica, assai
influenti nei luoghi chiave delle strutture EU (Commissione, Parlamento, Consiglio
dei Ministri ecc.)
Il
Ricorso al Tar dei comitati del Veneziano apre uno spiraglio di speranza affinché
la logica, il buon senso, le ragioni della salute di centinaia di migliaia di
cittadini abbiano il sopravvento sui calcoli basati solo sul profitto e la
speculazione.
Chiedere di non bruciare diventa una
lotta comune con chi reclama di non produrre e non diffondere
nell’ambiente i reflui industriali.
Parliamo del fiume Fratta e del suo
proseguimento nel canale Gorzone che costituiscono il bacino irriguo di tre
provincie (Verona, Vicenza e Padova).
Sui
danni alla salute dei PFAS abbiamo trattato a lungo, sia sui social che negli incontri
con gli studenti della nostra regione con cui interloquiamo da tre anni.
EFFETTI
SUI PRODOTTI AGROALIMENTARI
Il problema è di grandissima rilevanza poiché la
contaminazione delle falde e delle acque superficiali, oltre a mettere fuori
gioco le risorse idriche dei nostri acquedotti, si riversa sui prodotti
agricoli e gli allevamenti.
Radicchi,
cavoli neri, fiolari, frutta, uova, latte, bistecche, pesci, molluschi, gran
parte di ciò che arriva ogni giorno al mercato sono il veicolo attraverso cui i
nostri organismi e quelli dei nostri figli accumulano i PFAS (dati pubblicati
dall’Istituto Superiore di Sanità in un monitoraggio effettuato nella “Zona
Rossa” nel 2017).
Purtroppo
nessuno si è preso la briga di indicare, fino ad ora, quali, fra le tonnellate
di prodotti in vendita siano contaminati o meno e nessuno si è preoccupato di escludere
gli alimenti inquinati prima che arrivino sui banconi dei mercati e
supermercati, motivo per cui non è nemmeno possibile effettuare alcuna
prevenzione, evitando di acquistarli e mangiarli.
Siamo di fronte a un disastro
ambientale in atto, che dura da
diversi decenni, senza che alcuno si prenda la briga di attuare rimedi efficaci
e non di facciata.
TABELLE
I punti rossi segnano più di 500 ng /litro e si trovano nell'area della concia Il Fratta Gorzone è ancora rosso prima di sboccare nel Brenta |
La tabella di ARPAV su dieci anni di sversamenti
parla da sé e le tabelle sulla presenza dei PFAS nei fiumi e nelle rogge del
bacino Fratta Gorzone, altrettanto.
Che fare? Come risolvere questo
problema angosciante?
UNA PROPOSTA COSTRUTTIVA
Una corposa risposta alle problematiche sopra
citate sta nei progetti contenuti nella sentenza del Tribunale
Superiore delle Acque (TSAP febbraio 2017) e nel Patto Stato Regione
siglato da Regione Veneto e Ministero dell’Ambiente, nonché dalle associazioni
di categoria (leggi conciari) dai sindacati, dalle autorità di bacino, ecc…
Si tratta di un percorso decennale che ha come
obiettivo la bonifica permanente del bacino del Fratta Gorzone.
Affinché qualche
buontempone non mi accusi di volere danneggiare le concerie e cancellare posti
di lavoro, preciso che quanto riportato non è una mia invenzione ma la lettura
pedissequa del Patto controfirmato da tutti, come detto sopra.
Una delle citazioni più significative è quella per
cui
“nella considerazione
della contaminazione storica che alcune aste fluviali hanno subìto, soprattutto
nella matrice dei sedimenti, da parte delle industrie conciarie”, il piano non sarà in
grado di ripristinare lo “Stato buono” del fiume Fratta ma ci si dovrà accontentare
del raggiungimento dello “stato Sufficiente entro il 2027”
Siffatta precisazione,
scritta nell’Accordo Stato Regione, dimostra quanto grave sia lo stato di
degrado prodotto dagli scarichi conciari e come sia addirittura impossibile
restaurare lo “Stato Buono”.
Siamo di fronte
ad un danno ambientale gravissimo e irreversibile, dichiaratamente
riconosciuto dagli stessi firmatari del Patto; però, allo stato
presente nessuno mette mano per rimediare (tutti i cronoprogrammi sono
bellamente saltati).
Ancora
più grave è il fatto che esso è stato redatto alla scadenza decennale del
precedente accordo, firmato nel 2005 e conclusosi con un nulla di fatto al 31
dicembre del 2015.
Tornando alle
citazioni del testo, fondamentale è quanto scritto nell’articolo 3
“Le Parti confermano e
ribadiscono che il risanamento della parte alta del bacino del Fratta-
Gorzone costituisce una delle condizioni indispensabili per
l’utilizzazione delle risorse idriche a valle.”
Stiamo
parlando di “Condizioni Indispensabili”.
Il fatto
che non si sia tentato nemmeno di mettere una prima pietra simbolica, a cinque
anni dalla seconda scadenza, dovrebbe accendere i fari delle procure,
similmente a quanto sta avvenendo a Torino in questi giorni a causa
dell’altissimo inquinamento atmosferico cui nessuno ha mai messo mano per,
almeno, attenuarlo.
I cronoprogrammi, di cui stiamo parlando, sono
stati prodotti, presumibilmente, dai tecnici di Acque del Chiampo, di A.Ri.C.A.
e dell’assessorato regionale all’ambiente.
Sono progetti di grandissima valenza ambientale e
tecnologica davanti ai quali ci leviamo tanto di cappello, programmi basati sulle
BAT (Best Available Techniques), cioè sulle migliori tecnologie
attualmente esistenti, quindi non stiamo parlando di fantascienza.
I PROGETTI
Per darvi una idea vi enumeriamo in maniera
sintetica ed estremamente semplificata, alcuni di questi progetti che
potrebbero risolvere in grandissima parte la contaminazione di fanghi e di
reflui.
“Creare un data
base dei prodotti” usati per la concia o altre lavorazioni e scartare
quelli che non possono essere trattati e distrutti; mettere dei filtri in
ingresso nell’acquedotto industriale della concia per intercettare
all’origine la presenza di PFAS (un acquedotto ripulito dai PFAS potrebbe permettere
di recuperare circa il 40% dei fanghi di risulta, ricchi di proteine,
separandoli dagli altri reflui prima che si passi alla concia vera e propria).
Raccolta differenziata
e riciclo sono
alla base delle tecnologie proposte. Trattamento in ambiente chiuso e
sigillato delle fasi in cui si adoperano Pfas o sostanze di impossibile
eliminazione; recupero e inertizzazione dei reflui e delle emissioni gassose
evitando che vadano in fognatura. Recupero del cromo e dei solfati.
Depurazione e riciclo dell’acqua, evitando di inviarla in fognatura. Ingegnerizzazione
dei depuratori, ormai obsoleti e non in grado di eliminare metalli pesanti
e altro. Separazione dei reflui civili da quelli industriali.
Sono alcune delle opere
indispensabili per il recupero di un territorio vastissimo con una
pianificazione decennale.
Riportare nei fiumi acque non contenenti inquinanti di alcun genere
avrebbe immediati effetti sui prodotti alimentari. Certamente non è così
semplice, visto il danno ricevuto in decenni dai terreni, inzuppati di residui
chimici, tuttavia si tratterebbe dell’inizio del cambiamento.
Quanto detto è solo
una breve sintesi di un corposo progetto complessivo che, con le disponibilità
economiche messe a disposizione dal Recovery Fund, troverebbe una
corretta e salvifica applicazione.
EFFETTI SUL LAVORO
Per quanto riguarda gli effetti sul lavoro di un’opera ciclopica, quale
quella che è stata controfirmata, si aprirebbe un vasto campo di lungo impiego,
non solo di operai e imprese, ma di tecnici, ingegneri, geologi, biologi,
ricercatori, agronomi, medici, informatici ecc.
Sarebbe l’inizio di una opera epocale che potrebbe segnare lo spartiacque
tra un Veneto ormai agonizzante nei propri rifiuti che non sa più come smaltire
e una realtà all’avanguardia che si proietta verso un futuro fondato sui valori
dell’ecologia circolare, del rispetto per l’ambiente, per le piante, per gli
animali e dove la salute pubblica sia messa al primo posto.
IL TRIBUNALE
I processi in corso
contro chi in passato si rese responsabile, sotto ogni profilo, di un
criminale dilagare di tossici nelle nostre acque e nei nostri corpi,
indicheranno la giusta via per perseguire e fermare chi nel presente
attua e consente ancora il perpetrarsi di un immane disastro ambientale.
IL CERCHIO SI CHIUDE
L’impegno civile di chi lotta contro gli
inceneritori si fonda adesso con quello di chi, come noi, vive nell’occhio del
ciclone dell’inquinamento massivo del territorio. Questa consapevolezza dovrà
essere la base per operare insieme verso un vero rinascimento del nostro
territorio, nell’unità e nella cooperazione. Belle parole! E resteranno tali se non cominciamo tutti a
premere perché i patti controfirmati siano rispettati. Ognuno di noi è chiamato
in causa.
Giovanni Fazio
Note:
Inseriamo i link
dell’articolo sugli inceneritori , il patto integrale Stato Regione e la
sentenza del Tribunale Superiore delle acque
Decreto sucronoprogramma A.Ri.C.A.
domenica 7 febbraio 2021
GRAZIE AL SINDACO DI CHIAMPO ADESSO I PFAS SCALANO LE MONTAGNE
“Arriva l'acquedotto pubblico ai Mistrorighi di Chiampo e si estende la rete idrica per mille persone.”
ARRIVANO ANCHE I PFAS DAL FONDO VALLE.
Dall’articolo del cronista locale Matteo Pieropan sul Giornale di Vicenza di oggi, sabato 6 febbraio 2021, apprendiamo che l’amministrazione comunale di Chiampo ha progettato l’estensione dell’acquedotto pubblico fino alla frazione dei Mistrorighi e oltre, allacciando alla rete anche Vestena (che non fa parte del Comune, essendo in provincia di Verona).
Ci domandiamo se i nostri amministratori locali si siano dimenticati che l’acqua che Acque del Chiampo distribuisce ai comuni della vallata è fortemente inquinata dai PFAS.
Ci chiediamo se il Sindaco Macilotti si renda conto del gravissimo danno che questa scelta insensata arrecherà a quelle contrade che, grazie alla altezza, si erano salvate, fino ad ora, dalla contaminazione da PFAS.
Si rende conto il Sindaco che i PFAS sono una maledizione tossica che sta impestando mezzo mondo e che queste molecole sono persistenti nell’ambiente (e cioè nei terreni, nelle piante, negli animali e negli esseri umani per molti anni)?
Si rende conto che mandandola sulle colline contaminerà per sempre un territorio che fino ad ora si era salvato?
Si rende conto che i cibi prodotti, ortaggi, verdure, frutta, frumento per non parlare di carne, uova, vino e altro saranno a loro volta contaminati?
Il Sindaco di Chiampo, ha avvisato i propri concittadini che chi beve l’acqua dell’acquedotto comunale si espone a rischi di patologie gravi che possono compromettere anche il sistema riproduttivo?
Il Sindaco di Chiampo sa che i PFAS sono stati trovati
recentemente, dal prof. Foresta dell’Università di Padova anche negli spermatozoi dei ragazzi di Lonigo esposti?
Sappiamo benissimo che il decreto Zaia del 2017 ha stabilito un livello di performance per i PFAS di 390 ng/litro per l’acqua potabile, tuttavia tale livello, non corrisponde ai massimi settimanali previsti dall’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) e non preserva i cittadini dall’accumulo nel proprio sangue e nel proprio corpo di sostanze perfluoroalchiliche che, nel tempo, potrebbero scatenare malattie ormai ben conosciute dalla scienza.
Il valore di performance fissato dal decreto regionale del 2017 è solo un termine tecnico e non sanitario.
Considerando che il Sindaco è la massima autorità sanitaria del Comune e non un semplice cittadino, firmerebbe un documento in cui si affermerebbe, che chi beve l’acqua dell’acquedotto comunale, non va incontro a nessun rischio, contrariamente a quanto riferiscono tutte le pubblicazioni scientifiche?
Consiglierebbe l’acqua dell’acquedotto a una donna in stato di gravidanza?
Se lo facesse non farebbe un buon servizio alla cittadinanza e potrebbe andare incontro a grossi problemi.
Dal 2013 è aperta una grande vertenza ecologista con
la quale tutti i movimenti di cittadini inquinati del Sud Ovest del Veneto
stanno combattendo per ottenere una grande bonifica del territorio gravemente
compromesso dall’inquinamento PFAS.
Il sindaco Macilotti dovrebbe saperlo tuttavia in controtendenza col Movimento No PFAS, probabilmente senza rendersene conto, progetta opere pubbliche che, inevitabilmente, portano all’estensione dell’inquinamento dove, per fortuna, non era ancora arrivato.
Ci pensi su, prima di pompare acqua contaminata agli abitanti della frazione Mistrorighi e a quelli di Vestena e almeno li avvisi del rischio che correranno, poiché costoro sono totalmente ignari del “regalo” che stanno ricevendo e, se possibile, metta un filtro a carboni attivi prima di pompare l’acqua.
Pubblichiamo le ultime tabelle di Acque del Chiampo dove sono segnalati i PFAS presenti negli acquedotti dei comuni di Arzignano, Montecchio M, Montorso e Chiampo.
Come si può leggere nella legenda in fondo alla tabella, tra i PFAS cercati c’è anche il PFBA, recentemente ritenuto responsabile di un maggiore rischio mortale per la polmonite da Covid 19.
Giovanni Fazio
lunedì 4 gennaio 2021
A.Ri.C.A. 20 ANNI DI INQUINAMENTO DELLA BASSA PIANURA VENETA
Venti anni fa, infatti, in seguito ad anni di
proteste dei cittadini e degli agricoltori dei comuni attraversati dalle acque
marce e inquinate provenienti dagli scarichi dei depuratori dell’area del
distretto conciario, la Regione Veneto decise di far passare sotto terra i
liquami suddetti, bypassando i territori dei comuni immediatamente vicini,
tramite un condotto.
Nel corso degli anni, sempre per gli stessi motivi, il collettore sotterraneo si è allungato sempre più raggiungendo una lunghezza di 40 chilometri e sboccando, in prossimità di Cologna Veneta, nel fiume Fratta dove viene miscelato con acque provenienti dall’ Adige, poco distante, attraverso un canale appositamente costruito, chiamato LEB. La diluizione fu necessaria per rientrare nei cosiddetti limiti di tolleranza per le sostanze tossiche e cancerogene che affluivano nel Fratta.
Tali limiti, estremamente generosi nei
confronti degli inquinatori, non furono però sufficienti a salvare la grande
bassa pianura veneta da un gravoso inquinamento che di giorno in giorno, per
venti anni, ha contaminato l’intero territorio meridionale di tre province
(Verona, Vicenza e Padova) nonché il mare Adriatico.
Malgrado gli elogi continui con cui veniva celebrata in questi venti anni l'opera e le congratulazioni che anche oggi esprime il giornale di Vicenza per il compleanno del consorzio, ben presto,
ci si era resi conto del danno enorme che provocavano queste acque a tutto il
comparto agroalimentare e alla salute dei cittadini.
Fu così varato nel 2005 un piano decennale detto “Patto Stato Regione” che avrebbe dovuto risolvere la faccenda con grandiose opere e rimodellazione delle filiere produttive, nonché dei materiali usati per le lavorazioni.
Finalmente, con anni di ingiustificato ritardo, ci si era resi conto che non
era sufficiente spostare l’inquinamento un po’ più in là per risolvere la
questione.
I cittadini, soprattutto quelli abitanti
nell’area inquinata (circa 500.000 persone coinvolte) restarono in trepida
attesa dell’inizio dei lavori che però non iniziarono mai. Si giunse così al 31
dicembre del 2015, data in cui l’allora presidente Serafin di Acque del
Chiampo, constatata la fine del decennio assegnato al Patto ne celebrò la fine.
La situazione intanto nel frattempo si era
aggravata anche perché si era “scoperto” nel 2013 che i liquami, insieme a
cromo, solfati, cloruri e altro portavano nei campi, e nelle falde sottostanti,
un carico abbondantissimo di PFAS. Tali inquinanti non giungevano solo
dall’azienda produttrice Miteni, che ha rovinato per sempre la più grande falda
idrica italiana, contenente una quantità di acqua paragonabile al quella del
lago di Garda, ma arrivavano anche dall’area della
concia, dove i prodotti a base di PFAS sono tuttora molto usati.
TABELLE ARPAV I PFAS NELLE ACQUE SUPERFICIALI SUPERANO DAPPERTUTTO I LIVELLI DI PERFORMANCE |
Non ci voleva molto per capire che i prodotti agroalimentari
della zona erano altamente contaminati dai PFAS, oltre che dal resto; se ne
accorse anche l’Istituto Superiore di Sanità che effettuò nel 2016 delle
ricerche e monitoraggi in loco.
Le solerti autorità istituzionali ritennero di
agire tempestivamente siglando, nel febbraio del 2016, un altro grande
Patto decennale Stato Regione.
Credo che nessuno si sia presa mai la briga di
leggere quello che c’è scritto in questo documento, tuttavia, io che l’ho letto
vi posso assicurare che i tecnici che lo
hanno redatto hanno dato il meglio di sé, anche se lo possiamo ritenere solo l’inizio della soluzione del problema. Vi
sono dentro proposte e progettazioni veramente interessanti e degne di essere
rapidamente messe in atto.
Purtroppo però i progetti del Patto decennale
sono rimasti nei cassetti dei vari enti, ministeri assessorati ecc. Sono
passati altri 4 anni e non è stato fatto niente. E anche adesso che potrebbe
essere co finanziato nel contesto del Recovery Fund next generation UE, il
presidente della Regione non lo ha nemmeno menzionato tra le opere proposte.
In
questi quattro anni abbiamo assistito ai festeggiamenti
per il quarantesimo compleanno del
depuratore di Arzignano, ormai vecchio, obsoleto e, fin dalla nascita, non
in grado di assolvere al suo compito di fornire ai cittadini acqua potabile ben
depurata, stiamo assistendo alla sopraelevazione di una
discarica a pochi passi dal centro di Arzignano e adesso alla celebrazione del dotto A.Ri.C.A. che
continua a sversare senza sosta i suoi veleni, più che ventennali, nel Fratta
Gorzone.
Ho voluto raccontarvi questa storia perché pochi la conoscono e moltissimi però ne sono vittime.
Le acque inquinate ci riguardano in prima persona: prima di tutto per un principio etico, perché mandare i fanghi a bruciare a Marghera e 40.000 litri di schifezze al giorno a coloro cha abitano un po’ più a Sud di Arzignano, provocando danni ingenti alla salute di tante persone, soprattutto bambini, è un crimine che non possiamo tollerare.
SBOCCO DEL DOTTO ARICA A COLOGNA VENETA (Foto aerea sbocco G.Peruffo) |
In secondo luogo, e parlo esclusivamente a coloro che pensano egoisticamente di farla franca e che la cosa non li riguardi, e non sanno che quelle schifezze che spediamo nei campi del Sud del Veneto ritornano nei nostri piatti in forma di radicchi, cavoli, frutta, uova e bistecche. Se non sono generosi con gli altri, cerchino di aprire gli occhi almeno su quello che ogni santo giorno si trovano nel piatto e nei bicchieri.
Affidiamo il nostro scritto alla intelligenza dei lettori che sono, in massima parte, le vittime di quanto da troppi anni avviene nel Veneto occidentale.
Auspichiamo che la lettura del post possa stimolare i cittadini a prendere atto della necessità di far partire urgentemente la bonifica di questa parte molto grande della regione; le risorse europee ci sarebbero, ma vanno richieste. Ne va della salute di tutti. E' necessario pertanto che ognuno si attivi, nel modo che gli sia più congeniale, per la difesa della propria salute, per quella dei propri cari e della comunità tutta.
Noi crediamo nel ruolo della cittadinanza attiva e pensiamo che documentare sia il modo migliore perché autonomamente si intervenga positivamente nella società.
Come nostro costume, le nostre relazioni sono sostanziate da un corredo di ampie documentazioni scientifiche. Le due tabelle che abbiamo inserito nel testo servono a darvi una immagine immediata del reale stato di cose. Si tratta di documenti ufficiali. Ne abbiamo in archivio molte altre che sono a vostra disposizione se voleste richiederle, così come i documenti relativi. Basta scrivere alla redazione di CiLLSA cillsa4@gmail.com
Riteniamo possa interessarvi un articolo dell'Espresso che illustra efficacemente i rapporti e le correlazioni tra Covid 19 e inquinamento da PFAS https://web.whatsapp.com/#
Giovanni Fazio
domenica 27 dicembre 2020
DA ARZIGNANO A FUSINA LAVORI IN CORSO: PERICOLO!
«Per la prima volta la società di Acque del Chiampo - dice il consigliere provinciale delegato all'ambiente, Matteo Macilotti - finanzia una serie di sperimentazioni fatte a piè di fabbrica nell'annoso tema della depurazione e del riciclo dei fanghi»
Un po’ strano che solo nel 2020 dal 1988
(anno di costruzione del depuratore di Arzignano) si inizino a fare delle
sperimentazioni sul tema del riciclo dei fanghi. Comunque, meglio tardi che
mai.
“Pronto a partire il piano sperimentale messo a punto da Acque
del Chiampo per una nuova soluzione al problema dello smaltimento dei fanghi da
conceria.
Avremo tre sperimentazioni che riguarderanno in particolare il
trattamento termico dei fanghi, quindi la loro distruzione con produzione
di energia, che verranno svolte in impianti pilota all'interno della regione ma
fuori dal territorio dei comuni soci di Acque del Chiampo”
Si parla di inceneritori e, ipocritamente, si
sottolinea che queste cosiddette sperimentazioni verranno effettuate “in regione ma fuori dai comuni soci della società Acque
del Chiampo”.
Una delle mete indicate dove si dovrebbero “termovalorizzare” i fanghi di conceria è “l’inceneritore di Venezia”. Questa precisazione fa tirare un respiro di sollievo ai nostri concittadini; sì perché dei polmoni e della vita dei bambini veneziani ce ne possiamo infischiare, visto che non abitano nei comuni serviti da Acque del Chiampo.
Altro termine ipocrita è la parola “termovalorizzatore” in
quanto è arcinoto che l’energia prodotta da siffatti impianti, costosissimi e
dispendiosi, non è sufficiente a ripagare le spese di quella usata per bruciare
i rifiuti. Pertanto non si valorizza alcunché e, senza lauti incentivi statali,
l’impresa di incenerimento sarebbe gravemente in perdita. Dunque possiamo
dire, come contribuenti che pagano le tasse e le tariffe elettriche da cui si
ricavano parte di questi incentivi, che tale “valorizzazione” viene effettuata
a spese nostre.
Proprio oggi i comitati di cittadini dell’area del veneziano stanno
presentando un ricorso al TAR del Veneto per i gravissimi rischi connessi all’attività dell’inceneritore da realizzare a Fusina per bruciare rifiuti che contengono PFAS, Cromo e altre sostanze tossiche e cancerogene. Coinvolti da questo inquinamento che dovrebbe interessare la linea 3 dell’inceneritore di Fusina (Marghera) ci sono più di 450 000 abitanti
. In America ormai si sono resi conto che i PFAS non si possono eliminare con gli inceneritori mentre l’UE sta avviando una programmazione per eliminarli del tutto entro il 2030, per cui anche Acque del Chiampo, nel suo piccolo, pur sognando l’inceneritore di Venezia, comincia a capire che l’unico modo di distruggere i rifiuti pericolosi è quello di non produrli.
Per questo si dà da fare per recuperare una
parte dei fanghi, per esempio il pelo, preziosa sostanza proteica, da
quarant’anni buttata in discarica senza motivo. Si tratta di 8.000 tonnellate
annue, come sostiene G. Z. nel Giornale di Vicenza.
Però tale operazione non si può fare senza togliere
prima i PFAS presenti nell’acquedotto industriale arzignanese.
Come da noi comunicato ai gestori regionali delle acque e all’assessore
all’Ambiente di Arzignano con una lettera dettagliata, i derivati della lavorazione del pelo conterrebbero alte quantità di PFAS presenti nell’acqua con cui verrebbero lavorati.
Per ovviare a ciò è sufficiente “l’installazione,
sui pozzi di approvvigionamento idrico autonomo aziendali, di sistemi
di abbattimento con filtri a carboni attivi, in modo tale da consentire un
bilancio ambientale positivo caratterizzato dalla depurazione dell’acqua di
falda e dall’impedire al contempo il potenziale trasferimento dell’impatto al
collettore Arica e conseguentemente ai corsi d’acqua superficiali (scadenza settembre
2017).”
Sentenza del Tribunale Speciale delle Acque settembre 2017
Non
ci sembra che Acque del Chiampo o il consorzio A.Ri.C.A. abbiano provveduto ad
effettuare questa indispensabile opera, prescritta dal TSAP per ottenere
prodotti zero PFAS al 100%. Sono passati più di 3 anni, dalla sentenza ma
ancora si pensa che l’unico modo di liberarci da queste sostanze sia il “camino”.
Nel progetto di Acque del Chiampo si
parla di “riduzione
degli impatti del processo conciario, in concerie del distretto si lavorerà per
il recupero del 40 per cento dei solfuri nelle acque di scarico, la scomparsa
del calcinaio ossidativo, il recupero del 90 % delle acque di rifinizione.”
Ottime intenzioni: ci auguriamo vadano in porto e
non siano un escamotage per portare i fanghi a Marghera.
Tuttavia
è giusto far notare ad Acque del Chiampo e ai conciari del distretto
Arzignanese che tali ed altre iniziative erano già contenute nel Patto Stato
Regione siglato da loro, oltre che dal governo Nazionale e Regionale, dai
sindacati e dai sindaci della vallata, nel 2005. Un patto decennale,
scaduto nel dicembre del 2015 senza che nemmeno una delle opere sottoscritte sia
stata almeno iniziata. Possiamo ancora fidarci?
Naturalmente, nel febbraio del 2016
è stato firmato un nuovo patto Stato Regione decennale dagli stessi firmatari
del precedente: sono passati quattro anni senza che qualcuno abbia mosso una
foglia. Il suddetto patto non rientra nemmeno nelle 500 e più opere, previste
da Zaia in questi giorni, per ottenere i finanziamenti europei previsti dal
Next generation EU. Eppure da tale patto,
che si rinnova inutilmente ogni dieci anni, dipende la bonifica dell’intera
bassa pianura veneta occidentale!
Quello che né il nuovo Patto né il Tribunale Superiore delle Acque (TSAP) prescrivono è, invece, l’ampliamento di una discarica in esaurimento, nel bel mezzo della zona industriale di Arzignano, dove lavorano e sono a rischio migliaia di persone, ad appena un chilometro di distanza in linea d’aria dal centro città.
Si tratta di un’opera altamente insalubre, costruita a suo tempo nel posto sbagliato, che penalizza un’area
industriale di eccellenza in maniera miserabile, come un water al centro di un
salotto elegante.
Il prodotto dell’ignoranza e della
sprovvedutezza di chi allora concepì una simile balordaggine non può adesso
essere ripetuto facendo crescere una innaturale sopraelevazione, tale da
mettere a rischio la salute dei lavoratori e dei cittadini arzignanesi.
Nel momento in cui in tutto il mondo si aprono
le porte ad un futuro green da noi si opera un penoso e grottesco ritorno al passato,
ennesimo fiore all’occhiello di una classe politico imprenditoriale la cui
mentalità non riesce ad evolversi nemmeno dopo la batosta del coronavirus.
Questo post, non ha intenti polemici ma costruttivi,
come è stata sempre l’attività svolta dalla associazione CiLLSA. Abbiamo
inserito di proposito dei LINK che, per chi volesse conoscere i documenti citati,
mettono a disposizione di tutti i contenuti del Patto Stato Regione e il cronoprogramma presente nella sentenza del TSAP, della lettera aigestori, con proposte importanti onde evitare l’ampliamento della discarica
9, su cui il dott. Francesco Bertola, presidente ISDE Vicenza e il sottoscritto,
abbiamo lavorato a lungo questa estate; lettera cui non è stata data alcuna risposta da
parte dei destinatari. Ci sono i LINK della prima e seconda lettera deipediatri di Venezia contro l’inceneritore e il documento dei comitati,
lo studio del professor Grandjean sul rapporto tra PFAS e COVId 19, la storia
del follout tossico dell’inceneritore dello stato di New York: una
storia interessantissima che dimostra il fallimento del Dipartimento della
Difesa americano nel tentativo di distruggere i PFAS con gli inceneritori. (Ringraziamo la professoressa Stefania Romio per la traduzione dell'inglese).
Insomma, abbiamo messo tanta legna al fuoco che ci auguriamo,
per primi, siano i tecnici di Acque del Chiampo a leggere.
Una ulteriore testimonianza, ricca di dati e di proposte, affinché i cittadini
sappiano che lavoriamo per il bene della comunità.
Giovanni Fazio