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sabato 20 febbraio 2021

LE RESPONSABILITA’ DELLA CONCIA NELL’INQUINAMENTO DA PFAS DELLA PIANURA VENETA

 


Prodotti contenenti perfluorati scaricati nel Fratta Gorzone dai depuratori.

 La dimostrata impossibilità di distruggere i PFAS con gli inceneritori, mette definitivamente fuori combattimento la tecnica dello smaltimento termico dei rifiuti che, per decenni, ha devastato la salute di intere città e regioni.

 Detto questo, se ne deduce che tali sostanze indistruttibili, perciò presenti in tutto il pianeta compresi i poli, non devono essere più né create, né commercializzate e né usate. Si tratta di misure già sollevate da alcuni paesi del Nord Europa e molto contrastate dalle potentissime lobby della chimica, assai influenti nei luoghi chiave delle strutture EU (Commissione, Parlamento, Consiglio dei Ministri ecc.)

         Il Ricorso al Tar dei comitati del Veneziano apre uno spiraglio di speranza affinché la logica, il buon senso, le ragioni della salute di centinaia di migliaia di cittadini abbiano il sopravvento sui calcoli basati solo sul profitto e la speculazione.

         Chiedere di non bruciare diventa una lotta comune con chi reclama di non produrre e non diffondere nell’ambiente i reflui industriali.

       


  Parliamo del fiume Fratta e del suo proseguimento nel canale Gorzone che costituiscono il bacino irriguo di tre provincie (Verona, Vicenza e Padova).

Sui danni alla salute dei PFAS abbiamo trattato a lungo, sia sui social che negli incontri con gli studenti della nostra regione con  cui interloquiamo da tre anni.

        

EFFETTI SUI PRODOTTI AGROALIMENTARI

Il problema è di grandissima rilevanza poiché la contaminazione delle falde e delle acque superficiali, oltre a mettere fuori gioco le risorse idriche dei nostri acquedotti, si riversa sui prodotti agricoli e gli allevamenti.

 Radicchi, cavoli neri, fiolari, frutta, uova, latte, bistecche, pesci, molluschi, gran parte di ciò che arriva ogni giorno al mercato sono il veicolo attraverso cui i nostri organismi e quelli dei nostri figli accumulano i PFAS (dati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità in un monitoraggio effettuato nella “Zona Rossa” nel 2017).

 Purtroppo nessuno si è preso la briga di indicare, fino ad ora, quali, fra le tonnellate di prodotti in vendita siano contaminati o meno e nessuno si è preoccupato di escludere gli alimenti inquinati prima che arrivino sui banconi dei mercati e supermercati, motivo per cui non è nemmeno possibile effettuare alcuna prevenzione, evitando di acquistarli e mangiarli.

         Siamo di fronte a un disastro ambientale in atto,  che dura da diversi decenni, senza che alcuno si prenda la briga di attuare rimedi efficaci e non di facciata.

 

TABELLE

I punti rossi segnano più di 500 ng /litro e si trovano nell'area della concia Il  Fratta Gorzone è ancora rosso prima di sboccare nel Brenta







La tabella di ARPAV su dieci anni di sversamenti parla da sé e le tabelle sulla presenza dei PFAS nei fiumi e nelle rogge del bacino Fratta Gorzone, altrettanto.

 

         Che fare? Come risolvere questo problema angosciante?

 

 

 

 

UNA PROPOSTA COSTRUTTIVA

 

Una corposa risposta alle problematiche sopra citate sta nei progetti contenuti nella sentenza del Tribunale Superiore delle Acque (TSAP febbraio 2017) e nel Patto Stato Regione siglato da Regione Veneto e Ministero dell’Ambiente, nonché dalle associazioni di categoria (leggi conciari) dai sindacati, dalle autorità di bacino, ecc…

Si tratta di un percorso decennale che ha come obiettivo la bonifica permanente del bacino del Fratta Gorzone.

Affinché qualche buontempone non mi accusi di volere danneggiare le concerie e cancellare posti di lavoro, preciso che quanto riportato non è una mia invenzione ma la lettura pedissequa del Patto controfirmato da tutti, come detto sopra.

Una delle citazioni più significative è quella per cui

“nella considerazione della contaminazione storica che alcune aste fluviali hanno subìto, soprattutto nella matrice dei sedimenti, da parte delle industrie conciarie”, il piano non sarà in grado di ripristinare lo “Stato buono” del fiume Fratta ma ci si dovrà accontentare del raggiungimento dello “stato Sufficiente entro il 2027”

Siffatta precisazione, scritta nell’Accordo Stato Regione, dimostra quanto grave sia lo stato di degrado prodotto dagli scarichi conciari e come sia addirittura impossibile restaurare lo “Stato Buono”.

Siamo di fronte ad un danno ambientale gravissimo e irreversibile, dichiaratamente riconosciuto dagli stessi firmatari del Patto; però, allo stato presente nessuno mette mano per rimediare (tutti i cronoprogrammi sono bellamente saltati).

Ancora più grave è il fatto che esso è stato redatto alla scadenza decennale del precedente accordo, firmato nel 2005 e conclusosi con un nulla di fatto al 31 dicembre del 2015.

 

Tornando alle citazioni del testo, fondamentale è quanto scritto nell’articolo 3

 Le Parti confermano e ribadiscono che il risanamento della parte alta del bacino del Fratta- Gorzone costituisce una delle condizioni indispensabili per l’utilizzazione delle risorse idriche a valle.”

Stiamo parlando di “Condizioni Indispensabili”.

Il fatto che non si sia tentato nemmeno di mettere una prima pietra simbolica, a cinque anni dalla seconda scadenza, dovrebbe accendere i fari delle procure, similmente a quanto sta avvenendo a Torino in questi giorni a causa dell’altissimo inquinamento atmosferico cui nessuno ha mai messo mano per, almeno, attenuarlo.

I cronoprogrammi, di cui stiamo parlando, sono stati prodotti, presumibilmente, dai tecnici di Acque del Chiampo, di A.Ri.C.A. e dell’assessorato regionale all’ambiente.

Sono  progetti di grandissima valenza ambientale e tecnologica davanti ai quali ci leviamo tanto di cappello, programmi basati sulle BAT (Best Available Techniques), cioè sulle migliori tecnologie attualmente esistenti, quindi non stiamo parlando di fantascienza.

 

I PROGETTI

Per darvi una idea vi enumeriamo in maniera sintetica ed estremamente semplificata, alcuni di questi progetti che potrebbero risolvere in grandissima parte la contaminazione di fanghi e di reflui.  

Creare un data base dei prodotti” usati per la concia o altre lavorazioni e scartare quelli che non possono essere trattati e distrutti; mettere dei filtri in ingresso nell’acquedotto industriale della concia per intercettare all’origine la presenza di PFAS (un acquedotto ripulito dai PFAS potrebbe permettere di recuperare circa il 40% dei fanghi di risulta, ricchi di proteine, separandoli dagli altri reflui prima che si passi alla concia vera e propria).

 

Raccolta differenziata e riciclo sono alla base delle tecnologie proposte. Trattamento in ambiente chiuso e sigillato delle fasi in cui si adoperano Pfas o sostanze di impossibile eliminazione; recupero e inertizzazione dei reflui e delle emissioni gassose evitando che vadano in fognatura. Recupero del cromo e dei solfati. Depurazione e riciclo dell’acqua, evitando di inviarla in fognatura. Ingegnerizzazione dei depuratori, ormai obsoleti e non in grado di eliminare metalli pesanti e altro. Separazione dei reflui civili da quelli industriali.

Sono alcune delle opere indispensabili per il recupero di un territorio vastissimo con una pianificazione decennale.

Riportare nei fiumi acque non contenenti inquinanti di alcun genere avrebbe immediati effetti sui prodotti alimentari. Certamente non è così semplice, visto il danno ricevuto in decenni dai terreni, inzuppati di residui chimici, tuttavia si tratterebbe dell’inizio del cambiamento.

Quanto detto è solo una breve sintesi di un corposo progetto complessivo che, con le disponibilità economiche messe a disposizione dal Recovery Fund, troverebbe una corretta e salvifica applicazione.

 

EFFETTI SUL LAVORO

 

Per quanto riguarda gli effetti sul lavoro di un’opera ciclopica, quale quella che è stata controfirmata, si aprirebbe un vasto campo di lungo impiego, non solo di operai e imprese, ma di tecnici, ingegneri, geologi, biologi, ricercatori, agronomi, medici, informatici ecc.

Sarebbe l’inizio di una opera epocale che potrebbe segnare lo spartiacque tra un Veneto ormai agonizzante nei propri rifiuti che non sa più come smaltire e una realtà all’avanguardia che si proietta verso un futuro fondato sui valori dell’ecologia circolare, del rispetto per l’ambiente, per le piante, per gli animali e dove la salute pubblica sia messa al primo posto.

 

IL TRIBUNALE

I processi in corso contro chi in passato si rese responsabile, sotto ogni profilo, di un criminale dilagare di tossici nelle nostre acque e nei nostri corpi, indicheranno la giusta via per perseguire e fermare chi nel presente attua e consente ancora il perpetrarsi di un immane disastro ambientale.

 

IL CERCHIO SI CHIUDE

 L’impegno civile di chi lotta contro gli inceneritori si fonda adesso con quello di chi, come noi, vive nell’occhio del ciclone dell’inquinamento massivo del territorio. Questa consapevolezza dovrà essere la base per operare insieme verso un vero rinascimento del nostro territorio, nell’unità e nella cooperazione. Belle parole!  E resteranno tali se non cominciamo tutti a premere perché i patti controfirmati siano rispettati. Ognuno di noi è chiamato in causa.

Giovanni Fazio

 

Note:

Inseriamo i link dell’articolo sugli inceneritori , il patto integrale Stato Regione e la sentenza del Tribunale Superiore delle acque

 

Contro gli inceneritori


Decreto sucronoprogramma A.Ri.C.A.


Patto Stato Regione2016


 

 

domenica 7 febbraio 2021

GRAZIE AL SINDACO DI CHIAMPO ADESSO I PFAS SCALANO LE MONTAGNE


 “Arriva l'acquedotto pubblico ai Mistrorighi di Chiampo e si estende la rete idrica per mille persone.”

 ARRIVANO ANCHE I PFAS DAL FONDO VALLE.

 

Dall’articolo del cronista locale Matteo Pieropan sul Giornale di Vicenza di oggi, sabato 6 febbraio 2021, apprendiamo che l’amministrazione comunale di Chiampo ha progettato l’estensione dell’acquedotto pubblico fino alla frazione dei Mistrorighi e oltre, allacciando alla rete anche Vestena (che non fa parte del Comune, essendo in provincia di Verona).



“È un intervento storico sul quale da anni sto lavorando assieme ad "Acque del Chiampo". Si tratta di una linea acquedottistica che porterà l'acqua dal quartiere Vignaga alla frazione Mistrorighi», commenta il sindaco Macilotti” Molto soddisfatto di questo servizio che offre, addirittura anche fuori provincia, pompando l’acqua fino alle alte colline di Vestena.

Ci domandiamo se i nostri amministratori locali si siano  dimenticati che l’acqua che Acque del Chiampo distribuisce ai comuni della vallata è fortemente inquinata dai PFAS.

Ci chiediamo se il Sindaco Macilotti si renda conto del gravissimo danno che questa scelta insensata arrecherà a quelle contrade che, grazie alla altezza, si erano salvate, fino ad ora, dalla contaminazione da PFAS.

Si rende conto il Sindaco che i PFAS sono una maledizione tossica che sta impestando mezzo mondo e che queste molecole sono persistenti nell’ambiente (e cioè nei terreni, nelle piante, negli animali e negli esseri umani per molti anni)?

Si rende conto che mandandola sulle colline contaminerà per sempre un territorio che fino ad ora si era salvato?

Si rende conto che i cibi prodotti, ortaggi, verdure, frutta, frumento per non parlare di carne, uova, vino e altro saranno a loro volta contaminati?

Il Sindaco di Chiampo, ha avvisato i propri concittadini che chi beve l’acqua dell’acquedotto comunale si espone a rischi di patologie gravi che possono compromettere anche il sistema riproduttivo?

Il Sindaco di Chiampo sa che i PFAS sono stati trovati
recentemente, dal prof. Foresta dell’Università di Padova anche negli spermatozoi dei ragazzi di Lonigo esposti?

Sappiamo benissimo che il decreto Zaia del 2017 ha stabilito un livello di performance per i PFAS di 390 ng/litro per l’acqua potabile, tuttavia tale livello, non corrisponde ai massimi settimanali previsti dall’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) e                                                                                     non preserva i cittadini dall’accumulo nel proprio sangue e nel proprio corpo di sostanze perfluoroalchiliche che, nel tempo, potrebbero scatenare malattie ormai ben conosciute dalla scienza.

Il valore di performance fissato dal decreto regionale del 2017 è solo un termine tecnico e non sanitario.

Considerando che il Sindaco è la massima autorità sanitaria del Comune e non un semplice cittadino, firmerebbe un documento in cui si affermerebbe, che chi beve l’acqua dell’acquedotto comunale, non va incontro a nessun rischio, contrariamente a quanto riferiscono tutte le pubblicazioni scientifiche?

Consiglierebbe l’acqua dell’acquedotto a una donna in stato di gravidanza?

Se lo facesse non farebbe un buon servizio alla cittadinanza e potrebbe andare incontro a grossi problemi.

Dal 2013 è aperta una grande vertenza ecologista con la quale tutti i movimenti di cittadini inquinati del Sud Ovest del Veneto stanno combattendo per ottenere una grande bonifica del territorio gravemente compromesso dall’inquinamento PFAS.

Il sindaco Macilotti dovrebbe saperlo tuttavia in controtendenza col Movimento No PFAS, probabilmente senza rendersene conto, progetta opere pubbliche che, inevitabilmente, portano all’estensione dell’inquinamento dove, per fortuna, non era ancora arrivato.

Ci pensi su, prima di pompare acqua contaminata agli abitanti della frazione Mistrorighi e a quelli di Vestena e almeno li avvisi del rischio che correranno, poiché costoro sono totalmente ignari del “regalo” che stanno ricevendo e, se possibile, metta un filtro a carboni attivi prima di pompare l’acqua.

Pubblichiamo le ultime tabelle di Acque del Chiampo dove sono segnalati i PFAS presenti negli acquedotti dei comuni di Arzignano, Montecchio M, Montorso e Chiampo.

 Come si può leggere nella legenda in fondo alla tabella, tra i PFAS cercati c’è anche il PFBA, recentemente ritenuto responsabile di un maggiore rischio mortale per la polmonite da Covid 19.

 

Giovanni Fazio
















lunedì 4 gennaio 2021

A.Ri.C.A. 20 ANNI DI INQUINAMENTO DELLA BASSA PIANURA VENETA

 

Il giornale di Vicenza del 2 gennaio pubblica un servizio dedicato ai 20 anni di attività del consorzio A.Ri.C.A, l'ente che gestisce il collettore delle acque di cinque impianti di depurazione del Vicentino, quelli di Trissino, Arzignano, Montecchio Maggiore, Montebello e Lonigo.

 Venti anni fa, infatti, in seguito ad anni di proteste dei cittadini e degli agricoltori dei comuni attraversati dalle acque marce e inquinate provenienti dagli scarichi dei depuratori dell’area del distretto conciario, la Regione Veneto decise di far passare sotto terra i liquami suddetti, bypassando i territori dei comuni immediatamente vicini, tramite un condotto.

Nel corso degli anni, sempre per gli stessi motivi, il collettore sotterraneo si è allungato sempre più raggiungendo una lunghezza di 40 chilometri e sboccando, in prossimità di Cologna Veneta, nel fiume Fratta dove viene miscelato con acque provenienti dall’ Adige, poco distante, attraverso un canale appositamente costruito, chiamato LEB. La diluizione fu necessaria per rientrare nei cosiddetti limiti di tolleranza per le sostanze tossiche e cancerogene che affluivano nel Fratta.

Tali limiti, estremamente generosi nei confronti degli inquinatori, non furono però sufficienti a salvare la grande bassa pianura veneta da un gravoso inquinamento che di giorno in giorno, per venti anni, ha contaminato l’intero territorio meridionale di tre province (Verona, Vicenza e Padova) nonché il mare Adriatico.

Malgrado gli elogi continui con cui veniva celebrata in questi venti anni l'opera e le congratulazioni che anche oggi esprime il giornale di Vicenza per il compleanno del consorzio, ben presto, ci si era resi conto del danno enorme che provocavano queste acque a tutto il comparto agroalimentare e alla salute dei cittadini.

Fu così varato nel 2005 un piano decennale detto “Patto Stato Regione” che avrebbe dovuto risolvere la faccenda con grandiose opere e rimodellazione delle filiere produttive, nonché dei materiali usati per le lavorazioni. 

Finalmente, con anni di ingiustificato ritardo, ci si era resi conto che non era sufficiente spostare l’inquinamento un po’ più in là per risolvere la questione.

I cittadini, soprattutto quelli abitanti nell’area inquinata (circa 500.000 persone coinvolte) restarono in trepida attesa dell’inizio dei lavori che però non iniziarono mai. Si giunse così al 31 dicembre del 2015, data in cui l’allora presidente Serafin di Acque del Chiampo, constatata la fine del decennio assegnato al Patto ne celebrò la fine.

La situazione intanto nel frattempo si era aggravata anche perché si era “scoperto” nel 2013 che i liquami, insieme a cromo, solfati, cloruri e altro portavano nei campi, e nelle falde sottostanti, un carico abbondantissimo di PFAS. Tali inquinanti non giungevano solo dall’azienda produttrice Miteni, che ha rovinato per sempre la più grande falda idrica italiana, contenente una quantità di acqua paragonabile al quella del lago di Garda, ma arrivavano anche dall’area della concia, dove i prodotti a base di PFAS sono tuttora molto usati.


TABELLE ARPAV I PFAS NELLE ACQUE SUPERFICIALI SUPERANO DAPPERTUTTO I LIVELLI DI PERFORMANCE


Non ci voleva molto per capire che i prodotti agroalimentari della zona erano altamente contaminati dai PFAS, oltre che dal resto; se ne accorse anche l’Istituto Superiore di Sanità che effettuò nel 2016 delle ricerche e monitoraggi in loco.



Le solerti autorità istituzionali ritennero di agire tempestivamente siglando, nel febbraio del 2016, un altro grande Patto decennale Stato Regione.

Credo che nessuno si sia presa mai la briga di leggere quello che c’è scritto in questo documento, tuttavia, io che l’ho letto  vi posso assicurare che i tecnici che lo hanno redatto hanno dato il meglio di sé, anche  se lo  possiamo ritenere  solo l’inizio della soluzione del problema. Vi sono dentro proposte e progettazioni veramente interessanti e degne di essere rapidamente messe in atto.

Purtroppo però i progetti del Patto decennale sono rimasti nei cassetti dei vari enti, ministeri assessorati ecc. Sono passati altri 4 anni e non è stato fatto niente. E anche adesso che potrebbe essere co finanziato nel contesto del Recovery Fund next generation UE, il presidente della Regione non lo ha nemmeno menzionato tra le opere proposte.

 In questi quattro anni abbiamo assistito ai festeggiamenti per il quarantesimo compleanno del depuratore di Arzignano, ormai vecchio, obsoleto e, fin dalla nascita, non in grado di assolvere al suo compito di fornire ai cittadini acqua potabile ben depurata, stiamo assistendo alla sopraelevazione di una discarica a pochi passi dal centro di Arzignano e adesso alla celebrazione del dotto A.Ri.C.A. che continua a sversare senza sosta i suoi veleni, più che ventennali, nel Fratta Gorzone.

Ho voluto raccontarvi questa storia perché pochi la conoscono e moltissimi però ne sono vittime.

Le acque inquinate ci riguardano in prima persona: prima di tutto per un principio etico, perché mandare i fanghi a bruciare a Marghera e 40.000 litri di schifezze al giorno a coloro cha abitano un po’ più a Sud di Arzignano, provocando danni ingenti alla salute di tante persone, soprattutto bambini, è un crimine che non possiamo tollerare.


SBOCCO DEL DOTTO ARICA A
COLOGNA VENETA
(Foto aerea sbocco G.Peruffo)

In secondo luogo, e parlo esclusivamente a coloro che pensano egoisticamente di farla franca e che la cosa non li riguardi, e non sanno che quelle schifezze che spediamo nei campi del Sud del Veneto ritornano nei nostri piatti in forma di radicchi, cavoli, frutta, uova e bistecche. Se non sono generosi con gli altri, cerchino di aprire gli occhi almeno su quello che ogni santo giorno si trovano nel piatto e nei bicchieri.

Affidiamo il nostro scritto alla intelligenza dei lettori che sono, in massima parte, le vittime di quanto da troppi anni avviene nel Veneto occidentale. 

Auspichiamo che la lettura del post possa stimolare i cittadini a prendere atto della necessità di far partire  urgentemente  la bonifica di questa parte molto grande della regione; le risorse europee ci sarebbero, ma vanno richieste. Ne va della salute di tutti. E' necessario pertanto che ognuno si attivi, nel modo che gli sia più congeniale, per la difesa  della propria salute, per quella dei propri cari e della comunità tutta.

            Noi crediamo nel ruolo della cittadinanza attiva e pensiamo che documentare sia il modo migliore perché autonomamente si intervenga positivamente nella società.

Come nostro costume, le nostre relazioni sono sostanziate da un corredo di ampie documentazioni scientifiche. Le due tabelle che abbiamo inserito nel testo servono a darvi una immagine immediata del reale stato di cose. Si tratta di documenti ufficiali. Ne abbiamo in archivio molte altre che sono a vostra disposizione se voleste richiederle, così come i documenti relativi. Basta scrivere alla redazione di CiLLSA  cillsa4@gmail.com 


   Riteniamo possa interessarvi un articolo dell'Espresso che illustra efficacemente i rapporti e le correlazioni tra Covid 19 e inquinamento da PFAS https://web.whatsapp.com/#

 

Giovanni Fazio  

 

 

 

 

 

domenica 27 dicembre 2020

DA ARZIGNANO A FUSINA LAVORI IN CORSO: PERICOLO!


UNA DISCARICA DA AMPLIARE NEL BEL MEZZO DELLA ZONA INDUSTRIALE A POCHE CENTINAIA DI METRI DAL CENTRO DI ARZIGNANO.

 

Citiamo, dal Giornale di Vicenza di oggi 27/12/2020:

 «Per la prima volta la società di Acque del Chiampo - dice il consigliere provinciale delegato all'ambiente, Matteo Macilotti - finanzia una serie di sperimentazioni fatte a piè di fabbrica nell'annoso tema della depurazione e del riciclo dei fanghi»

         Un po’ strano che solo nel 2020 dal 1988 (anno di costruzione del depuratore di Arzignano) si inizino a fare delle sperimentazioni sul tema del riciclo dei fanghi. Comunque, meglio tardi che mai.

“Pronto a partire il piano sperimentale messo a punto da Acque del Chiampo per una nuova soluzione al problema dello smaltimento dei fanghi da conceria.

Avremo tre sperimentazioni che riguarderanno in particolare il trattamento termico dei fanghi, quindi la loro distruzione con produzione di energia, che verranno svolte in impianti pilota all'interno della regione ma fuori dal territorio dei comuni soci di Acque del Chiampo

Si parla di inceneritori e, ipocritamente, si sottolinea che queste cosiddette sperimentazioni verranno effettuate “in regione ma fuori dai comuni soci della società Acque del Chiampo”.

Una delle mete indicate dove si dovrebbero “termovalorizzare” i fanghi di conceria è “l’inceneritore di Venezia”. Questa precisazione fa tirare un respiro di sollievo ai nostri concittadini; sì perché dei polmoni e della vita dei bambini veneziani ce ne possiamo infischiare, visto che non abitano nei comuni serviti da Acque del Chiampo.


Altro termine ipocrita è la parola “termovalorizzatore” in quanto è arcinoto che l’energia prodotta da siffatti impianti, costosissimi e dispendiosi, non è sufficiente a ripagare le spese di quella usata per bruciare i rifiuti. Pertanto non si valorizza alcunché e, senza lauti incentivi statali, l’impresa di incenerimento sarebbe gravemente in perdita.                                                                                                                           Dunque possiamo dire, come contribuenti che pagano le tasse e le tariffe elettriche da cui si ricavano parte di questi incentivi, che tale “valorizzazione” viene effettuata a spese nostre.

       



 
Proprio oggi i comitati di cittadini dell’area del veneziano stanno
presentando un ricorso al TAR del Veneto per i gravissimi rischi connessi all’attività dell’inceneritore da realizzare a Fusina per bruciare rifiuti che contengono PFAS, Cromo e altre sostanze tossiche e cancerogene. Coinvolti da questo inquinamento che dovrebbe interessare la linea 3 dell’inceneritore di Fusina (Marghera) ci sono più di 450 000 abitanti

.                In America ormai si sono resi conto che i PFAS non si possono eliminare con gli inceneritori mentre l’UE sta avviando una programmazione per eliminarli del tutto entro il 2030, per cui anche Acque del Chiampo, nel suo piccolo, pur sognando l’inceneritore di Venezia, comincia a capire che l’unico modo di distruggere i rifiuti pericolosi è quello di non produrli.

Per questo si dà da fare per recuperare una parte dei fanghi, per esempio il pelo, preziosa sostanza proteica, da quarant’anni buttata in discarica senza motivo. Si tratta di 8.000 tonnellate annue, come sostiene G. Z. nel Giornale di Vicenza.

Però tale operazione non si può fare senza togliere prima i PFAS presenti nell’acquedotto industriale arzignanese.

 Come da noi comunicato ai gestori regionali delle acque e all’assessore
all’Ambiente di Arzignano con una lettera dettagliata,
i derivati della lavorazione del pelo conterrebbero alte quantità di PFAS presenti nell’acqua con cui verrebbero lavorati.

Per ovviare a ciò è sufficiente “l’installazione, sui pozzi di approvvigionamento idrico autonomo aziendali, di sistemi di abbattimento con filtri a carboni attivi, in modo tale da consentire un bilancio ambientale positivo caratterizzato dalla depurazione dell’acqua di falda e dall’impedire al contempo il potenziale trasferimento dell’impatto al collettore Arica e conseguentemente ai corsi d’acqua superficiali (scadenza settembre 2017).”

         Sentenza del Tribunale Speciale delle Acque settembre 2017

Non ci sembra che Acque del Chiampo o il consorzio A.Ri.C.A. abbiano provveduto ad effettuare questa indispensabile opera, prescritta dal TSAP per ottenere prodotti zero PFAS al 100%. Sono passati più di 3 anni, dalla sentenza ma ancora si pensa che l’unico modo di liberarci da queste sostanze sia il “camino”.

         Nel progetto di Acque del Chiampo si parla di “riduzione degli impatti del processo conciario, in concerie del distretto si lavorerà per il recupero del 40 per cento dei solfuri nelle acque di scarico, la scomparsa del calcinaio ossidativo, il recupero del 90 % delle acque di rifinizione.”

Ottime intenzioni: ci auguriamo vadano in porto e non siano un escamotage per portare i fanghi a Marghera.

 Tuttavia è giusto far notare ad Acque del Chiampo e ai conciari del distretto Arzignanese che tali ed altre iniziative erano già contenute nel Patto Stato Regione siglato da loro, oltre che dal governo Nazionale e Regionale, dai sindacati e dai sindaci della vallata, nel 2005. Un patto decennale, scaduto nel dicembre del 2015 senza che nemmeno una delle opere sottoscritte sia stata almeno iniziata. Possiamo ancora fidarci?

         Naturalmente, nel febbraio del 2016 è stato firmato un nuovo patto Stato Regione decennale dagli stessi firmatari del precedente: sono passati quattro anni senza che qualcuno abbia mosso una foglia. Il suddetto patto non rientra nemmeno nelle 500 e più opere, previste da Zaia in questi giorni, per ottenere i finanziamenti europei previsti dal Next generation EU.  Eppure da tale patto, che si rinnova inutilmente ogni dieci anni, dipende la bonifica dell’intera bassa pianura veneta occidentale!

Quello che né il nuovo Patto né il Tribunale Superiore delle Acque (TSAP) prescrivono è, invece, l’ampliamento di una discarica in esaurimento, nel bel mezzo della zona industriale di Arzignano, dove lavorano e sono a rischio migliaia di persone, ad appena un chilometro di distanza in linea d’aria dal centro città.


Si tratta di un’opera altamente insalubre, costruita a suo tempo nel posto sbagliato, che penalizza un’area industriale di eccellenza in maniera miserabile, come un water al centro di un salotto elegante.

Il prodotto dell’ignoranza e della sprovvedutezza di chi allora concepì una simile balordaggine non può adesso essere ripetuto facendo crescere una innaturale sopraelevazione, tale da mettere a rischio la salute dei lavoratori e dei cittadini arzignanesi.

Nel momento in cui in tutto il mondo si aprono le porte ad un futuro green da noi si opera un penoso e grottesco ritorno al passato, ennesimo fiore all’occhiello di una classe politico imprenditoriale la cui mentalità non riesce ad evolversi nemmeno dopo la batosta del coronavirus.

 

Questo post, non ha intenti polemici ma costruttivi, come è stata sempre l’attività svolta dalla associazione CiLLSA. Abbiamo inserito di proposito dei LINK che, per chi volesse conoscere i documenti citati, mettono a disposizione di tutti i contenuti del Patto Stato Regione e il cronoprogramma presente nella sentenza del TSAP, della lettera aigestori, con proposte importanti onde evitare l’ampliamento della discarica 9, su cui il dott. Francesco Bertola, presidente ISDE Vicenza e il sottoscritto, abbiamo lavorato a lungo questa estate; lettera cui non è stata data alcuna risposta da parte dei destinatari. Ci sono i LINK della prima e seconda lettera deipediatri di Venezia contro l’inceneritore e il documento dei comitati, lo studio del professor Grandjean sul rapporto tra PFAS e COVId 19, la storia del follout tossico dell’inceneritore dello stato di New York: una storia interessantissima che dimostra il fallimento del Dipartimento della Difesa americano nel tentativo di distruggere i PFAS con gli inceneritori.  (Ringraziamo la professoressa Stefania Romio per la traduzione dell'inglese).

Insomma, abbiamo messo tanta legna al fuoco che ci auguriamo, per primi, siano i tecnici di Acque del Chiampo a leggere.

Una ulteriore testimonianza, ricca di dati e di proposte, affinché i cittadini sappiano che lavoriamo per il bene della comunità.

Giovanni Fazio

 

venerdì 6 novembre 2020

ACQUA SENZA PFAS NEL 2023

 GLI ULTIMI SARANNO (DETTI) I PRIMI.

È DAL 2013 CHE  STIAMO ASPETTANDO I FILTRI.

 


Finalmente, per ultimi, noi arzignanesi potremo avere acqua filtrata; non subito ma tra due anni circa.

  Per questo è grave sentire dire alla Sindaca   "da sempre il Comune di Arzignano insieme ad Acque del Chiampo è in prima linea".

Non dimentichiamo che dal 2013 CiLLSA ha chiesto che si provvedesse tempestivamente ad applicare i filtri all'acquedotto arzignanese ma le amministrazioni precedenti, guidate dal sindaco Gentilin, ci hanno sempre contestato asserendo più volte che l'acqua di Arzignano era potabilissima al pari di "acqua oligominerale", lasciando così che la popolazione bevesse, senza saperlo, acqua inquinata da PFAS (al di sopra di ogni limite accettabile, secondo le recenti dichiarazioni dell'EFSA). Sarebbe stato più corretto invitare subito la popolazione a bere acqua in bottiglia, per precauzione, e stimolare acque del Chiampo a muoversi tempestivamente e non dopo sette anni.


Un vero disastro per chi per lunghi anni, ingannato sulla qualità dell'acqua, ha caricato il proprio organismo e quello dei propri bambini di PFAS che, come si sa, si accumulano per anni all'interno del nostro organismo, che non è capace di espellerli rapidamente, provocando gravissimi danni alla salute (ultimamente il prof Foresta dell’Università di Padova ha trovato i PFAS negli spermatozoi dei ragazzi contaminati di Lonigo).

Tuttavia il problema PFAS, quando finalmente saranno messi i filtri a carboni attivi, non è risolto. Lo diciamo oggi, ma è da anni che lo stiamo ripetendo.

L'EFSA (Agenzia Europea per la Protezione Alimentare) valuta la
contaminazione da PFAS per gli esseri umani solo per il 20% dovuta all’acqua mentre il restante 80% è dovuto ai cibi. E molti dei cibi che compriamo al mercato sono prodotti nella vasta area dell’inquinamento del Veneto Sud Occidentale di cui anche noi facciamo parte, le cui acque sotterranee sono state gravemente inquinate dalla ditta Miteni senza che nessuno prendesse provvedimenti.

Su questa vastissima falda il cui inquinamento si spinge a Sud fino a Montagnana e a Est verso Vicenza e oltre, insistono circa 10.000 pozzi privati, in massima parte non controllati, da cui si estrae l’acqua per annaffiare le colture di vasta parte della bassa pianura veneta. 



L’Istituto Superiore di Sanità ha monitorato in parte i cibi prodotti in questa vasta area e il sangue di allevatori e agricoltori, constatando che i livelli di contaminazione di costoro erano molto più alti dei quelli della popolazione di riferimento.

Ciò è dovuto al fatto che queste persone mangiano i propri prodotti.

Purtroppo, fino ad oggi nessuno ha provveduto ad escludere dal mercato i cibi contaminati, né, tanto meno, ad aiutare i produttori a filtrare l’acqua dei pozzi. Un altro vero disastro che ci coinvolgere tutti, costretti a fare la spesa ogni giorno senza sapere se gli alimenti che porteremo a casa siano o meno contaminati.

Ancora, come sette anni fa per l’acqua che bevono gli arzignanesi, siamo totalmente inascoltati anche se in Regione sono perfettamente a conoscenza delle ricerche e Monitoraggio effettuate dall’ Istituto Superiore di Sanità.

Assemblea cittadina ad Arzignano contro i PFAS

Ancora una volta chiediamo che la salute e la vita nostra e dei nostri concittadini sia tutelata.

 


Tra l’altro la grandissima area in cui i cibi sono contaminati da acqua malata, ci fa ritenere che il rischio sia esteso a tutta la popolazione del Veneto. Secondo EFSA ogni bambino del veneto assume già, settimanalmente, più del doppio della dose di PFAS ritenuta non a rischio.

Non ci è concesso nemmeno di effettuare le analisi del sangue per controllare a che punto siamo con la contaminazione da PFAS né, tanto meno, siamo informati sulla presenza dei PFAS a catena corta Gen-X e C6O4, che per anni, con tanto di autorizzazione di provincia e Regione, la Miteni ha continuato a produrre e a sversare.

Chiunque legga questo articolo può chiedere al proprio medico di famiglia o al distretto se sia possibile effettuare il dosaggio dei PFAS nel proprio sangue; vi invito tutti a farlo per constatare il diritto che vi viene negato. Vi chiederete il perché. Lo scoprirete da soli.

Chiediamo di mangiare cibi sani così come per anni abbiamo chiesto di bere acqua sana. Questo è il nostro delitto.

 

 

Giovanni Fazio  

 Riportiamo l'intervista alla sindaca di Arzignano e ai dirigenti diAcqua del Chiampo



 

giovedì 5 novembre 2020

CHIUSURA DELLE SCUOLE SECONDARIE DI SECONDO GRADO


NON E’ UN PROBLEMA SCOLASTICO MA DI TRASPORTO PUBBLICO.

“QUI SI VIAGGIA A PIENO CARICO”. PAROLA DI ZAIA

 La inveterata questio del rapporto scuola-trasporti urbani e interurbani non è nata oggi ma è stato uno dei temi in cui il presidente della Regione Veneto ha dato i meglio di sé.

Per rinfrescare la memoria dei sudditi, riporto un mio post scritto ad agosto scorso.




 … Come fa sempre nei suoi frequentissimi spot giornalistici e televisivi, questa mattina, (4 agosto), Zaia ha tranquillizzato i veneti in tema di trasporto pubblico:

«In attesa che a Roma smettano di litigare, noi confermiamo la nostra ordinanza che permette la capienza in base all'omologazione

(l’omologazione dei vagoni ferroviari o degli autobus non è stata data tenendo conto della pandemia bensì di tempi normali; e comunque non è stata mai rispettata. N.d.R.)

Non è un atto di irresponsabilità: se si tratta di svuotare del 40% i bus e del 50% i treni, si dica ai cittadini che non ci sono alternative per il trasporto pubblico.

E il problema che ho io ce l'hanno tutti i colleghi delle Regioni. Non solo. Con il governo è stato firmato un accordo con le parti sociali contenuto nel Dpcm del 13 aprile, in cui si dice che chi sta nel comparto produttivo a distanza inferiore di un metro indossa la mascherina, chi sta a distanza maggiore di un metro non usa la mascherina; non si capisce perché gli stessi lavoratori che stanno vicini con la mascherina al lavoro, non possano stare vicini con la mascherina anche sui mezzi di trasporto».

Zaia non lo capisce o finge di non capirlo forse perché lui i treni dei pendolari non li prende mai.

I trasporti pubblici, molto carenti nel Veneto, non sono una piaga di oggi: sono chiaramente insufficienti da sempre e causa di gravi disagi per coloro che si recano al lavoro o a scuola.

In dieci anni di governo Zaia non si è mai sognato di produrre un piano logistico che permettesse ai veneti di raggiungere i posti di lavoro in maniera dignitosa e in tempi decenti.

La contropartita della carenza di trasporti pubblici è l’inquinamento delle città, tra i più alti d’Italia, l’intasamento delle vie e la spasmodica ricerca di parcheggi, sempre più cari e insufficienti.

Si impiegano ore per raggiungere Vicenza dai paesi vicini, ore di vita rubataquotidianamente agli automobilisti costretti a interminabili file in un traffico saturo di ossidi di azoto, particolati velenosi, biossido di carbonio e altre emissioni che ti accorciano la vita.

Dieci anni di Governo della Regione in cui i ricchi si sono arricchiti ancora di più, ma tutti gli altri debbono arrangiarsi come possono, pagando servizi pessimi o inesistenti e ammalandosi di Covid, visto che oltre ai “carri bestiame” non ci sono altre alternative: l’ha detto lui!

Ovvero, una alternativa c’è: è quella di chiudere le scuole. E a favore di questa soluzione il presidente del Veneto si è sgolato per mesi sul Giornale di Vicenza e nelle TV locali (in questo prontamente imitato da altri presidenti regionali).

E’ stata una pressione logorante che ha costretto il governo, indebolito anche dalle posizioni di una parte del suo schieramento allineata col presidente De Luca (Campania), a ordinare la chiusura delle scuole di secondo grado su tutto il territorio nazionale. Tutto ciò, malgrado i dati statistici davano la scuola il luogo più sicuro (solo il 3% dei contagi) del Paese.

         Non si è tenuto conto de fatto che gli istituti potevano effettuare i doppi turni (mattina e pomeriggio) con orari diversi da quelli delle aziende e degli uffici in modo da dimezzare il traffico nelle ore di punta. Non si è tenuto conto che nelle città meno grandi, come sono quasi tutte le città del Veneto i ragazzi raggiungono la scuola a piedi, in motorino o in bicicletta e, talvolta, accompagnati dai loro genitori in macchina, ma mai con i mezzi pubblici locali che non esistono.

      

   I trasporti urbani , sono di pertinenza dei Comuni, che conoscono bene la situazione del traffico locale e ai comuni sarebbe dovuta essere stata lasciata la scelta in merito evitando di scaricare sulle scuole problemi che non competono loro. Si invoca tanto l’autonomia ma quando te la danno ti lamenti del fatto che ti appioppano responsabilità che sono del Governo Nazionale. Invece no, cari sindaci e caro Zaia, non è il Ministero dei trasporti che deve organizzare il traffico del vostro comune o della vostra regione: mi sembra ovvio.

 

Non ho parole per lo scempio che si fa della scuola e del massacro dei diritti fondamentali degli studenti che gli adulti pretendono di educare. In nessun’altro Stato europeo sono state chiuse le scuole. Condivido in pieno il grido di dolore che sale dal post di Donata. Questo intervento è solo la sottolineatura della ipocrisia con cui si pretende di risolvere una grave mancanza da parte di chi governa la società italiana a tutti i vari livelli, scaricando il peso della propria imperizia e incapacità sulla pelle e la vita dei ragazzi.  

          So benissimo che il tempo di attenzione che si dedica ad un post su Facebook non dura più di un paio di minuti e che una paginetta come questa viene saltata dai più. Purtroppo nella comunicazione nei social prevale l’affermazione sulla argomentazione, il linguaggio lineare a quello sistemico che prende in considerazioni il contesto oltre che il testo. So benissimo che l’intervento su Facebook segue lo schema stilistico del tifo calcistico. Affido, come sempre, il mio messaggio nella bottiglia ad un pubblico di persone e non a una marea di tifosi.

Giovanni Fazio

 

Alleghiamo l’articolo pubblicato oggi su “Il Fatto Quotidiano” dove la chiusura delle scuole secondarie di secondo grado viene analizzata e commentata

https://docs.google.com/document/d/1gkWRAbb7x0R-P0XuJySbiZXZvndtjpU3qLhliR26gCQ/edit?usp=sharing