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domenica 21 luglio 2019

PFAS: ALIMENTI CONTAMINATI NESSUNA SICUREZZA.




L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’ CONFERMA.




Da una recentissima indagine dell’Istituto Superiore di Sanità emerge incontestabilmente il ruolo degli alimenti nella contaminazione da PFAS (Uova, carni, latte e alimenti vegetali). 


Nella Zona Rossa sono fortemente contaminati i prodotti agroalimentari che provengono da allevamenti e terreni che usano acqua di pozzo. 




Si legge, tra l’altro, sul documento inviato dall’ ISS alla Regione
“Permangono esposizioni elevate al PFOA in alcuni gruppi di popolazione. Specialmente nella zona A, le famiglie che fanno uso di pozzi privati…  presentano livelli espositivi ancora eccedenti il TWI (Dose settimanale accettabile di PFAS).” 


Queste persone (ALLEVATORI E AGRICOLTORI) presentano livelli di PFAS nel sangue molto più elevati del resto della popolazione locale.

Secondo l’EFSA (Ente Europeo per la Sicurezza Alimentare) l’acqua contribuisce alla contaminazione da PFAS solo per il 20% mentre il restante 80% deriva dagli alimenti, pur essendo l’acqua il veicolo della contaminazione.


Avevamo lanciato l’allarme nel 2016 e successivamente nel dicembre del 2018, riportando i nuovi parametri stabiliti dall’EFSA.
Infatti le “rassicurazioni” allora pubblicate dalla Regione Veneto sulla mancanza di criticità, si basavano sui limiti giornalieri fissati dall’EFSA che risalivano al 2008, epoca in cui pochissimi studi si erano fatti sui PFAS.

Per quanto riguarda il Pfoa, nel 2008 l’EFSA aveva fissato una dose giornaliera tollerabile di 1.500 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno. Adesso, invece, indica una dose settimanale tollerabile pari 6 nanogrammi per kg di peso, corrispondenti; per la sola acqua, a 0,86 nanogrammi al giorno.

Per il Pfos, nel 2008 l’Efsa aveva fissato una dose giornaliera tollerabile di 150 nanogrammi al giorno per kg di peso corporeo. Adesso, invece, indica una dose settimanale tollerabile pari 13 nanogrammi per kg di peso, corrispondenti; per la sola acqua, a 1,86 nanogrammi al giorno.

Questi nuovi limiti, infinitamente più rigorosi di quanto si pensasse undici anni fa, sono fissati dagli scienziati in base a una mole di ricerche sull’argomento che illustrano con maggiore precisione il RISCHIO.

C’è una bella differenza tra i livelli massimi fissati dal decreto Zaia (390 ng/litro per i PFAS totali) e la quantità di PFAS massima che secondo l’EFSA può sopportare senza rischio il nostro organismo!

Tuttavia il presidente della Regione, anche adesso che si conosce UFFICIALMENTE quanto siano pericolosi l’acqua e i cibi che noi mangiamo e che diamo da mangiare ai nostri bambini, si guarda bene dal prendere provvedimenti urgenti ed efficaci per proteggere la popolazione bonificando i mercati alimentari.


I prodotti alimentari della Zona Rossa A vengono venduti dappertutto senza riserve di alcun tipo.





 LE NOSTRE RICHIESTE


Pertanto continuiamo a presentare le richieste già fatte , sperando che anche i sindaci del NOSTRO  TERRITORIO,  contaminato e negletto, si responsabilizzino verso i propri concittadini.

1)       Modifica del superatissimo decreto regionale n. 1590 del 3 ottobre del 2017 che fissa i livelli massimi di PFAS negli acquedotti a 390 ng litro.                                                                                                                        Chiediamo che siano portati i massimi livelli di PFAS consentiti, il più possibile vicini allo zero, per tutti i cittadini del Veneto. 

2)       Misure immediate di abbattimento dei PFAS presenti negli acquedotti con l’apposizione di filtri.

3)       Progettazione e realizzazione di nuovi acquedotti con prese da falde non contaminate.

4)       Filiera, allegata ai prodotti alimentari e alle bevande immessi sul mercato, con marchio di certificazione PFAS FREE e nome e indirizzo del produttore e del distributore.

5)       Indicazione dettagliata di eventuali residui di sostanze tossiche presenti negli alimenti e nelle bevande.


 



Zaia, dovrebbe occuparsi anche dell’acqua oltre che del vino (da lui denominato DOC). 








Le richieste dei cittadini sono urgenti anche se non viviamo, per fortuna, nel territorio baciato dall’ UNESCO.

Giovanni Fazio


mercoledì 10 luglio 2019

UNA CITAZIONE FUORI CONTESTO






POLEMICHE INCROCIATE

«I Pfas, secondo quanto verificato dall’Arpav, arrivano nelle falde a causa del percolamento delle acque superficiali e dal sito inquinato in cui c’è Miteni», afferma Boscagin. Finiscono anche nei depuratori del Vicentino, i cui reflui vanno nel «tubo» che li porta fino a Cologna Veneta, dove li scarica nel Fratta-Gorzone. Proprio per quanto riguarda il collettore, la Regione aveva recentemente concesso un’autorizzazione allo scarico che prevedeva un percorso di riduzione degli inquinanti da concludere nel 2020. La settimana scorsa, però, il ministero ha imposto che da subito il limite massimo degli inquinanti sia quello vigente per le acque potabili. «È una follia», commenta Antonio Mondardo, presidente del consorzio Arica, che gestisce il sistema depuratori-collettore. Secondo Mondardo, leghista di Cologna e poi trasferitosi nel Vicentino, l’attuazione di questi limiti «non è attuabile se non chiudendo decine, se non centinaia, di aziende».

Questo è il testo pubblicato, dall’Arena a firma Luca Fiorin, da noi citato nel precedente post "Pericolo di chiusura di decine o centinaia di concerie a detta di Mondardo". In esso si riporta la richiesta del Ministero dell’Ambiente di adottare da subito il limite massimo relativamente agli scarichi del dotto A.Ri.C.A. 

Ci siamo accorti, ad una più attenta lettura, che il testo pubblicato, riemerso dal mare magnum di internet, era datato 28 luglio 2016. Una svista da parte nostra che pone le dichiarazioni del presidente pro tempore del consorzio A.Ri.C.A. fuori contesto e che si prestano pertanto ad altre interpretazioni. Giuste dunque le sue lagnanze nei nostri confronti. Ce ne scusiamo con il signor Mondardo, come da lui richiesto, e ritiriamo il post nel quale lo stesso era stato menzionato.   

Detto ciò, abbiamo cercato, senza esito, nel sito del consorzio A.Ri.C.A. i report semestrali previsti dal cronoprogramma.

Riteniamo che il consorzio abbia puntualmente adottato tutti i provvedimenti previsti dal cronoprogramma e attendiamo la conferma di ciò dalla pubblicazione dei suddetti report semestrali per scusarci, ancora una volta, di avere dubitato della puntualissima adesione del consorzio ai dettati del decreto regionale e del Tribunale delle acque.

 Abbiamo anche cercato, a Canove e nell’area del depuratore di Arzignano, i filtri che avrebbero dovuto essere installati sui pozzi di approvvigionamento idrico autonomo aziendali entro la scadenza del settembre 2017 come recita testualmente l’articolo 3 del cronoprogramma che riportiamo. 
  
“(3) Installazione sui pozzi di approvvigionamento idrico autonomo aziendali di sistemi di abbattimento con filtri a carboni attivi, in modo tale da consentire un bilancio ambientale positivo caratterizzato dalla depurazione dell’acqua di falda e dall’impedire al contempo il potenziale trasferimento dell’impatto al collettore Arica e conseguentemente ai corsi d’acqua superficiali (scadenza settembre2017).”

Probabilmente abbiamo cercato male e i grandi filtri sono sfuggiti alla nostra attenzione. Tuttavia non abbiamo dubbi che essi esistano e che l’acqua che arriva alle aziende del distretto sia limpida ed esente da PFAS. Anche di questo sospetto chiediamo scusa al sig. Mondardo, augurandoci maggiore fortuna quando andremo a cercare i filtri una seconda volta. 

Giovanni Fazio