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sabato 20 aprile 2019

ATTENZIONE! TROVATI I NUOVI PFAS, NON SOLO NEL PO, MA ANCHE NEGLI AUGURI DI BUONA PASQUA.





Ci assicurano dalla Regione “Nessun rischio, i Pfas riscontrati dentro gli auguri di Buoma Pasqua  sono tutti entro i limiti fissati da Zaia).  

Fino ad ora i cittadini sono stati imboniti con la questione dei cosiddetti "LIMITI ACCETTABILI" di sostanze tossiche negli alimenti e nell’acqua, come se fosse veramente accettabile che nei cibi fossero presenti delle sostanze tossiche. 
 
Gentilin dopo sei ani in cui ha pervicacemente sostenuto gli effetti benefici dell'acqua di Arzignano, in occasione delle elezioni ha cambiato idea ed è passato a ZERO PFAS.
Per avere inventato dei limiti che parlano in dialetto veneto Zaia si autoincensa, avendo fissato il cosiddetto livello di performance dell’acqua potabile a 390 ng/litro.

Parlando con le persone di buon senso, riteniamo che il limite massimo di 390 nanogrammi di PFAS/litro presenti nell’acqua che beviamo non ci garantisce da nessuna delle patologie correlate all’ingestione di queste sostanze; lo capirebbe anche un bambino, anche se i nostri governanti ancora non ci sono arrivati.

Lo ripetiamo da quando tali limiti moderni e rassicuranti sono stati fissati dal presidente che li ha definiti “I più bassi del mondo”, cosa assolutamente non vera.

I gestori si auto premiano BOLLINO BLU
E’ di facile comprensione, anche per i non addetti agli acquedotti e ai depuratori, che tali cosiddetti limiti non servono a garantire la salute dei cittadini ma sono di grande aiuto ai gestori degli acquedotti e agli inquinatori che sono, grazie ad essi, autorizzati a fare un po’ di cacca davanti alla porta di casa nostra, purché entro i limiti fissati dalla Regione Veneto, quindi “cacca legalizzata”, e, detto tra di noi, sarebbe preferibile un po’ di cacca davanti alla porta di casa che i PFAS nell’acqua che beviamo e facciamo bere ai nostri bambini.   
Mi scuso per l’esempio scatologico che ci deve far riflettere non solo su cosa beviamo e mangiamo ma anche su cosa rilasciamo nei fiumi, nei terreni e nei mari.

  L’umanità, nella grande spensieratezza dei più, si sta avviando verso l’estinzione. 



Le sorti del pianeta sono segnate. È sempre più difficile trovare sorgenti d’acqua incontaminate e alimenti che non contengano sostanze tossiche o OGM. 
I mari sono saturi di veleni, metalli pesanti, mercurio PFAS e microplastiche e delle stesse sostanze sono saturi i pesci che vengono quotidianamente serviti a tavola.

  La morte del capodoglio spiaggiato con 36 chili di plastiche nello stomaco è la metafora di una specie, la nostra, che sta marciando sempre più velocemente verso la propria fine.



 Se le plastiche, il mercurio, i PFAS, tutte le sostanze velenose prodotte dalla nostra civiltà incivile, riempiono il mare e contaminano massicciamente e inesorabilmente tutti gli esseri viventi che vi abitano è evidente che il problema non si risolve fissando dei limiti agli sversamenti ma eliminando totalmente ogni sversamento.

  Dobbiamo renderci conto che il primo problema è proprio questo. Come eliminare i reflui industriali. 

  Poiché nessuna bonifica è possibile se prima non si smette di inquinare, questo è il primo problema che poniamo all’ordine del giorno ad Acque del Chiampo e al consorzio A.Ri.C.A. sapendo che non si tratta più di consacrare sull’altare della politica farlocca la teoria dei limiti (in entrata e in uscita). I limiti non salvano i mari né i fiumi né i campi che vengono irrorati con i veleni (entro i limiti) né noi che beviamo l’acqua (nei limiti) e mangiamo uova, carne, radicchi ecc. intossicati (nei limiti).


  In altre parti d’Italia e del mondo si stanno costruendo depuratori per acque industriali a ciclo chiuso.

È bene che anche da noi si cominci a provvedere a un modo totalmente diverso di produrre pellami incassando i profitti e delegando alla comunità reflui tossici e spese enormi per cercare di neutralizzarli. Il budget della produzione non deve essere truccato, addossando le spese al pubblico. Produrre onestamente significa farsi carico fino in fondo dello stato in cui versano i fiumi, il territorio e il mare.

Siamo stanchi della corsa all’infinito contro PFOS, PFOA ecc., che dura anni, con ricorsi al Parlamento Europeo, ai tribunali (che non ci ascoltano) e ai politici (che ci ascoltano ancora meno) quando alla fine l’industria dei veleni ci sforna in un solo colpo altre dieci o cento nuove molecole che sostituiscono quelle che siamo riusciti (forse) a eliminare con tanta fatica e tanti sforzi.

ZERO PFAS E ZERO WASTE OVVERO RIFIUTI ZERO

  Per questi motivi contesteremo fino in fondo la filosofia connessa al cosiddetto pensiero unico neo liberista che si esprime con concetti come “Limiti accettabili” o “Dose giornaliera accettabile” di tossici e cancerogeni che servono esclusivamente a chi li usa e li produce.

  Da ora in poi non accetteremo più nessuna molecola inquinante (PRESENTE ALL’INTERNO DI ALCUN LIMITE), non solo nell’acqua e nei cibi ma anche e soprattutto negli scarichi dei nostri depuratori (che non depurano).

BUONA PASQUA SENZA PFAS.

Giovanni Fazio

    

mercoledì 3 aprile 2019

LA COSTITUZIONE SECONDO MATTARELLA













“Occorre considerare la natura privata degli enti interessati la cui attività costituisce esercizio della libertà di iniziativa economica riconosciuta e garantita dall’articolo 41 della Costituzione”. Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella lettera ai presidenti delle Camere sulla legge “Istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario”. Detto in parole più brutali: fate pure tutte le inchieste che volete, ma non vi azzardate poi a prendere qualunque decisione che riguardi le banche o altri enti finanziari: quelle spettano esclusivamente alla Banca d’Italia e alle altre authority indipendenti, e “occorre evitare il rischio che il ruolo della Commissione finisca con il sovrapporsi – quasi che si trattasse di un organismo ad esse sopra ordinato – all’esercizio dei compiti propri” di queste authority.
Apprendiamo così che il Parlamento, ossia l’organo dello Stato che dovrebbe esercitare la “sovranità” che “spetta al popolo”, come stabilisce il primo articolo della Costituzione, non è “sopra ordinato” agli organismi tecnici istituiti (con leggi del Parlamento stesso) per controllare e regolare i vari attori del mercato (della Banca d’Italia, caso particolare, diremo più avanti). Qui c’è materia per i costituzionalisti: è corretta questa interpretazione del presidente della Repubblica?
Singolare anche il richiamo all’articolo 41: sembra che Mattarella voglia fermarsi alla prima riga. Perché l’articolo così recita:
L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

E chi, se non il Parlamento, dovrebbe valutare se venga rispettato il secondo comma? Per, eventualmente, procedere ad attuare quanto espressamente previsto dal terzo comma?
E c’è anche da ricordare quello che si dice nel successivo articolo 43:
A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
Se – per assurdo – il Parlamento decidesse di nazionalizzare il sistema bancario, che indubbiamente svolge un compito “di preminente interesse generale”, non andrebbe oltre quanto previsto dalla Costituzione.
Ma anche su questo Mattarella non sembra pensarla allo stesso modo, a giudicare da quest’altro passaggio della sua lettera: “L’eventualità che soggetti, partecipi dell’alta funzione parlamentare ma pur sempre portatori di interessi politici, possano, anche involontariamente, condizionare, direttamente o indirettamente, le banche nell’esercizio del credito, nell’erogazione di finanziamenti o di mutui e le società per quanto riguarda le scelte di investimento si colloca decisamente al di fuori dei criteri che ispirano le norme della Costituzione”.
Da questa frase si evince che secondo il Mattarella-pensiero l’essere “portatori di interessi politici” sia un difetto, anche se inevitabile. Ma il fatto è che chi siede in Parlamento è lì proprio perché è “portatore di interessi politici”. Il presidente intende certamente marcare una differenza tra interessi di parte e interessi generali, che sono quelli che ogni parlamentare dovrebbe perseguire indipendentemente dalla sua appartenenza politica, e su questo si deve ovviamente concordare. Ma lo esprime in modo piuttosto infelice, e di certo la condizione di “portatore di interessi politici” non può essere limitativa rispetto alle prerogative che la Costituzione attribuisce al Parlamento.
Che Mattarella non si fidi affatto di questa maggioranza parlamentare è evidente non da ora, e non mancano i motivi per dargli ragione su questo atteggiamento. Questo però non significa che si possano brandire interpretazioni discutibili della Costituzione per limitare preventivamente ciò che il Parlamento può o non può fare.
Fra tutte le authority citate dal presidente, la Banca d’Italia ha certamente una sua specificità. Non è più un organismo soltanto italiano, perché fa parte del Sistema europeo delle banche centrali al cui vertice c’è la Bce, a cui i trattati attribuiscono una completa indipendenza dal potere politico, come nella lettera non si manca di sottolineare: “Ricordo, tra l’altro, che né le banche centrali né, tantomeno, la Banca centrale europea possono sollecitare o accettare istruzioni dai governi o da qualsiasi altro organismo degli Stati membri”. Detto che quanto è scritto nei trattati europei non è indiscutibile al pari delle tavole della legge date a Mosè sul monte Sinai, e che quella norma è figlia di una determinata teoria economica sulla sensatezza della quale non tutti concordano, nei fatti c’è però poco da dire: finché le norme sono quelle bisogna rispettarle. Se Mattarella si fosse limitato a ricordare questo principio non si sarebbe potuto obiettare nulla. Ma il presidente si è spinto molto oltre. Qualcuno potrebbe pensare troppo oltre.
Carlo Clericetti


domenica 31 marzo 2019

INTERVISTA A FABRIZIO BARCA


"Negli anni Sessanta, davanti a un povero ci si chiedeva “quale contesto lo ha ridotto così?”. Oggi la prima reazione è “che cosa ha combinato per ridursi così”. È un cambiamento di senso comune frutto di 30 anni di cultura neoliberista. Uno dei nostri obiettivi è cambiare il senso comune."




“Lavoro e giovani: ai partiti servono proposte radicali”
Fabrizio Barca - L’ex ministro della Coesione ha lavorato alle proposte del Forum diseguaglianze per un programma drastico, ma realizzabile

“È il momento di proposte radicali, che affrontano la radice delle disuguaglianze e redistribuiscono potere. Non basta redistribuire le risorse a valle”. Fabrizio Barca, economista, ex ministro della Coesione territoriale, ora membro della Fondazione Basso, è uno dei promotori del Forum Disuguaglianze Diversità che nei giorni scorsi, dopo oltre un anno di lavoro, ha presentato “15 proposte per la giustizia sociale”. Non il solito rapporto di esperti, ma l’esito di un lungo percorso che ha coinvolto organizzazioni come Caritas e Cittadinanzattiva, Legambiente, Uisp. Dietro queste idee così drastiche, insomma, c’è un pezzo consistente di società civile. Per questo Pd e Movimento 5 Stelle (ma anche Lega e Fratelli d’Italia) stanno seguendo con interesse il dibattito che hanno innescato. In particolare è sensibile il nuovo segretario del Pd, Nicola Zingaretti, che da anni stima Barca.

Fabrizio Barca, perché la disuguaglianze è dannosa?
Perché è ingiusta. Quando raggiunge le forme e i livelli che ha oggi, disgrega la società perché autorizza qualunque comportamento individuale: posso fare qualsiasi cosa perché altri hanno fatto peggio di me.

Di solito si dice: prima aumentiamo la torta poi pensiamo alle dimensioni delle fette. Voi proponete invece di cambiare il processo in cui si accumula ricchezza. 

E in quel processo bisogna dare potere a chi non ce l’ha: se le donne sono solo il 15 per cento dei team che scrivono gli algoritmi, a me non sta bene, non basta un codice etico. La responsabilità sociale dell’impresa è irrilevante se i cittadini del territorio non hanno voce. Se all’Ilva ci fosse stato dall’inizio un consiglio del lavoro dove siedono lavoratori e cittadini, avremmo avuto gli stessi problemi oggi a Taranto?

Cos’è il “modello Ginevra” che auspicate? 

L’espressione viene da un paper di Francesco Giffoni e Massimo Florio: in Europa abbiamo mille infrastrutture di ricerca pubblica, che gestiscono miliardi, con grande autonomia. Il loro successo dimostra che le imprese pubbliche possono produrre risultati straordinari senza avere il profitto come obiettivo. Ma producono open science, cui tutti possono attingere, ma soltanto grandi imprese che hanno fatto enormi investimenti possono sfruttarlo. Dobbiamo redistribuire quel potere che consente a Mark Zuckerberg di non presentarsi in Parlamento quando uno Stato indaga su Facebook. Costruiamo degli hub di ricerca pubblico-privati, con regia pubblica, che facciano anche la parte a valle della ricerca, fino alla commercializzazione.

Serve una Facebook pubblica?

Invece di stroncare i privati con la regolazione, lo Stato può competere con loro. Lo aveva capito Enrico Mattei che con l’Eni sfidò le sette sorelle del petrolio. Oggi ci sono le sette sorelle del digitale.

Lo Stato deve riprendere anche il controllo dei dati dei cittadini?

Abbiamo bisogno che nei luoghi in cui si concentra l’utilizzo degli algoritmi, le città, vengano costruite piattaforme collettive non private dove i cittadini riversano i dati avendo voce in capitolo su come vengono usati. Se i dati sulla nostra mobilità vengono regalati alla singola impresa che vince la gara, questa sceglierà percorsi che massimizzano il profitto a comportamenti invariati e con quei dati diverrà monopolista: se c’è poco traffico dalle periferie, l’algoritmo reagirà riducendo le corse dei mezzi pubblici verso la periferia. E i problemi peggioreranno. Se prendo gli stessi dati e li metto a disposizione di tutti, piccole imprese creative possono elaborare idee tra loro in concorrenza che tengono conto delle proposte dei cittadini e secondo una strategia collettiva e monitorabile. Non è un’utopia, sta già accadendo a Barcellona. Anche Milano e Bologna vanno in quella direzione.

Un partito può permettersi di proporre nuove tasse come quella che auspicate 
sulle successioni?

Oggi pagano la tassa di successione circa 108.000 persone l’anno. Con lo schema che proponiamo noi, nella ipotesi più alta la pagano soltanto 30.000. Si toglierebbe qualunque tassa al ceto medio. La franchigia altissima e la rapida ascesa delle aliquote garantiscono quattro volte più gettito pesando soltanto sul 25 per cento dei contribuenti attuali. Se non si rivalutano i cespiti patrimoniali il gettito raddoppia, invece di quadruplicare.

Politicamente è fattibile? 

Certo, perché quelle risorse verrebbero usate per finanziare l’“eredità universale”, cioè 15.000 euro da assegnare a ogni cittadino che compie 18 anni. Avremmo da una parte 590.000 giovani beneficiari l’anno, 70.000 persone che non pagherebbero più la tassa di successione e circa 10.000 persone che invece dovrebbero pagare più tasse. Dal punto di vista politico dovrebbe essere ovvio cosa fare.

Già per il più modesto bonus 18enni si è obiettato che è troppo per qualcuno, troppo poco per altri. E voi volete dare 15.000 euro a ogni 18enne? 

15.000 euro sono tanti, possono fare la differenza. Devono andare a tutti perché anche molti ragazzi benestanti si trovano condizionati da una famiglia che prende decisioni per loro. La necessità della libertà c’è per chiunque. È evidente che ci sarà qualcuno che la userà male. Ma le esperienze che ci sono nel mondo suggeriscono che sono pochissimi quelli che sprecano davvero l’“eredità universale”. Lasciare piena libertà di utilizzo dei soldi non significa però abbandonare i ragazzi a loro stessi.

Anche il reddito di cittadinanza è partito universale e incondizionato e alla fine i beneficiari devono rispettare tanti paletti. 

C’è una differenza radicale: l’eredità universale è una volta sola nella vita e per tutti, quindi molto più semplice da gestire e responsabilizzante per chi la riceve. L’Alleanza contro la povertà ha imposto il principio che al povero devi dare risorse anche per rimetterlo in condizione di proporsi, di fare progetti. Aver portato l’aiuto a un livello dignitoso è fondamentale. I Cinque Stelle ci hanno messo i soldi, ma sono caduti nella trappola del divano: si sono fatti prendere dall’ansia dei paletti e dall’idea che il reddito di cittadinanza dovrebbe creare lavoro, cosa che può fare solo in modo indiretto.

Si è diffusa però una diffidenza per trasferimenti universali e senza condizioni, anche se a favore dei più deboli. 



di Stefano Feltri | 30 Marzo 2019