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domenica 7 maggio 2017

CHIEDONO DI INQUINARE L’ARIA dopo avere inquinato l’acqua e la terra.

Montorso firma contro l'iceneritore
Alberto Serafin, amministratore unico di Acque del Chiampo, continua il suo giro nei Consigli comunali della vallata come un commesso viaggiatore che intende piazzare conto terzi un inceneritore, probabilmente da situare accanto al depuratore di Arzignano.

Invitato dal Consiglio comunale di Montecchio Maggiore, come riferisce Luisa Nicoli in un articolo sul Giornale di Vicenza di oggi, Serafin esordisce con un clamoroso falso:

Firme a Chiampo
La direttiva europea indica il trattamento termico come soluzione per lo smaltimento dei reflui

In realtà le cose stanno esattamente all’opposto.

La Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l'Italia per gli incentivi dati dal governo italiano per produrre energia bruciando rifiuti inorganici considerandoli "fonte rinnovabile".

Infatti, secondo la normativa europea, solo la parte organica dei rifiuti potrebbe essere considerata rinnovabile; la restante parte può essere considerata esclusivamente una forma di smaltimento del rifiuto, escludendo esplicitamente la valenza di "recupero".


Ora tutti sanno che solo una parte dei fanghi conciari (solo se separata

Firme in piazza Libertà Arzignano

prima della concia) potrebbe essere considerata bio degradabile ma non certo i fanghi, dove decine e centinaia di prodotti chimici nuotano in una massa maleodorante, di veleni e sostanze tossiche.

La relazione di Serafin inoltre differisce notevolmente da quella tenuta qualche mese fa al Consiglio Comunale di Arzignano.

 Allora disse che l’inceneritore avrebbe dovuto bruciare 120 000 tonnellate
10 milioni di euro  fanno il girotondo


di rifiuti all’anno (perché, a suo dire, un inceneritore più piccolo sarebbe stato antieconomico), a Montecchio invece parla di un inceneritore di 26.000 tonnellate anno, corrispondente alla somma dei fanghi prodotti dai depuratori di Arzignano e Montebello.

Inoltre a Montecchio Maggiore, a differenza di quanto affermato ad Arzignano, sembrerebbe aver riproposto il vecchio progetto SICIT, (quello derivato dall’inceneritore di Bergen che, a suo tempo, era stato severamente bocciato dall’ARPAV).


Firme a Villaggio Giardino


 Infatti, non si sa come, Serafin sa già che

 “Il prototipo costerà 15 milioni di euro, 10 milioni dall'accordo di programma, altri 5 da Acque del Chiampo. «Ma non si tratterà di un esperimento. Il prototipo dovrà lavorare un terzo delle 26 mila tonnellate di fanghi, in pratica rappresenta una parte della linea che avrà tre unità produttive."

Come fa Serafin a conoscere costi, dettagli e tempi di realizzazione dell’opera se, come afferma

 «Non siamo alla fase realizzativa dell'impianto ma solo all'avviso esplorativo per individuare un partner industriale per la progettazione, la realizzazione e la gestione del trattamento termico.”?

E aggiunge:

 “Abbiamo individuato il project financing per velocizzare i tempi. Con le normali procedure di gara ci vorrebbero 9 anni per arrivare all'impianto, ma la Concia non ha questo tempo a disposizione.”

Ma se poco prima ha affermato che i 15 milioni (pubblici) derivati dall’accordo di programma ci sono già quale sarebbe il compito del partner? Il project Financing infatti, fino a prova contraria, prevede che il costo dell’opera è a carico del privato.

Insomma, ci sembra una relazione estremamente confusa dalla quale emerge una sola spiegazione:

a qualcuno, e non da ora, fanno gola gli incentivi d’oro pagati dallo stato. Infatti in Italia, i costi dello smaltimento dei rifiuti tramite incenerimento sono indirettamente sostenuti dallo Stato sotto la forma di incentivi alla produzione di energia elettrica.

Questa modalità di produzione (sebbene in violazione delle normative europee in materia) è infatti considerata dallo Stato, come da fonte rinnovabile (assimilata) alla stregua di idroelettrico, solare, eolico e geotermico.

Le modalità di finanziamento sono due, correlate ma diverse:
1.      pagamento maggiorato dell'elettricità prodotta per 8 anni (incentivi cosiddetti CIP 6);
2.      riconoscimento di "certificati verdi" che il gestore dell'impianto può rivendere (per 12 anni).


Si tratta di somme ingentissime, erogate in barba alle normative europee il cui costo ricade per intero sulla bolletta elettrica.
Una vera e propria truffa ai danni dei cittadini che pagano, e una presa in giro per quanto riguarda la lotta all’inquinamento prevista dai veri certificati verdi.

Alcuni “produttori di fanghi”, di fronte all’opportunità di speculare a spese del contribuente anche sui rifiuti da essi stessi prodotti, non esitano a chiedere con insistenza la costruzione di un inceneritore.



Così facendo, senza ancora aver risolto il problema dell’inquinamento delle falde provocato dallo scarico delle acque di cinque depuratori della zona nel collettore ARICA che irrora broccoletti e radicchi da Cologna Veneta in giù, chiedono tramite Serafin, di inquinare anche l’aria.

Ci sembra che in questo momento in cui tante famiglie sono in angoscia per i livelli di PFAS trovati nel sangue dei ragazzi, chiedere di inquinare anche l’aria sia una provocazione inaccettabile e tale da destare lo sdegno di tutta la popolazione.
La risposta non tarderà a manifestarsi.

Giovanni Fazio




giovedì 4 maggio 2017

COMMISSIONE PARLAMENTARE ECOMAFIE: Pfas continuano ad inquinare le acque.


 I Pfas continuano ad inquinare le acque del Veneto e per questo bisogna contenere questa emergenza ambientale.
Sono le premesse della relazione approvata all’unanimità dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali, in merito al ciclo dei prodotti dai Pfas.

 La novità principale della relazione adottata dalla Commissione sta nel considerare tali sostanze come “appartenenti alla classe dei composti organici alogenati con la conseguenza che rientrano nell’elenco delle sostanze pericolose”, come previsto dal DL 3 aprile 2006 numero 152.
In base a questa considerazione, la Regione Veneto può intervenire per richiedere di mettere a norma gli scarichi dove risiedono le sostanze considerate come inquinanti e pericolose.

Al contrario di quanto avrebbe dichiarato in un’audizione l’assessore regionale all’Ambiente, Gianpaolo Bottacin, sentito il 10 maggio del 2016.
 Un secondo snodo fondamentale, ricostruito dall’attività di indagine della Commissione, è “la certificazione che quasi il 97% dell’apporto totale di Pfas scaricati nel bacino idrico Fratta-Gorzone, nel vicentino, sia riconducibile alla Miteni”, società chimica di Trissino, al centro dell’attenzione giudiziaria sul caso Pfas.

Ne consegue, secondo il documento approvato dalla Commissione, “che l’inquinamento è ancora in atto e che le misure poste in essere per il suo contenimento non siano state completamente efficaci”.

 Nelle stesse ore è stato dato il via libera dal Consiglio regionale


all’istituzione di una commissione d’inchiesta sullo stato dell’inquinamento della falda.

 “Mentre a Roma verrà chiesto di inserire la relazione nei due rami del Parlamento per una discussione”, ha assicurato il presidente della Commissione Ecomafie, Alessandro Bratti.





 Nelle ultime settimane c’è stato un rimpallo di responsabilità, denunciato dalle opposizioni e organi di stampa, tra il presidente della Regione, Luca Zaia, che sarebbe stato tenuto all’oscuro di una relazione dell’Arpav dai suoi assessori, che a loro volta avrebbero rinviato la palla ai dirigenti del settore sanitario veneto: in particolare al direttore dell’area sanità e sociale, Domenico Mantoan.



Il deputato del M5S, Alberto Zolezzi, ha presentato delle interpellanze parlamentari per chiedere lumi sulla presunta plasmaferesi (una sorta di pulizia del sangue), fatta da Mantoan in un ciclo di cinque sedute dal costo di 3.000 euro.


 “Se ciò fosse vero – spiega Zolezzi – perché non dirlo ed estendere questa procedura ai numerosi cittadini del Veneto contaminati?”
 Un’altra criticità emersa dalla relazione riguarda i 13 lavoratori della Miteni, di cui non si conoscono ancora le esatte condizioni cliniche.


[tratto da Observatory Foundation for the Culture of Security, 8 febbraio 2017]



martedì 2 maggio 2017

Pfas, nei quattordicenni esaminati valori 32 volte superiori del normale

VENEZIA

I primi risultati dello screening analizzati in un convegno


Riportiamo una parte di un articolo recente del Corriere del Veneto

“VENEZIA I risultati relativi ai primi cinquanta campioni dei prelievi di sangue effettuati tra i quattordicenni della cosiddetta «zona rossa» interessata in Veneto dagli sversamenti della Miteni nelle acque, mostrano una mediana quasi uguale a quella riscontrata all’interno del campione monitorato nel 2016 dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss): 64 nanogrammi di sostanze Pfas (perfluoroalchiliche) nel sangue contro 70 (mentre la media nazionale dei non esposti è attorno ai due tre nanogrammi).

Allo screening ha aderito l’80% dei nati nel 2002 residenti in 21 Comuni.
Il dato è stato presentato questa mattina nel corso del primo giorno del workshop dedicato ai Pfas all’ospedale civile di Venezia, in programma fino a domani.

 «Non voglio tirare delle conclusioni che non mi spettano ha commentato i primi risultati del monitoraggio avviato dalla Regione Veneto il direttore generale della sanità della Regione Veneto, Domenico Mantoan ma personalmente quelli sui quattordicenni sono dati che mi sorprendono perché possono voler dire astrattamente due cose: o i livelli erano attestati, prima dell’introduzione dei filtri, attorno a quota 200 o non è vero che bastano tre o quattro anni per eliminare una sostanza che, evidentemente, può avere un’emivita più lunga».



















Che non sia vero che bastano tre o quattro anni per dimezzare i valori ematici dei PFAS lo si sa da tanto tempo, quindi non ci sorprendiamo. Ma si sa anche un’altra cosa che Mantoan non dice e cioè che il BIOACCUMULO dei PFAS avviene non solo bevendo l’acqua inquinata ma anche mangiando alimenti contaminati e molti di questi sono stati trovati tra polli, uova, tacchini e pesci nella ZONA ROSSA.

Sarebbe buona norma che la Regione effettuasse una indagine in merito
per rassicurare i cittadini e, soprattutto le mamme, sulla assoluta edibilità dei prodotti agro alimentari provenienti dalle zone dove le falde sono più inquinate e dove alcuni agricoltori e allevatori usano l’acqua di pozzi, a volte non ancora controllati.

E’ sempre più urgente una certificazione sugli alimenti da parte delle ULSS, soprattutto per proteggere i bambini più piccoli e i ragazzi.

Sarebbe anche buona norma che il ministero dell’ambiente rivedesse, riguardo ai PFAS, i limiti sugli scarichi industriali in modo da proteggere il territorio e la salute dei cittadini, prima ancora che le esigenze produttive della Miteni e company.

In fondo tutti sappiamo dove vanno a finire questi scarichi industriali. Chi governa la Regione dovrebbe preoccuparsi con maggiore attenzione del comparto agroalimentare del Veneto.

Si tratta di un settore della nostra economia molto importante che deve essere difeso e garantito e non annaffiato con i PFAS.


Giovanni Fazio

lunedì 1 maggio 2017

INCONTRO AL BOCCIODROMO DI VICENZA SULL'INQUNAMENTO DA PFAS

MARCIA DEI PFIORI, ACQUA E BENI COMUNI 2017



30 APRILE 2017 Al Bocciodromo Vicenza si è svolto un incontro siul tema del disastro ambientale veneto provocato dall’inquinamento delle acque da parte della Miteni.









E’ stata promossa la manifestazione che si terrà il 14 maggio e rinnovato a tutti l’invito a partecipare.

Mamme, genitori, cittadini attivi, gruppi, comitati, associazioni, movimenti riuniti in assemblea a Montecchio Maggiore il 23 marzo 2017 organizzano per DOMENICA 14 MAGGIO una grande mobilitazione regionale a difesa dell’acqua e dei beni comuni.




Cosa chiediamo?









1.   che sia garantito un approvvigionamento dell’acqua potabile e irrigua da fonti sicure;                                                                                   
   (da subito, per prima cosa, acqua non inquinata agli asili nido, alle mense scolastiche, alle donne in gravidanza).

2.   che il limite dei PFAS siano portati ZERO;                                         
    (attualmente il limite di tolleranza nell’acqua potabile è stato fissato a 2030 nanogrammi litro)

3.    che sia dato libero accesso gratuito alle analisi del sangue a tutti i cittadini nell’area contaminata;

4.    che sia messo in atto il sequestro e la bonifica della MITENI, accompagnate da un serio piano di tutela per i suoi lavoratori;



5.    che la MITENI sia costretta a pagare gli ingenti costi passati, presenti e futuri dei filtri a carboni attivi, la bonifica dell’area contaminata e le spese sanitarie di ogni ordine e grado.

(Ma anche dei danni derivanti a tutto il comparto agroalimentare dall’inquinamento da PFAS delle falde acquifere del Veneto.)






















lunedì 24 aprile 2017

La Resistenza non vive solo nel ricordo del sacrificio dei suoi figli.

Arzignano aprile 1945 partigiani piazza Libertà

La Resistenza fu una lotta dura e dolorosa imposta al nostro popolo dalla necessità di non soggiacere alla dittatura di un governo fantoccio, totalmente sottomesso agli ordini dei nazisti tedeschi e costituito da uomini, allo stesso tempo, feroci e vigliacchi.

Arzignano 1945Il comandante Tigre, ferito 
Fu una guerra civile, amara e difficilissima perché bisognava combattere un nemico che teneva in ostaggio la popolazione civile e non esitava a compiere efferate stragi su gente inerme come rappresaglia nei confronti delle azioni partigiane.

E ancora si combattono in tutto il mondo, ma soprattutto nel Medio Oriente guerre in cui i cittadini sono ostaggio delle fazioni combattenti.
Il compito di chi difende i valori di quella guerra di liberazione, che ci rese liberi e padroni responsabili del nostro destino, è ancora doloroso e difficilissimo perché il nemico, chiunque esso sia, continua a tenere in ostaggio le vittime della guerra.

Le azioni dei criminali ricadono sugli innocenti che diventano, nell’immaginario collettivo, responsabili del terrore.

Ci chiediamo come possa un gruppo di scalzacani che in una terra semidesertica, senza industrie, senza agricoltura, con scarsità di acqua e senza risorse economiche di nessun genere, (eccetto il petrolio venduto di contrabbando ai familiari di Erdogan e transitato dalla Turchia verso acquirenti dal colletto bianco in un’Europa che finge di non vedere), sostenere una guerra di anni contro tutto il mondo.


Chi fornisce armi, denaro, uomini, alimenti e sostegno al cosiddetto stato islamico dell’Isis?
Chi consente a questi criminali sanguinari di rispondere efficacemente ai finti attacchi militari dell’Occidente?

La guerra in Medio Oriente si può fermare in un solo giorno. E’ sufficiente chiudere i rubinetti finanziari che la alimentano. Non è necessario sparare nemmeno un colpo di cannone. In una settimana i feroci Jadisti si arrenderebbero per fame.

Ma il cuore della finanza che alimenta la guerra si trova a New York, nei computer di Wall street, nelle finanziarie, nelle fabbriche di armi, nelle compagnie di rating, dentro la rete di comando delle Big Oil, all’interno della Casa Bianca e del Pentagono. E’ l’oro dei sauditi che ha sposato l’America e che l’America non è in grado di colpire senza ferire il proprio cuore finanziario.











E il mondo intero subisce la violenza di attentati, a volte diretti dallo stato islamico, a volte compiuti da deboli di mente, che alimentano il terrore e spingono milioni di persone verso risposte autoritarie nel grand guignol ipocrita della stampa internazionale.

Erdogan, commentando i dati del referendum truffa con cui ha trasformato una nazione civile e democratica in una satrapia orientale retta da un sultano circondato da una camarilla di corrotti fino al midollo, ha dichiarato “Abbiamo battuto i crociati” cioè, ha definito i turchi che hanno votato “no” (quasi il 50% o forse molto di più, visto che nelle urne sono state rinvenute più di due milioni di schede elettorali non timbrate), con la stessa parola con cui Daesh definisce i propri nemici.
Che strane affinità linguistiche!

Donata, nel suo bellissimo post, recentemente pubblicato sul suo blog GENERAZIONE SPERANZA ha centrato ancora una volta il bersaglio giusto.

Uno Stato, volutamente dimentico dei valori della propria lotta e delle fondamenta della dignità di una nazione, non trasmette ai propri figli la cultura della libertà.

La scuola ha messo in sordina la Resistenza, I ragazzi non ne sanno niente.

Arzignano Via Trento 1945 


E’ necessario ritornare ad aprire questa pagina della nostra storia per dare una chiave di interpretazione corretta alle difficoltà in cui si dibattono i giovani di oggi, senza lavoro e senza stipendio.

Sosteniamo quanti sanno e gridano nelle strade e nelle piazze che LA GUERRA SI SCONFIGGE CON LA PACE.

Denunciamo i veri autori del massacro quotidiano, quelli che tirano i fili delle marionette del Daesh. Sono gli stessi criminali in colletto bianco, che stanno distruggendo la nostra economia, che ci impongono acqua avvelenata, cibi corrotti, disoccupazione e miseria.
E’ la loro cultura, fondata sul profitto come unico motore del mondo, contro quella nata dalla Resistenza, sancita da una Costituzione criticata e irrisa dalle compagnie di rating americane, attaccata e umiliata da chi seve i burocrati di Bruxelles e i trivellatori del nostro mare anziché la propria gente.

Resistenza vuol dire credere nei  valori di  un mondo in cui la solidarietà vince sul profitto di pochi, in cui la pace vince sul commercio delle armi, il lavoro è difeso contro la delocalizzazione delle fabbriche, l’acqua è un bene comune e chi la avvelena va in galera.

Resistenza vuol dire ancora difendere dalla aggressione del mercato il diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro, ad una vecchiaia serena: si chiama Stato Sociale, quello che ogni giorno, grazie a governi compiacenti, viene violato dagli speculatori di un’Europa governata dalle banche private.
 Contro questi avvoltoi e contro i loro scherani locali ha senso ancora la parola Resistenza, che oggi, come allora, significa cittadinanza attiva, militanza contro ogni ipocrisia e contro chi vuole imbalsamare la lotta per la libertà in uno sterile rito di circostanza.

La resistenza vive nella lotta dei fratelli pugliesi in difesa della loro terra e degli ulivi secolari, in quella dei nostri fratelli della Val di Susa che si oppongono alla TAV, nella lotta dei terremotati contro l’indifferenza dello Stato, nella mano tesa ai profughi del mondo, in tutte le lotte contro la devastazione del nostro territorio, dalla Pedemontana alla Valdastico agli inceneritori, dalla Miteni alle speculazioni sugli ospedali e sulla sanità, dai veleni sparsi nei campi dai giganti della chimica, da tutto ciò che produce ricchezza per pochi e sofferenza e malattie per molti. La Resistenza vive nelle parole di Francesco.


La resistenza, dimenticata e offesa da chi si schiera contro il diritto del popolo palestinese di essere riconosciuto e di liberarsi da una occupazione militare che lo umilia e lo tormenta da più di quarant’anni, vive nelle manifestazioni in cui sono accolte con amore e con speranza le sue bandiere.
La Resistenza vive nella nostra vita e nella nostra lotta di ogni giorno.

Giovanni Fazio


Dedicato allo studente liceale PETRONIO PAOLO VERONESE “Giorgio”, di Arzignano; comandante di pattuglia della “Pasubio”, caduto in combattimento, all’età di 18 anni tra le località di Bosco Fochesati e Bosco Bertoldi di Altissimo e Nogarole il 9.9.44;



IN RICORDO DI SEVERINO CHIARELLO

sabato 22 aprile 2017

MARCIA DEI PFIORI, ACQUA E BENI COMUNI 2017


«Secondo Talete, in principio era l’acqua. Ora non più».
 Mamme, genitori, cittadini attivi, gruppi, comitati, associazioni, movimenti riuniti in assemblea a Montecchio Maggiore il 23 marzo 2017 organizzano per DOMENICA 14 MAGGIO una grande mobilitazione regionale a difesa dell’acqua e dei beni comuni.

Cosa chiediamo?

1.   che sia garantito un approvvigionamento dell’acqua potabile e irrigua da fonti sicure;                                                                                      (da subito, per prima cosa, acqua non inquinata agli asili nido, alle mense scolastiche, alle donne in gravidanza).

2.   che il limite dei PFAS siano portati ZERO;                                                   (attualmente il limite di tolleranza nell’acqua potabile è stato fissato a 2030 nanogrammi litro)

3.    che sia dato libero accesso gratuito alle analisi del sangue a tutti i cittadini nell’area contaminata;

4.    che sia messo in atto il sequestro e la bonifica della MITENI, accompagnate da un serio piano di tutela per i suoi lavoratori;

5.    che la MITENI sia costretta a pagare gli ingenti costi passati, presenti e futuri dei filtri a carboni attivi, la bonifica dell’area contaminata e le spese sanitarie di ogni ordine e grado.

(Ma anche dei danni derivanti a tutto il comparto agroalimentare dall’inquinamento da PFAS delle falde acquifere del Veneto.)

MARCIA DEI PFIORI, ACQUA E BENI COMUNI 2017

Ma, nel frattempo, sempre più pressante si fa sentire il bisogno di sicurezza dei cittadini che vogliono sapere se, oltre all’acqua, anche i cibi siano inquinati.

Si fa sentire anche l’inquietudine di agricoltori e allevatori, abbandonati da anni a se stessi, che temono il disastro economico per l’inquinamento dei loro prodotti agro alimentari.

Pressata da ogni parte la Giunta Zaia ha varato un provvedimento del costo di 40.000 euro ( pagati da noi) per analizzare tutti i pozzi della “zona rossa”



Zaia e Pan
La Giunta regionale ha stanziato 40 mila euro ha dichiarato l'assessore Pan perché Arpav effettui mille campionamenti nelle acque sotterranee del Basso Veronese, del Vicentino e della Bassa Padovana, al fine di accertare le concentrazioni dei Pfas 'a catena corta' e 'lunga', così come già effettuato nella rete idrica degli acquedotti ad uso civico.
Potremo così completare la mappatura di tutte le fonti idriche potenzialmente nocive per la salute dell'uomo e la salubrità della catena alimentare».

Così riporta il Giornale di Vicenza del 22 Aprile in un articolo di Giorgio Zordan.

Una iniziativa giusta ma tardiva e incompleta.
La giunta Zaia, anziché minimizzare e diffondere notizie tranquillizzanti, assolutamente infondate, avrebbe dovuto effettuare il controllo di tutti i pozzi già tre anni fa.

Lo fa adesso perché, dopo l’esplosione mediatica del disastro ambientale causato dalla Miteni nel Veneto, non può più farne a meno. 

Tuttavia ci sono 2 punti deboli nell’iniziativa della Giunta:

1)  L’analisi dei pozzi sarà effettuata solo su base volontaria
 (il ché significa che chi teme le conseguenze economiche che potrebbero ricadere sulla propria azienda può tranquillamente evitare di far controllare l’acqua del proprio pozzo.)

2)  Al rilevamento dell’inquinamento dei pozzi dovrebbe seguire un controllo meticoloso della contaminazione di piante e animali. Ma di ciò non c’è traccia nella delibera di Giunta.

Sappiamo che parecchi prodotti agroalimentari sono stati trovati
abbondantemente contaminati da PFAS ma i reperti sono spariti e nessuno sa che fine fanno uova, verdure, tacchini, polli e altro.

 Le grandi catene alimentari sono visibilmente preoccupate ma anche i singoli produttori.
 Il danno economico, oltre quello sulla salute umana, potrebbe essere ingentissimo e determinare una crisi di tutto il settore.

  Il problema è stato ignorato per troppo tempo e ora la Giunta Regionale si trova invischiata in una rete di complicazioni che derivano dall’avere volutamente sottovalutato la gravità dell’inquinamento.

L’altro aspetto gravissimo è quello per cui le spese delle analisi e del filtraggio dell’acqua degli acquedotti vengono addossate ai cittadini.

La Miteni continua bellamente a sversare i suoi rifiuti e nessuno le chiede i danni.

Du Pont sul fiume Ohio
Diversamente sono andate le cose negli USA dove a causa dell’inquinamento da PFAS del fiume Ohio   la Dupont ha dovuto versare fino ad oggi più di un miliardo di dollari per risarcire le vittime e risanare l’ambiente.
Da noi invece nessuno chiede i danni che sono già arrivati nelle bollette dell’acqua e della depurazione.

Anzi il sindaco di Arzignano, in coppia con quello di Montecchio, invita i cittadini a bere tranquillamente l’acqua dell’acquedotto;

 “L’acqua del sindaco” verrebbe da dire parafrasando una infelice trovata pubblicitaria di qualche tempo fa.

IL FILMATO IN CUI I DUE SINDACI CI INVITANO A BERE L'ACQUA AL PFAS


Nella ULSS 5 il numero di ictus cerebrali si discosta dalla media regionale in maniera eclatante


Noi quell’acqua cerchiamo di evitarla in tutti i modi perché i limiti di sicurezza italiani fissati dall’ISS non rispondono al PRINCIPIO DI PRECAUZIONE previsto dall’UE.

In Germania il massimo di PFAS tollerato negli acquedotti è di 100 nanogrammi/litro, in Italia è di 2030 nanogrammi/litro.

Ma per noi nell’acqua potabile non devono esserci né 100 né 2030 nanogrammi di PFAS perché queste sostanze si accumulano negli organismi viventi, compreso il nostro e impiegano dai 14 ai 20 anni per essere eliminate del tutto.













Le indagini epidemiologiche effettuate in America e anche da noi rilevano un aumento considerevole di rischio per tumori al rene, ai testicoli, al fegato aumento del colesterolo, degli infarti, degli ictus , delle malattie degenerative come l’Alzheimer, malattie della tiroide, diminuzione della fertilità, danni ai nascituri, aborti ecc.















Che le indagini epidemiologiche abbiano rilevato questo aumento di rischio nelle zone inquinate da PFAS rispetto a quelle non inquinate il sindaco Giorgio Gentilin lo sa perché è un medico; e allora, perché ci invita a bere l’acqua del rubinetto? 


I cittadini si sentono presi in giro da chi dovrebbe dare informazioni precise e intraprendere iniziative efficaci e tempestive.

PER QUESTI MOTIVI,
Mamme, genitori, cittadini attivi, gruppi, comitati, associazioni, movimenti riuniti in assemblea a Montecchio Maggiore il 23 marzo 2017 organizzano per DOMENICA 14 MAGGIO una grande mobilitazione regionale a difesa dell’acqua e dei beni comuni.


Giovanni Fazio