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domenica 20 agosto 2017

INDICAZIONI E RISCHI RELATIVI AL TRATTAMENTO DI PLASMAFERESI


La Regione Veneto ha stabilito con un'apposita delibera della giunta un progetto, che, verrà realizzato in gran parte al San Bortolo di Vicenza, nel reparto di medicina trasfusionale, a partire dal 18 settembre.





Tale delibera prevede il trattamento (volontario), con la metodica della PLASMAFERESI, di tutte le persone in cui, dai test dello screening tuttora in atto, sono emersi valori di Pfoa fra i 100 e 200 nanogrammi.

Si tratta di una iniziativa, mai sperimentata per il caso specifico, che avrebbe lo scopo di abbassare i livelli di PFAS nel sangue dei cittadini contaminati dall’inquinamento delle acque causato dalla nota multinazionale MITENI di Trissino (VI).

In questi giorni molti di coloro che sono stati ammessi al trattamento si stanno chiedendo se sia il caso o meno di sottoporvisi, anche perché fino ad ora nessuno si è peritato di spiegare effettivamente in cosa consista e quali siano i rischi eventualmente connessi allo stesso.
In particolare le mamme di Lonigo si stanno ponendo questa domanda.
Per questo motivo pensiamo di fare cosa utile dando alcune spiegazioni sul trattamento stesso, le sue reali indicazioni e le reazioni avverse fino ad ora riscontratesi.

Che cos’è il plasma: il plasma è la parte più "liquida" del sangue che contiene proteine, elettroliti, ormoni e molte altre sostanze.

Cosa è la plasmaferesi: è una procedura extracorporea mediante la quale il plasma è separato dal sangue intero, all’interno di una macchina, per essere rimosso e sostituito, oppure per essere successivamente trattato per la rimozione selettiva di una o più sostanze.

Montecchio Maggiore

La plasmaferesi si ottiene attraverso la centrifugazione del sangue che si separa in due componenti: il plasma, appunto e la parte corpuscolata che contiene prevalentemente cellule (globuli rossi, piastrine, globuli bianchi) oppure attraverso filtrazione effettuata da particolari membrane.

Questo secondo metodo è più sicuro e crea meno problemi tuttavia si tratta di un trattamento molto costoso.
Il plasma sottratto con la plasmaferesi deve essere sostituito con altre soluzioni.

Soluzioni di reinfusione:
Nell'aferesi terapeutica, plasmaexchange in particolare, il controllo dei volumi rimossi è di fondamentale importanza, e richiede un rimpiazzo quantitativamente e qualitativamente adeguato: albumina e plasma fresco congelato sono le reinfusioni più utilizzate.
E’ possibile anche, almeno in parte, l'impiego di frazioni proteiche (gelatine) o di destrani ad alto peso molecolare.

 Le soluzioni di albumina (al 4-5% in soluzione fisiologica o soluzioni poli saline) garantiscono un rischio minimo di reazioni anafilattiche/allergiche, e l'assenza di trasmissioni virali, ma comportano la possibilità di una coagulopatia da deplezione ed una perdita netta di immunoglobuline.

Il plasma fresco congelato garantisce l'omeostasi proteica e dei fattori della coagulazione, ma aumenta notevolmente la possibilità di un rischio infettivo di reazioni allergiche: ha quindi indicazione molto ristretta, in particolare nella terapia di alcune malattie che non possono essere trattate diversamente.

Esiste anche una tecnica di adsorbimento selettivo per cui solo alcune sostanze contenute nel plasma vengono eliminate dalla macchina, ma non ne parliamo perché questa tecnica non è applicabile al nostro caso.

COMPLICAZIONI DELLA PROCEDURA DI AFERESI

I problemi riportati con maggiore frequenza in aferesi terapeutica sono le ipotensioni da ipovolemia relativa, le parestesie da ipocalcemia indotta da citrato, i crampi muscolari e l'orticaria.

 In letteratura, la frequenza di complicanze è riportata maggiormente con l'uso di plasma fresco congelato che di albumina (20 contro 1,4%), e oltre alle ipocalcemie, comprende le infezioni, la trasmissione di virus e le reazioni allergiche.

Le complicanze più serie, come le reazioni anafilattiche, sono quasi esclusivamente legate all'uso di plasma fresco congelato o di sue frazioni.
Anomalie della coagulazione ed aritmie da ipokaliemia sono state descritte dopo trattamenti in cui è stata usata albumina come reinfusione.
Lo scambio di un volume plasmatico aumenta il tempo di protrombina all'incirca del 30%, ma nella maggior parte dei casi, si ritorna ai livelli normali entro 4 ore.
Ipotensione, dispnea e dolori toracici sono stati osservati come conseguenza di una reazione di bio incompatibilità alla membrana di tipo complemento-mediata, o di sensibilizzazione all'ossido di etilene usato come agente sterilizzante.
L'incidenza globale di mortalità è stata stimata tra lo 0,03 e lo 0,05% delle procedure.

Parte delle informazioni che abbiamo cercato di riportare in forma comprensibile anche per chi non sia un esperto della materia sono tratte da uno studio della Società Italiana di Nefrologia:
Coordinatore dott. Giovanni Sparano, Ospedale Cardarelli, Campobasso • Past Coordinatore: prof. Giorgio Splendiani, Università di Tor Vergata, Roma • Consiglieri: dott. Ghil Busnach, Ospedale Niguarda Ca Granda, Milano dott. Luigi Moriconi, Ospedale Santa Chiara, Pisa dott. Massimo Morosetti, Università Tor Vergata, Roma dott. Gabriele Liuzzo, Ospedale S. Luigi, Catania • Segretario: dott. Stefano Passalacqua, C.I.Columbus-Università Cattolica, Roma.


Attualmente non sappiamo se e come, con quali ritmi e con quante sedute la PLASMAFERESI si sarà in grado di raggiungere risultati accettabili poiché non è stata mai usata per questo scopo in sperimentazioni ufficiali.
Questo è un motivo fondato per chiedere che prima di lanciare una campagna al trattamento su vasta scala si faccia una sperimentazione su un campione più piccolo.
 Un altro metodo sperimentato con successo in Canada e in Australia per abbassare la concentrazione di PFAS nel sangue è la

SALASSO TERAPIA

Questa, infatti, ha dimostrato efficacia quando eseguita al ritmo di un salasso ogni due mesi in una famiglia canadese con valori altissimi.

Si arrivò a togliere circa 120 litri di sangue nel padre nell’arco di 5 anni.
La media di PFHxS e PFOS scese di 6-7 volte, quella del PFOA di 4.

All'inizio, gli autori avevano proposto anche la plasmaferesi che fu rifiutata da tutti perché giudicata troppo invasiva. Anche gli autori la consideravano una seconda scelta per lo stesso motivo e per il rischio di infondere altri interferenti contenuti nelle flebo e nei tubi del separatore cellulare (Genuis et al, 2012).

In uno studio australiano del 2011, Lorber et Thompson hanno confrontato le concentrazioni di varie PFAS nel sangue di soggetti sottoposti a salassi (qualcuno probabilmente anche a plasmaferesi) per varie condizioni mediche, confrontandole con le concentrazioni di un gruppo di controllo.
Gli autori affermano che “in generale, i soggetti nel gruppo salassi avevano livelli di PFAS del 30-50% inferiori rispetto ad un gruppo di controllo della popolazione generale”.

Questi studi, seppur limitati ci fanno propendere per la salasso terapia, effettuabile iscrivendosi al gruppo di donatori di sangue nell’ULSS di appartenenza. 

I vantaggi sono:
1)  L’assoluta sicurezza del trattamento
2)  Il contributo che tale trattamento darebbe indirettamente alla banca del sangue
3)  La grande economicità.

 Purtroppo non siamo di fronte ad una panacea.
 Si tratta in ogni caso di trattamenti lunghi, della durata di molti anni e efficaci, forse, solo entro certi limiti.
Per questo va bandito ogni trionfalismo, come quello espresso dal Giornale di Vicenza all’annuncio della notizia del trattamento.

Nessuno si faccia propaganda politica sulla sofferenza dei ragazzi, delle loro madri e delle persone colpite dalla contaminazione, soprattutto quando ancora chi avrebbe dovuto non ha provveduto a fermare la causa dell’inquinamento.

 Detto ciò aggiungiamo che ovviamente, qualunque trattamento diventerebbe inutile qualora gli interessati continuassero ad assumere alimenti o acqua contaminata da PFAS.

Nel 2015, da una ricerca fatta dall’ARPAV nella zona inquinata da Miteni, sono state trovate partite di alimenti (uova, polli, pesci di fiume ecc.)
contenenti alte percentuali di PFAS.

Non risulta che siano stati censiti i produttori né i luoghi in cui tali reperti sono stati trovati né che ne sia stata vietata la vendita e l’immissione in commercio.
Pertanto, a titolo precauzionale, coloro che già presentano alti livelli di PFAS nel sangue faranno bene a procurarsi il cibo da zone di filiera alimentare documentata.

Ci auguriamo che al più presto si provveda

1)   alla proibizione immediata della produzione di perfluorati,
2)    al bando di strumenti di cottura contenenti pellicole antiadesive prodotte con molecole florurate,
3)   alle dovute bonifiche del territorio a spese degli inquinatori,
4)   alla immediata distribuzione ai cittadini di acqua totalmente priva di perfluorati anche con autobotti, come è stato fatto negli USA,
5)   alla progettazione e rapida realizzazione di acquedotti senza inquinanti di alcun genere,
6)    alla comprensione da parte di tutti che NON ESISTONO LIMITI DI TOLLERANZA ACCETTABILI PER le sostanze velenose nell’acqua e negli alimenti poiché tali sostanze non devono far parte della nostra dieta per nessun motivo, nemmeno in minima quantità.
7)   Alla punizione severa degli inquinatori e dei loro complici, in qualunque modo tale complicità sia stata effettuata,
8)   Al risarcimento del danno da parte di chi lo ha provocato, secondo il principio “chi inquina paga”.


La vita, la salute e le persone vengono prima del commercio e degli affari.

Bisogna invertire il paradigma con cui è stata governata da sempre questa regione e restituire a tutti i cittadini i diritti di cui sono stati espropriati.

Nel ringraziare quanti si battono da anni contro l’avvelenamento dei pozzi e contro il torpore colpevole delle autorità mi auguro che queste brevi note su parziali rimedi di contrasto alla contaminazione da PFAS siano utili a chi si appresta a sperimentarli sulla propria pelle.


Giovanni Fazio 

mercoledì 16 agosto 2017

MALGA ZONTA 15 AGOSTO 2017 IL RICORDO DEI MARTIRI DELLA RESISTENZA NELLA ATTUALITA’ DELLA LOTTA AL FASCISMO.


 Ieri mattina mi sono recato a Malga Zonta, una località che si raggiunge da Tonezza, imboccando la strada dei Francolini verso il Melegnon.
 Come ogni 15 aprile si commemorava il sacrificio dei partigiani della brigata Garemi, fucilati nel corso di un rastrellamento dai nazi fascisti.
Furono 17 gli uomini falciati dal plotone di esecuzione, tra questi anche dei malgari colpevoli di trovarsi all’interno della malga dentro la quale i combattenti si erano rifugiati.
 Nella notte del 12 agosto 1944 le truppe naziste, tra queste l'Einsatzkommando Bürger, supportate dalla 5ª Compagnia del Corpo di sicurezza trentino (CST) e da unità della Guardia Nazionale Repubblicana dell'esercito della RSI, iniziarono l'"Operazione Belvedere" consistente in un rastrellamento nella zona di Folgaria e di Passo Coe al fine di sgombrare quelle zone dai partigiani, rendendo così agevole le comunicazioni fra il Veneto e il Trentino.
 I nazi-fascisti giunsero sul luogo di malga Zonta, dove avevano trovato
riparo alcuni partigiani vicentini, verso le 2:30.
Dopo una accanita resistenza, le truppe tedesche ebbero la meglio e alle ore 8:30 fucilarono 17 persone e scattarono due foto che testimoniarono l'accaduto.
I 17 corpi vennero poi sepolti in una vicina buca dovuta allo scoppio di una bomba della prima guerra mondiale.
L'episodio è documentato dai malgari sopravvissuti e dalle due fotografie realizzate, da angolazioni diverse, da un tedesco.
Dalle foto fu possibile per i familiari identificare i fucilati, tra cui Bruno Viola "Marinaio".
Purtroppo, a causa degli ingorghi che ogni ferragosto si verificano
immancabilmente a Piovene Rocchette, sono arrivato alla manifestazione in ritardo ma non tanto da non constatare la presenza di più di mille persone e dei labari di decine di comuni.
Questa testimonianza, a 73 anni di distanza dai fatti è la prova che la resistenza al fascismo ha lasciato un segno duraturo nelle nostre genti e che il ricordo dei caduti non è un puro fatto commemorativo ma un segno di come diventi sempre più attuale il bisogno di resistere alle spinte autoritarie.
Queste purtroppo vengono non solo dalla Lega di Salvini, che ostenta la sua vicinanza con i residui impresentabili delle organizzazioni neonaziste e neofasciste, ma anche dal campo di quello che in passato era il partito dei lavoratori e dei democratici e che adesso fa parte della schiera dei neo liberisti al servizio del capitalismo finanziario internazionale.
 Non abbiamo archiviato il duro scontro tra i rappresentanti del governo di marca PD contro i vertici dell’Ampi, colpevoli di non condividere una riforma istituzionale che snaturava il carattere democratico del nostro paese, in un referendum istituzionale rovinosamente perso da Renzi e Boschi.
Alex Zanotelli
Il messaggio che ci viene da Malga Zonta è un invito a sostenere tutti coloro che si battono per la pace nel mondo, che stanno dalla parte dei diseredati, che non hanno smarrito per strada i valori di solidarietà e di giustizia sociale bollati dalla destra col termine “buonismo”.
Non a caso la manifestazione è stata anche caratterizzata dalla presenza di padre Alex Zanotelli, da sempre in prima fila contro le guerra e il commercio delle armi.
Alla fine della manifestazione, proprio a pochissimi passi dal sacrario della Resistenza, ho scoperto una orribile ricostruzione a scopo propagandistico della base americana da anni sgomberata.
In un recinto nuovo di zecca c’erano schierati finti radar, missili atomici e altri oggetti orripilanti.
Che il governo italiano autorizzi tali ricostruzioni di un triste passato, dando patenti di pacifismo a chi, pur di salvaguardare i propri interessi economici e di dominio in mezzo secolo ha sostenuto in tutto il mondo guerre e colpi di stato di cui quello contro Allende in Cile è uno dei più sofferti, proprio accanto alla malga dei partigiani e a pochi chilometri da Vicenza dove gli americani la fanno ancora una volta da padroni, è il segno della impresentabilità di governi lacchè, senza spina dorsale, che hanno ceduto la sovranità popolare alle multinazionali della finanza, del petrolio e dei veleni chimici, e servilmente spendono i pochi soldi del bilancio nazionale acquistando dalle imprese americane i famigerati F35, gli aerei più costosi del mondo.
Per pagarli, magari, come fa Tito Boeri, propongono di tagliare ulteriormente le pensioni e di spostare sempre più in avanti l’età pensionabile.
Ma pochi, per fortuna, sono stati coloro che, a pagamento, sono andati con i bambini, a visitare il parco atomico di divertimento.

Giovanni Fazio






   









mercoledì 9 agosto 2017

A LONIGO L’ACQUA DEL SINDACO FA BENE.


Assemblea di cittadini a Lonigo
A proposito delle ultime tabelle pubblicate in data 18 luglio 2017 da Acque del Chiampo relative all’acquedotto di Lonigo, ritengo che le stesse inducono a possibili errori per il computo totale dei PFAS totali presenti, computo che, per altro la società non riporta.

 Infatti non è chiaro se gli “altri PFAS” segnati con l’asterisco debbano essere sommati tutti o no.

I risultati, comunque si vogliano calcolare, sono allarmanti, anche se si accettano i valori più bassi.




 Infatti risalta subito all’occhio che il primo valore indicato, quello relativo al PFOA è di 119 nanogrammi litro.

 Questo singolo valore, da solo, supera abbondantemente i valori limite consigliati dall’EPA (ente per la protezione dell’ambiente degli USA) che è di 70 nanogrammi.

Ma dirò di più: una recente ricerca scientifica effettuata dallo stato del Minnesota contesta i valori dell’EPA e pone come limite massimo per i PFOA 35 nanogrammi/litro.

Amentato rischio per le gravide e per i neonati
Lo stato del Minnesota precisa che tale limite si riferisce comunque all’assunzione di acqua inquinata per brevi periodi (vale a dire per qualche settimana o al massimo qualche mese; non di più).

Basta già questo valore di testa per consigliare a tutti i cittadini dell’area di Lonigo di NON BERE QUESTA ACQUA.

Maggiormente non devono berla quei ragazzi nel cui sangue sono stati trovati valori altissimi di PFAS.
Lo dico da medico, seguendo le regole di comportamento previste dal codice etico dell’Ordine dei Medici cui nessuno può derogare.

La verità comincia a venire a galla
Continuando la lettura della tabella gentilmente messa a disposizione da Acque del Chiampo si legge che nell’acqua dell’acquedotto di Lonigo si troverebbero 76 ng/litro di PFBA e 75 ng/litro di PFBS.

Per coloro che non hanno molta dimestichezza con queste sigle spieghiamo che si tratta dei nuovi PFAS che la MITENI produce dal 2015 e che ZAIA assicura essere prodotti secondo i crismi delle nuove norme di sicurezza.

La presenza di questi due prodotti nell’acqua di LONIGO smentisce platealmente Zaia e quanti ancora sostengono che l’inquinamento delle acque sia un fatto che riguarda il passato ma che adesso tutto è sotto controllo.

Non solo cari amici di Lonigo vi danno da bere acqua inquinata ma anche, e lo fa pure il vostro sindaco quando afferma che potete berla tranquillamente, vi danno da bere tante belle storielle.

Le tabelle parlano da sole e i numeretti che acque del Chiampo aggiunge nella ultima colonna di destra sono i valori limite prescritti dal Ministero e dalla Regione, oltre che dall’Istituto Superiore di Sanità.


Dovremmo chiedere a queste istituzioni e alle persone che le rappresentano come mai i valori limite italiani superino di 7 volte quelli americani dell’EPA e 14 volte quelli fissati per i PFOA dallo stato del Minnesota.

Dovremmo chiedere a Zaia come mai non si è attenuto alle indicazioni del direttore generale della sanità del Veneto Domenico Mantoan che denunciava in un documento ufficiale dell’autunno scorso l’aumentato rischio di preeclampsia e tutta la sequela di patologie correlate ai PFAS verificate dal servizio epidemiologico regionale nella cosiddetta zona rossa, cioè anche a Lonigo.

A questo punto non ha più importanza occuparsi delle minutaglie, cioè dei PFAS residui presenti nella tabella perché quello che abbiamo letto nelle prime quattro righe basta e avanza.

Come medico vi ho detto quello che il mio codice etico mi impone di dirvi, voi potete credere al sindaco o a Zaia, ma se avete bambini piccoli o donne incinte a casa questa fede nelle autorità potrebbe costarvi cara.

Giovanni Fazio



  


sabato 5 agosto 2017

UNA DISCARICA AD ARZIGNANO

              
Un filo rosso lega i vecchi democristiani ai nuovi gestori leghisti del potere: l’indifferenza neri confronti dei danni che le loro imprese creano alla popolazione adesso come allora. La radice del male ieri, come oggi, sta nel potere legato agli interessi dei conciari che allora, come oggi, non si curavano dei danni che la loro attività arrecava all’ambiente e alle persone.
Credo che molti saranno interessati a vedere un breve filmato di 27 anni fa che testimonia la responsabilità degli uomini che decisero di costruire una discarica su una falda affiorante a poche centinaia di metri da Tezze di Arzignano, frazione che ha pagato in prima persona con tanti morti per tumore la scellerata iniziativa.
Quattro minuti di visione da non perdere: BUONA VISIONE


UN INCONTRO A TEZZE DI ARZIGNANO


sabato 29 luglio 2017

Xe pèso el tacòn del buso. Zaia corregge l’intervista al Giornale di Vicenza ma non blocca l’inquinamento da PFAS.



Caro presidente,

Ho visto la sua foto pubblicata oggi sul Giornale di Vicenza.
Faccia stanca, barba di tre giorni, i famosi basettoni alla Teddy boy anni ’60 sbiaditi, capelli che virano malinconicamente verso il bianco, mascelle serrate, come di chi da mesi vive in uno stato di continuo stress, e soprattutto lo sguardo, due occhi come due fessure che non riescono a nascondere lo sgomento di questi giorni e, al contempo, indagano l’interlocutore quasi temendo nuove insidie.

La vecchia eleganza demodé che caratterizzava la sua figura e lo spirito di persona che galleggiava nel successo sono svanite per lasciare il posto ad un uomo ansioso e preoccupato.

E io la capisco, proprio nel momento in cui un referendum di grande spessore propagandistico si avvicina per celebrare la potenza e il successo degli ex indipendentisti veneti una macchia indelebile, idrorepellente e grasso repellente, si allarga su tre provincie della regione che ella governa.

Si tratta, come anche lei finalmente ormai sa, della più grande contaminazione industriale mai avvenuta nelle preziosissime acque del Veneto.


E’ proprio questa macchia la causa ultima delle sue angosce.

Tralasciamo per ora le altre numerosissime questioni non meno angoscianti come la pedemontana, gli ospedali, le cementificazioni, i cementifici della bassa padovana, ecc.

Questa macchia così inopportuna la costringe a smentire quanto riportato temerariamente dal Giornale di Vicenza in una intervista recentissima in cui le si attribuiva la dichiarazione:

La Miteni attuale non risulta colpevole, la contaminazione viene da precedenti attività".

Lei afferma:

“La frase riportata non corrisponde affatto a quanto scritto nella lettera a mia firma, che recita invece come segue:
"Nel caso della Miteni non si ha alcuna evidenza, grazie all'assiduo controllo a cura di Arpav, che l'attuale attività produttiva sia condotta con modalità contrarie alle norme ambientali; mentre è evidente che le manifeste criticità siano da ricondurre alla pesante contaminazione del sito su cui opera la ditta causata da precedenti attività.”

Lei non dice infatti che la Miteni non sta inquinando ma solo che si sta attenendo alle modalità prescritte, che è cosa ben diversa.

Ha fatto bene a precisare, presidente, infatti, coi tempi che corrono e con una inchiesta giudiziaria in corso, bisogna stare attentissimi con le parole;

gli stessi concetti si possono esprimere con giri di parole meno rischiosi ma in questo caso xe pèso el tacòn del buso.

Infatti le evidenze di un inquinamento che continua ai giorni nostri ci sono eccome.

La Miteni a suo tempo dichiarò che la produzione dei vecchi PFAS era stata chiusa nel 2015 e che da quella data si sarebbero prodotti soltanto perfluorati a catena corta, tra cui PFBA (Acido perfluorobutanoico) e PFBS (Acido perfluorobutansulfonico).
MONTORSO 30 NG/LITRO DI PFBS

Prodotti che benignamente la ULSS di Vicenza, senza alcuna documentazione scientifica, definisce “MENO TOSSICI”.

Se le cose stanno come afferma la Miteni come mai questi prodotti nuovi si trovano nell’acqua distribuita da Acque del Chiampo ai comuni di Chiampo, Arzignano, Montecchio, Brendola e Lonigo?

E’ la stessa società che gestisce gli acquedotti che ne certifica la presenza.


Da dove sono arrivate queste molecole nell’acqua potabile?

E’ un mistero che ancora una volta Zaia ma anche Nardone, attuale amministratore della Miteni, dovranno spiegarci.

ARZIGNANO 16 NG/LITRO DI PFBS
Se sono presenti nella rete dell’acquedotto (sia pure in quantità non eclatanti) è segno che sono presenti nelle falde e nei pozzi da cui l’acquedotto attinge l’acqua. 
Ma se nelle falde e nei pozzi si trovano le nuove molecole prodotte dalla Miteni dal 2015 in poi, è segno che l’attività inquinante è ancora in atto.

Tra tanti “misteri” una certezza noi l’abbiamo ed è quella che nessuno dei tre depuratori di Trissino, Arzignano e Montebello è in grado di trattare e smaltire i PFAS.

Pertanto queste molecole, corte o lunghe che siano, continuano il loro viaggio verso nuovi lidi indisturbate.

Se vengono prodotte MOLECOLE TOSSICHE E INQUINANTI che non possono essere trattate ed eliminate dalle strutture adibite a proteggere le acque e l’ambiente, la produzione di queste molecole deve essere sospesa immediatamente.

Molte sono le autorità civili che hanno la facoltà e il dovere di intimare questo divieto ma la più importante di queste è proprio quella del Presidente del Consiglio Regionale che, come sta avvenendo in altre regioni, per esempio nel Lazio, per questioni ambientali diverse ma non meno importanti, ha il dovere di impedire che l’attività inquinante della Miteni continui.

Per cui, con gentilezza le chiediamo, prima che sia il procuratore della Repubblica a farlo: “Salga sulla nave, casso!”

Giovanni Fazio


mercoledì 26 luglio 2017

L'INQUINAMENTO DILAGA MA ZAIA NON FERMA LA MITENI. IL DISASTRO AMBIENTALE MINACCIA L'ECONOMIA DEL VENETO.

Locara (VR) Intervista di Radio Noventa
Non può che destare indignazione l’intervista agiografica al presidente della Regione Veneto Luca Zaia pubblicata ieri sul Giornale di Vicenza.

Vi si legge tra l’altro Ma Zaia ricorda anche che «moltissimo è stato fatto soprattutto sotto il profilo della tutela ambientale», evidenziando le principali iniziative messe in campo a partire dalle analisi da parte di ARPAV, con l’identificazione della fonte principale di contaminazione, individuata nella ditta Miteni di Trissino, e la messa in sicurezza gli acquedotti con adeguati sistemi di filtraggio, consentendo, già a poche settimane dalla conoscenza del fenomeno evidenziata dai Ministeri competenti, la distribuzione di acqua potabile nel rispetto dei livelli di performance stabiliti, anche se in una fase successiva, dall’Istituto Superiore di Sanità.”

Continua la raccolta delle firme
In realtà gravissime responsabilità gravitano sul capo di Zaia, a cominciare dal fatto di non avere ancora bloccato “la fonte principale di contaminazione”, in ossequio alla multinazionale Miteni, di non avere preso misure efficaci per garantire i giovani e i bambini dalla contaminazione.

Tutti sanno del balletto tra Regione, ISS e Ministero dell’ambiente dal quale ha avuto origine il famoso “limite di performance” tra i più alti del mondo, nell’agosto del 2015.

Si pensi solo che negli USA il limite di PFAS ammessi nell’acqua potabile è di 76 nanogrammi/litro, in Germania 100 nanogrammi/litro ma in Italia siamo, chissà perché a 2030 nanogrammi /litro.  
Qualunque individuo dotato di intelligenza non può notare la notevolissima discrepanza tra questi valori e quelli adottati dai vari paesi.

L’avere “contenuto” dentro questi limiti, di cui Zaia è orgoglioso, la quantità di inquinanti perfluoroalchilici non ha impedito però che negli esami praticati a giovani quattordicenni della zona di Lonigo e dintorni, siano state rilevate quantità spaventose di PFAS, fino e oltre i 300 nanogrammi per grammo di sangue.

Già nel 2013 Zaia avrebbe dovuto citare in giudizio la Miteni per “DISASTRO AMBIENTALE”.

Già nel 2015 l’ARPAV ha rilevato la pesante presenza di PFAS negli alimenti animali e vegetali e nei loro derivati prodotti nella zona inquinata.

LUCA ZAIA cosa ha fatto per individuare i produttori danneggiati da MITENI e fornire loro l’immediato e gratuito soccorso per salvare la produzione dagli inquinanti?

Ha provveduto a sequestrare le partite di alimenti contaminati, onde evitare che queste invadessero i mercati?

Non c’è bisogno di grandissima intelligenza per capire che tutto ciò è alla base della ulteriore contaminazione da PFAS dei cittadini non solo del Veneto e della messa a rischio della intera produzione alimentare del Veneto.
I medici ISDE da sempre accanto ai cittadini contro le mistificazioni del sistema

All’estero stanno filtrando le prime indiscrezioni in merito e le nostre esportazioni pregiate cominciano a soffrire della nomea di provenienza inquinata.

Quanto tempo pensa Luca Zaia che questi dati rimangano celati agli occhi del mondo?

E quanto tempo pensa che passerà perché le mamme di tutto il mondo        (a torto o a ragione) si rivolgano altrove per il latte da dare ai propri bambini?




Dal 2013 Zaia non ha fatto altro che perdere del tempo prezioso anziché salvare aziende e cittadini ma la parola d’ordine era MINIMIZZARE IL FENOMENO.


A furia di minimizzare e di tranquillizzare siamo giunti alla vigilia della esplosione del fenomeno anche sui giornali e le televisioni.

Già le IENE e REPORT hanno trattato l’argomento con efficacia, denunciando la cialtroneria generale con cui il più grande disastro ambientale del Veneto sia stato trattato fino ad ora.

Già dal 2013 sarebbero dovuti accorrere da tutta Italia e dall’estero gli aiuti indispensabili per salvare i bambini, i cittadini e le aziende agroalimentari ma ciò non è avvenuto.

 Adesso, intervistato dal Giornale di Vicenza, Zaia dichiara che a partire da maggio 2013, la Regione si trova «ad affrontare uno dei più vasti fenomeni di inquinamento delle acque superficiali e delle falde acquifere degli ultimi anni, dovuto a contaminazione di sostanze perfluoro-alchiliche (Pfas) in una vasta area tra le Province di Vicenza, Padova e Verona”

Le Mammr di Lonigo raccolgono le firme
Ma già dal maggio del 2013 le cose che avrebbe dovuto fare non le ha ancora fatte.

Mentre a Lonigo raddoppiano i casi di tumore al testicolo, mentre aumentano i casi di patologie gravissime, correlate alla contaminazione da PFAS, la Miteni è ancora là che inquina bellamente, i suoi operai si ammalano, i ragazzi di Lonigo chiedono cosa fare ma ricevono risposte generiche e inadeguate e i produttori scontano il silenzio di tutti questi anni e stanno per pagare amaramente la fiducia riposta in chi avrebbe dovuto difenderli fin dal primo momento e non lo ha fatto. 

Ma Zaia ricorda anche che «moltissimo è stato fatto soprattutto sotto il profilo della tutela ambientale».

Sbocco del dotto ARICA
In realtà il tubone che raccoglie i reflui dei cinque depuratori tra i quali quelli maggiormente inquinanti e ricchi di PFAS di Trissino, Arzignano e Montebello, continua a sversare i suoi miasmi nella pianura veneta a beneficio delle colture irrigate dal Fratta Gorzone e della Laguna. 



Il Patto Stato Regione siglato nel 2005 è scaduto il 31 dicembre del 2015 per l’assoluta insipienza e il nulla di fatto dei firmatari (10 anni persi).

 L’unico interesse dei conciari di Arzignano era quello di costruire un gassificatore ma è ovvio che bruciare i fanghi (30.000 tonnellate anno) non toglie nemmeno un nanogrammo di PFAS alle acque reflue, lo capisce anche un bambino. Ma se veramente questa proposta insensata dovesse realizzarsi, il contenuto di perfluorati presenti nei fanghi si spanderebbe nell’atmosfera e genererebbe una nuova fonte di inquinamento.

I conciari faranno bene a prendere sul serio il nuovo patto Stato Regione siglato nel 2016 e cominciare a pensare ad una produzione ecosostenibile seria.

 L’uso indiscriminato di prodotti non recuperati e non recuperabili, il mancato riciclaggio dell’acqua e degli inquinanti più pericolosi pesano non solo sull’ambiente e sulla salute e le tasche dei cittadini ma anche sull’intero comparto in maniera minacciosa, compromettendone il futuro.

E’ ora di pensare in maniera responsabile e rinunciare a speculazioni, come quella del gassificatore che, oltre a danneggiare i cittadini di una intera area del Veneto, già tristemente compromessa, attirerebbero l’attenzione internazionale sul modus operandi dei conciari arzignanesi con ricadute non del tutto favorevoli sui loro prodotti.

La storia del Veneto deve cambiare: le vecchie manfrine e le furbate del passato non reggono più di fronte alle nuove esigenze degli uomini e del pianeta.

 La DuPont in America ha già pagato più di un miliardo di dollari per i
Stabilimenti Dupont USA
danni arrecati all’ambiente e alle persone, e non è la sola azienda posta nel mirino delle leggi a protezione dell’ambiente.


Anche i produttori di automobili tedeschi hanno avuto le loro gatte da pelare e non hanno certo bisogno di averne di nuove.

Abbiamo bisogno di una nuova classe di imprenditori che abbiano la testa rivolta verso il futuro e non verso un passato non più giustificabile né realizzabile.

Abbiamo bisogno di nuova intelligenza, capace di concepire un modo nuovo di produrre nel rispetto dell’ambiente e delle persone, soprattutto in questa nostra terra veneta tragicamente umiliata e devastata da un industrialismo irresponsabile.

Abbiamo infine bisogno di nuove forme di partecipazione democratica alla gestione dei beni comuni materiali e sociali.


Giovanni Fazio