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sabato 27 maggio 2023

ROB BILOTT, L'AVVOCATO AMERICANO, AD ARZIGNANO

 

Foto di Vincenzo Raimondi

La testimonianza al tribunale di Vicenza, giovedì 25 maggio, dell'avvocato Rob Bilott ha dato un grande contributo alla verità accertata dei fatti che hanno portato alla contaminazione da PFAS nel Veneto.

Fin dal suo arrivo in Italia  l’avvocato americano, celebre per avere difeso 70.000 persone contaminate da PFAS sversato nel fiume Ohio dalla multinazionale DuPont, è stata accolto dal Movimento No PFAS partecipando ad una serie di iniziative che hanno visto come tappa conclusiva la serata al teatro Mattarello di Arzignano.

La presenza di Bilott nella nostra città è stato un evento epocale.

La serata è stata aperta dalla introduzione di Donata Albiero e dal saluto caloroso della sindaca Alessia Bevilacqua cui è seguita una intervista di Alberto Peruffo a  Gianni Poggi, regista del film “Lavoro avvelenato” proiettato subito dopo.

Al film è seguita una intervista a Federico Bevilacqua autore del libro fotografico “Formula di un disastro invisibile” e dagli interventi dal palco di attivisti del territorio Piergiorgio Boscagin, vicepresidente regionale di Legambiente, l’avvocato Cristina Cola, Claudio Lupo medico ISDE, Giovanni Fazio e Giuseppe Ungherese responsabile nazionale di Greenpeace, venuto appositamente dalla capitale.

Foto di Vincenzo Raimondi



Molte importanti presenze nel pubblico tra cui anche quella di don Mariano Lovato, del presidente dei medici ISDE della provincia di Vicenza dott. Francesco Bertola, dell’avvocato Edoardo Bortolotto che al processo Miteni rappresenta gli operai della Miteni, della consigliera ragionale di Europa Verde, Cristina Guarda, del segretario Generale della CGIL della provincia di Vicenza Gianpaolo Zanni, di Michela Piccoli rappresentante storica delle mamme no PFAS, della professoressa Stefania  Romio, interprete di Bilott, di  Maria Chiara Rodighiero responsabile vicentina di Medicina Democratica, e di tanti attivisti ecologisti, personalità della politica e altri che hanno avuto ruoli di spicco nel processo Miteni e nella lotta contro l’inquinamento.





 
Foto Raimondi

Il Movimento ricorda che sono passati 10 anni dalla prima “scoperta” delle PFAS nel Veneto e deplora la assoluta insufficienza della Regione Veneto nel fronteggiare la contaminazione e la sua diffusione e nella protezione della popolazione.

Resta ancora il decreto di Zaia del 2017 con cui si fissano i livelli di performance negli acquedotti del Veneto a 390 ng litro!

A dieci anni di distanza siamo ancora costretti a

lottare contro la soppressione dei diritti umani, operata non da un ayatollah ma dal Governo della Regione Veneto, certificata dalla relazione dell’alto commissario dell’ONU  Marcus Orellana.

Tra questi, primo fra tutti, il diritto alla salute, il diritto dei cittadini a rischio, di conoscere i livelli di contaminazione da PFAS nel proprio sangue, il diritto di tutti di conoscere se i cibi venduti al mercato sono contaminati o meno, il diritto di bere acqua non contaminata, il diritto delle donne gravide di conoscere il rischio che sta correndo l’embrione che tengono in corpo.

Viviamo in un Paese che fa parte dell’Europa e non del Medio Oriente.

Non ci siamo fermati e continuiamo con lo stesso spirito di sempre perché sappiamo che abbiamo ragione e che i soprusi che stiamo vivendo dovranno necessariamente cadere e che chi sta operando in tal modo contro i cittadini del Veneto ne risponderà davanti alla legge e al giudizio degli uomini.

Giovanni Fazio

 


“ DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE n. 1590 del 03 ottobre 2017

Sorveglianza sostanze perfluoroalchiliche (PFAS): acquisizione di nuovi livelli di riferimento per i parametri "PFAS" nelle acque destinate al consumo umano. 

VISTO il parere della Commissione Regionale Ambiente e Salute.

delibera

1.      di richiamare quanto evidenziato in premessa, che costituisce parte integrante e sostanziale del presente provvedimento;

2.      di stabilire che, ferma restando la competenza statale alla fissazione di valori per parametri aggiuntivi di cui all'allegato I del D. Lgs. n. 31/2001, i valori provvisori di performance (obiettivo) delle sostanze perfluoroalchiliche per l'acqua destinata al consumo umano, nell'ambito territoriale regionale, dall'adozione del presente atto e fino a diverse e nuove indicazioni da parte delle autorità nazionali e sovranazionali competenti, sono per "PFOA + PFOS" ≤ 90ng/l, di cui il PFOS non superiore a 30 ng/l ed i valori della somma degli "altri PFAS" ≤ 300 ng/l;”

( Totale 390 ng/litro n.d.r.)

Foto Raimondi

L'album della serata



sabato 13 maggio 2023

RAPPORTO AGENAS: NEL 2025 IN ITALIA MANCHERANNO ALTRI 3.632 MEDICI DI MEDICINA GENERALE.


 

Nel 2025 in Italia mancheranno 3.632 medici di medicina generale.

         Il picco di assenze si registrerà nel Lazio con un passivo di 584 camici bianchi, seguito da Sicilia (-542), Campania (-398) e Puglia (-383).

A calcolarlo è l’Agenas (Agenzia  nazionale per i servizi sanitari regionali), che ha pubblicato sul proprio sito un approfondimento sui medici di medicina generale.

Più indietro, sottolinea Fimmg (Federazione italiana dei Medici di Medicina Generale) che ha rilanciato il report,

ci sono Toscana (-253), Piemonte (-200), Emilia Romagna (-194), Veneto (-156), Lombardia (-135), Abruzzo (-127), Sardegna (-112), Liguria (-93), Umbria (-76), Friuli Venezia Giulia (-65), Calabria (-52), Marche (-42), Basilicata (-36).

 

In attivo nel 2025 ci saranno solo due regioni, Valle d’Aosta (+9) e la Provincia autonoma di Trento (+7).

 Più in generale, in media a livello nazionale ogni medico di medicina generale ha 1.237 pazienti. Il contratto prevede, salvo eccezioni, che ciascun medico assista al massimo 1.500 pazienti.

Nel 2020 nell’Unione europea il maggior numero di MMG è stato registrato in Francia (94.000), seguita dalla Germania (85.000), mentre il Portogallo (medici abilitati all'esercizio della professione) e l'Irlanda hanno riportato il maggior numero di MMG per 10.000 abitanti (rispettivamente 29,2 e 18,8 per 10.000 abitanti).

L’Italia nel 2021 è a quota 6,81 per i medici di base e 1,2 per i pediatri “generici” per 10.000 abitanti, ma va considerato che nel numero di medici generici Eurostat (l'Ufficio statistico dell'Unione europea) considera anche i medici di continuità assistenziale, mentre per i pediatri considera anche quelli che in altri Stati non sono necessariamente a carico del bilancio pubblico.

La percentuale di MMG è stata la più alta in Irlanda (54%), Portogallo (53% dei medici autorizzati erano medici generici) e Paesi Bassi (46%).

In Italia dal 2019 al 2021 il numero assoluto dei MMG si è ridotto di 2.178 unità e quello dei PLS di 386 unità.

Il dato più interessante è quello sull'anzianità di servizio.

Nel 2021, su 40.250 MMG, la quota con oltre 27 anni di anzianità è pari a 30.303 (il 75%). Le regioni con il maggior numero di assistiti per MMG sono: P.A. di Bolzano (1.494), Lombardia (1.450) e Calabria (1.423) mentre in coda ci sono Sicilia (1.034), Molise (1.030) e Umbria (1.020).

Va, però, tenuto presente che nella Provincia Autonoma di Bolzano il contratto di convenzione con il SSN dei medici di base stabilisce quale massimale di scelte 2.000 assistiti.

 

"L’approfondimento che Agenas ha dedicato alla medicina generale - commenta Silvestro Scotti, segretario generale Fimmg - è un utile strumento di politica sanitaria e auspichiamo che possa essere lo strumento che ci aspettavamo per un’azione legislativa e contrattuale per realizzare quel cambio di passo sull’assistenza territoriale del quale il nostro Paese ha bisogno". 

"Nel nostro Paese – continua il leader della Fimmg – si assistite ad una desertificazione della medicina territoriale, con un forte sbilanciamento di investimenti verso la specialistica che ha limitato gravemente il diritto alle cure dei cittadini, indotti negli anni a rinunciare alla prossimità dell’assistenza e a rivolgersi sempre più spesso al secondo livello, pubblico o privato che sia.

 La nostra speranza è che questo autorevole rapporto di Agenas diventi il punto di partenza di una programmazione che metta in condizione il territorio di tornare attrattivo, attraverso un necessario reinvestimento di risorse umane ed economiche, per rispondere in modo efficace alle esigenze di salute dei cittadini. 

Riteniamo, infine, questa integrazione di particolare rilevanza anche sui modelli in discussione per lo sviluppo di una sanità territoriale che sembra oggi guardi troppo a modelli esterofili, quasi affermando la primarietà dei modelli portoghesi o di altri paesi europei. 

Questi modelli - conclude Scotti - solo per la differenza di risorse umane in campo, mai potranno essere efficaci nel nostro paese con gli attuali numeri e con quelli che peggioreranno nei prossimi anni; forse bisognerebbe cominciare a confrontarsi, e come FIMMG siamo disponibili, su un modello italiano che, con i numeri giusti e le giuste programmazioni, ha sempre dimostrato di essere una eccellenza che ancora per tanti aspetti resiste, nonostante l'aumento di carichi di lavoro e la scarsità degli investimenti su personale e strumenti".

 

Concludiamo condividendo quanto affermato da Silvestro Scotti sulla inutilità di ricercare modelli di sanità territoriale all’estero, quando in realtà per quarant’anni  abbiamo perseguito il sistematico smantellamento del nostro che ci aveva portato al successo, mettendoci al secondo posto per speranza di vita a livello mondiale.        

Ma, si sa, quando non si vogliono vedere le vere cause della distruzione del servizio pubblico nazionale a favore della speculazione privata, i responsabili di destra e di (cosiddetta) sinistra, veri autori di questo schiaffo liberistico ai cittadini italiani, si aggrappano a soluzioni esotiche.

Intanto, mentre loro vaneggiano di modelli stranieri, la nave affonda.

La prima urgenza è provvedere alla materia prima del servizio sanitario e cioè i medici, gli infermieri e il personale.

Bisogna spalancare le porte delle università, modificare i percorsi di laurea, finanziare le facoltà di medicina affinché possano accogliere un numero di studenti tale da garantire i bisogni dei prossimi anni. Permettere agli studenti la gratuità dell’insegnamento, poiché il loro studio sarà una grande risorsa per lo Stato e solo i cretini pensano che chi studia duramente per sei anni debba anche pagare anziché ricevere uno stipendio (dal momento che lo studio va riconosciuto come lavoro a tutti gli effetti) .

 Uno Stato serio costruisce i suoi quadri e non considera lo studio un privilegio per figli di papà. I college sono la base di un modo intelligente di garantire il percorso scolastico universitario. Le Università sono il terreno in cui si coltiva l'intelligenza delle nuove generazioni per far fronte a tutte le necessità del paese. La Cultura, a differenza di quanto affermato da un noto ex ministro dell'economia, è la base che garantisce la vita di una nazione o forse qualcuno pensa che i medici li chiederemo ad Amazon?

         Una visione eco sociale dei problemi della salute mette in discussione il modello mercantilistico e liberista di una società in cui il profitto e il mercato sono al primo posto.

         A chi si sta ingrassando grazie a nuove polizze sanitarie (di fatto non garantite) a visite private con parcelle astronomiche e centri salute a beneficio degli azionisti, noi contrapponiamo milioni di persone che non ce la fanno più, che non riescono più a pagare le spese per curarsi e non riescono ad accedere alle cure, ormai miraggio di lunghissime file di prenotazioni con mete irraggiungibili.

         Non rispondere a questi diritti primari delle persone è criminalità politica e commerciale.

         Il neo atlantismo dei nuovi governanti non è una risposta  ai bisogni della nostra società.

 In America la speranza di vita è molto più bassa che in Europa proprio perché negli USA predominano gli interessi finanziari su tutto il resto.

God bless America.

Giovanni Fazio



sabato 6 maggio 2023

IL MEDICO DI FAMIGLIA SPARISCE A VICENZA


Ho inviato una breve risposta all'articolo di Marco Milioni che denuncia lo spappolamento del Servizio Sanitario Nazionale nella città di Vicenza  dove un intero quartiere è rimasto privo di medico di famiglia.

    Ormai non è un segreto per nessuno che l'obiettivo della disintegrazione della sanità pubblica, perseguito per decenni da coloro che ne volevano fare un lucroso business, è stato infelicemente raggiunto.

 E' bene che i liberisti di casa nostra ostentino questo loro successo, raggiunto con tagli annuali di posti letto ospedalieri, chiusura di ospedali, costruzione di ospedali con il metodo del project financing  dove non erano necessari, limitazioni continue all'azione del medico di famiglia, introduzione dell'Intramoenia per cui la stessa prestazione si può ottenere gratuitamente o a pagamento dallo stesso operatore. Veramente geniale!  Favolosa anche l'invenzione dell'Azienda Zero con cui accaparrarsi tutti i contratti delle ULSS. 

    Stamattina ho ringraziato Marco per il reportage sul quartiere Ferrovieri di Vicenza. Rileggendo il breve messaggio, ho pensato di renderlo pubblico. Forse una riflessione collettiva su quanto stiamo subendo potrebbe essere alla base di un modo diverso di pensare alla politica.

"Bravo Marco, come sempre, sai cogliere le contraddizioni che sono poi il sale della cronaca. Non condivido quanto riporti sulla regionalizzazione della medicina del territorio, proposta da alcuni (chi?), sottraendola alla convenzione nazionale. Non è coerente consegnare ai distruttori del servizio sanitario una parte di esso che, comunque ha già perduto moltissima autonomia.

 Ormai i medici di famiglia non sono più autorizzati a prescrivere farmaci specialistici, esami attribuiti erroneamente agli specialistici e nemmeno visite specialistiche. Per esempio, un esame del fondo oculare è indispensabile per controllare lo stato dei vasi sanguigni di un iperteso, specie se è anche diabetico, ma a questo esame si può accedere, adesso, solo attraverso la prescrizione dello specialista. (In realtà quello che al medico di famiglia interessa appurare con questo esame, non è lo stato della retina ma quello del sistema circolatorio dell’intero organismo).

 Ciò vale per moltissimi altri esami e prescrizioni per cui è diventata obbligatoria, ancorché inutile e inappropriata, la richiesta di visita specialistica. Oltre ad umiliare la professionalità del medico di famiglia,  ciò crea un ingorgo di visite specialistiche necessarie, solo burocraticamente, per autorizzare esami o prescrizione di farmaci. 

In  realtà questo meccanismo intrigato è destinato, da chi lo ha inventato, a rendere sempre più difficile l’accesso al Servizio Sanitario, alimentando così la sanità privata oppure la rinuncia alle cure, per stanchezza o mancanza di mezzi.

Contrariamente a quanto affermato da Giorgetti, secondo cui il medico di famiglia non serve più a niente in quanto basta internet per scegliere lo specialista di cui si ha bisogno, prevenzione monitoraggio delle patologie croniche,  sorveglianza sanitaria, colloquio col paziente e la sua famiglia, conoscenza del quartiere dove si vive, immediatezza dell’accesso allo studio medico ecc. hanno costituito, nei primi anni della riforma sanitaria, quella rete di protezione che ha portato il nostro paese ad un livello di eccellenza internazionale (secondi nel mondo) e ha allungato di molto la speranza di vita. 

La figura del medico della persona, introdotta dalla riforma sanitaria del ’79, è stato  un passo rivoluzionario che ha personalizzato il rapporto medico-paziente e umanizzato la sanità.

 Tale sistema è stato neutralizzato, passo dopo passo, inizialmente allontanando dal quartiere il medico di famiglia  e relegandolo nelle famigerate medicine di gruppo in cui il gruppo non serviva ad altro che a mettere in comune la spesa per i locali e la segretaria, senza alcun miglioramento per quanto riguarda la qualità del servizio e la vita  del paziente.

 Allo stesso modo, adesso si pensa non tanto ad aumentare e rendere nuovamente operativi nei quartieri (vedi caso Ferrovieri) il medico di famiglia (con studio raggiungibile a piedi e senza appuntamento) ma a costruire le cosiddette case della salute (inutili e assurdamente dispendiose quando i distretti territoriali funzionano). 

Per fare rete con gli altri servizi del territorio basta uno smartphone  e non è necessario edificare nuovi centri semi ospedalieri. L'equipe territoriale può funzionare agilmente anche se i vari operatori non vivono nello stesso locale.

Mi fermo qui. Ma tra le cose da fare, di cui nessuno parla, metterei una riforma universitaria per la creazione della figura del medico territoriale con competenze oltre che di medicina, ovviamente, anche di sociologia, statistica, epidemiologia, ecologia e scienze della comunicazione.

 Non si risolve il problema della sanità se non si ampliano le facoltà di medicina, se non si ristrutturano i corsi introducendo la medicina del territorio, se non si agevolano i giovani, magari creando campus e strutture alberghiere accessibili e dignitose. 

Ogni pianta parte dal seme; se non si  semina non si aspettino frutti e raccolti miracolosi.

Questo viene totalmente ignorato da chi ha la responsabilità di governo. Si esulta perché si è recentissimamente compresa nel piano PNRR  la fabbricazione di armi, notoriamente indispensabili alla resilienza.

Fare del medico di Famiglia un operatore socio-sanitario all’interno di una comunità data è il vero aggiornamento di una figura professionale indispensabile.

Fare, cioè, il contrario di quanto si sta facendo adesso.

La sanità, direbbe Gaber, non è star sopra un albero." 

Giovanni Fazio

venerdì 5 maggio 2023

LE LOBBY AGRICOLE SONO PIU’ FORTI DELLA LOTTA ALL’INQUINAMENTO

 

NIENTE LIMITI ALLE EMISSIONI DEI BOVINI 

LA STRETTA UE AFFONDATA DAGLI INTERESSI DI SETTORE

 


 

Un durissimo scontro è in atto tra la Commissione Europea e le associazioni degli allevatori. Gli interessi dei produttori hanno la meglio sul bisogno di salvare il pianeta dalle conseguenze delle emissioni di metano e altri gas in atmosfera.

“L’Agenzia Europea per l’Ambiente stima che l’agricoltura europea sia responsabile del 56% delle emissioni di metano e del 94% di quelle di ammoniaca, in gran parte imputabili alla zootecnia” ribatte Federica Ferrario, ricordando che “le emissioni di ammoniaca e di ossidi di azoto provenienti dagli allevamenti intensivi, concorrono alla formazione del particolato fine (PM) che si stima causi più di 300mila morti premature all’anno in Europa”.

 È bene che tutti riflettano su queste problematiche che sono alla base della sopravvivenza del genere umano e di moltissime altre specie di animali e di piante. La cieca difesa del profitto ad ogni costo, senza la minima riflessione su quanto sta già avvenendo sotto i nostri occhi.

 Le lobby hanno i loro uomini infiltrati dentro il Parlamento Europeo e nelle varie commissioni. I media non ci informano quasi mai di quanto avviene nelle segrete stanze di Bruxelles. Eppure è proprio lì che si decide il nostro destino e quello dei nostri figli.

 Per questo sottopongo alla vostra massima attenzione la lettura di un ottimo articolo di Luisiana Gaita, pubblicato sul “Il Fatto Alimentare” il 2 maggio del 2023.

 Giovanni Fazio 

 



 Per ora niente limiti alle emissioni che arrivano dalle stalle dei bovini in Europa, come invece chiedeva la Commissione europea.

Sembrerebbe la conferma dello status quo, ma quello appena vinto dalle organizzazioni e dalle aziende del settore zootecnico è solo un round della battaglia in cui si è trasformata la revisione della direttiva sulle emissioni industriali.

La normativa stabilisce quali siano i criteri perché un impianto, allevamenti compresi, debba essere ritenuto altamente inquinante e, quindi, rispettare obblighi e vincoli più stringenti.

Per capire quanto forti siano gli interessi in gioco e quanto sia alta la tensione basta ricordare che, a novembre scorso, il segretario generale di Coldiretti, Vincenzo Gesmundo, è arrivato a dare del “gran cornuto” a Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione Europea, per il testo di revisione presentato un anno fa.

Ad aprile 2022, infatti, Bruxelles ha proposto di includere anche gli allevamenti di bovini tra quelli soggetti alle regole della direttiva.

 

 

Attualmente ricadono nel campo di applicazione della normativa (e devono ottenere specifiche autorizzazioni dalle autorità nazionali) solo gli allevamenti di suini con più di 2mila capi o 750scrofe e quelli di pollame con più di 40mila capi.

 La proposta abbassava dimolto anche queste soglie. A marzo 2023, il Consiglio dei ministri dell’Ambiente ha approvato un testo di compromesso. Pochi giorni fa, poi, l’ultimo atto. 

Gli eurodeputati della Commissione Agricoltura (Comagri) hanno bocciato la principale novità che Bruxelles voleva introdurre, proponendo che i bovini rimanessero esclusi dagli obblighi della direttiva.

Il parere, che confluirà nel rapporto principale dell’Europarlamento affidato al Popolare bulgaro Radan Kanev della commissione Ambiente, è stato approvato con 36 voti a favore, 8 contrari e 2 astenuti. Ma la strada per l’approvazione definitiva è ancora lunga. 


 

La Commissione prova a cambiare lo status quo 

La proposta originaria della Commissione partiva dal fatto che, ad oggi, solo una piccola parte degli allevamenti intensivi devono richiedere permessi specifici, come la Valutazione di impatto ambientale o comunicare le emissioni annuali di gas inquinanti come ammoniaca e metano, ma questi impianti ricoprono solo il 18% delle emissioni di ammoniaca e il 3% di quelle di metano europee.

Da qui la proposta di Bruxelles di applicare una nuova soglia che valesse anche per i bovini e in base alla quale sarebbero stati soggetti agli obblighi che la direttiva prevede per le industrie inquinanti tutti gli allevamenti con almeno 150 Unità di bestiame adulto (Uba):

 significa 150 bovini adulti o 375 vitelli, 500 suini o 300 scrofe e 10mila galline ovaiole. “Secondo le stime della stessa Commissione questa modifica avrebbe permesso di intercettare il 60% delle emissioni di ammoniaca e il 43% di quelle di metano, coinvolgendo il 10% degli allevamenti bovini, il 18% di quelli suini e il 15% di quelli di pollame” spiega a ilfattoquotidiano.it Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia.

Già per arrivare a questo testo, la Commissione (che inizialmente puntava alle 100 unità di bestiame adulto) aveva dovuto superare i veti incrociati delle lobby agricole.


Il testo di compromesso

 A marzo 2023, però, si è abbassata ulteriormente l’asticella. “Il Consiglio dei ministri dell’Ambiente ha approvato, con il voto contrario dell’Italia e del ministro Gilberto Pichetto Fratin – aggiunge Federica Ferrario – la proposta di modifiche della IED, ma con alcune modifiche rispetto al testo della Commissione”. Pur lasciando l’inclusione dei bovini proposta da Bruxelles, i ministri hanno alzato la soglia di unità di bestiame adulto precedentemente stabilita: non più 150, ma 350 unità di bestiame adulto. Significa 350 bovini (stessa soglia per gli allevamenti misti), 875 maiali e 700 scrofe. Per il pollame la soglia è di circa 21.500 galline ovaiole o polli. Questo significa far rientrare meno allevamenti tra quelli considerati altamente inquinanti, eppure le reazioni non si sono fatte attendere.

Di “disastro” ha parlato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, mentre per Copa e Cogeca, le associazioni che rappresentano circa 22 milioni di agricoltori europei “l’approccio a soglia proposto inizialmente dalla Commissione europea è principalmente politico, punitivo e avrà conseguenze impreviste quando sarà applicato alle aziende agricole”. 

 Per il settore la proposta di Bruxelles (anche se annacquata) rischiava di equiparare aziende anche familiari, ponendo le stalle sullo stesso livello degli impianti che estraggono carbone o producono prodotti chimici. 

Di fatto, però, come sottolineato da Greenpeace “per la prima volta i ministri dell’Ambiente europei hanno preso in considerazione non solo il numero di animali allevati, ma anche la loro densità, per distinguere le attività zootecniche intensive da inserire tra gli impianti industriali inquinanti e quelle estensive, che invece rimangono fuori”. Centrando, dunque, il cuore del problema (“troppi animali allevati in aree agricole insufficienti per nutrirli in modo sostenibile”) la proposta, sottolinea la ong, “lascia fuori dalla direttiva i grandi allevamenti con meno di 490 mucche da latte, 1.500 maiali o 13.500 polli”. I ministri dell’Ambiente hanno anche chiesto di prevedere la sola registrazione e non la richiesta di specifici permessi per avviare l’attività. 

 


Il parere della Commissione Agricoltura e le pressioni 

L’ultimo atto pochi giorni fa. La Commissione Agricoltura del Parlamento europeo ha bocciato a larghissima maggioranza la proposta della Commissione Ue di includere gli allevamenti dei bovini. E in molti hanno tirato un sospiro di sollievo. Almeno per ora. D’altronde, le pressioni non sono mancate neppure in questa occasione. 

 In una lettera indirizzata agli eurodeputati, l’Associazione di organizzazioni produttori bovini da carne e carne bovina Italia Zootecnica ha chiesto esplicitamente l’esclusione di questi allevamenti dalla normativa.

E lo ha fatto citando uno studio dell’Università di Sassari nel quale si utilizzano nuove metriche per calcolare le emissioni, proposte da un pool di fisici di Oxford. In pratica, si tiene conto non solo delle emissioni, ma anche della differenza di permanenza in atmosfera: “Il metano dopo 50 anni è praticamente sparito – scrivono – mentre l’anidride carbonica (quella delle industrie, ndr) resta in atmosfera per oltre mille anni”. E così, dopo il voto, diverse le reazioni positive. “Condividiamo pienamente l’obiettivo dell’esecutivo Ue di ridurre i gas serra e l’inquinamento – ha detto Paolo De Castro, relatore per il Gruppo S&D in Comagri – ma gli obblighi di sottomettersi a un regime di autorizzazioni e a implementare pratiche produttive sempre più stringenti derivanti da questa proposta, rischiano di mettere a repentaglio la sostenibilità dei nostri allevamenti, soprattutto quelli di minori dimensioni”. Filiera Italia sostiene che sia un bene “il ritorno allo status quo” e che sia “giusto lasciare fuori i bovini”, ha commentato il consigliere delegato Luigi Scordamaglia. Per il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, la decisione della Commissione Agricoltura “salva un settore cardine del Made in Italy e va incontro alle richieste della Coldiretti, che per prima aveva denunciato l’assurdità scientifica di paragonare le stalle alle fabbriche

 

 


 Il nodo delle sostanze inquinanti. Pochi gli allevamenti monitorati   

 Ma la direttiva monitora e regola l’inquinamento dovuto a diverse sostanze: oltre a metano, anche ossido di azoto, mercurio, anidride carbonica e ammoniaca. 

“L’Agenzia Europea per l’Ambiente stima che l’agricoltura europea sia responsabile del 56% delle emissioni di metano e del 94% di quelle di ammoniaca, in gran parte imputabili alla zootecnia” ribatte Federica Ferrario, ricordando che “le emissioni di ammoniaca e di ossidi di azoto provenienti dagli allevamenti intensivi, concorrono alla formazione del particolato fine (PM) che si stima causi più di 300mila morti premature all’anno in Europa”.

 Ad oggi, però, meno dell’8% delle emissioni italiane di ammoniaca derivanti dalla zootecnia è registrato nell’E-PRTR, il registro europeo emissioni e trasferimenti delle sostanze inquinanti.

Questi allevamenti, tra l’altro, ricevono anche fondi pubblici. Ma sono meno di mille quelli che rientrano nel campo di applicazione della direttiva, su circa 213mila presenti sul territorio nazionale a dicembre 2020.

“La revisione della direttiva non vuole distruggere il settore, ma vuole regolamentarlo dice ancora Federica Ferrario.

Per ora, però, i bovini restano fuori. Mancano, però, diversi step per l’approvazione definitiva: a fine maggio è atteso il voto della Commissione Ambiente del Parlamento Europeo e poi ci sarà quello in plenaria, prima che i negoziati tra Parlamento Ue, governi nazionali e Commissione europea arrivino a un compromesso finale. 

Il mondo che scompare


 

 

 

 

 

mercoledì 3 maggio 2023

Firma anche tu per Assange: salviamo lui e tutta WikiLeaks

 



PETIZIONI ONLINE DEL FATTO

La nuova campagna

 

Peter Gomez,

Marco Travaglio

e Stefania Maurizi

 

Da oggi sulla piattaforma online della comunità del Fatto Quotidiano sarà  possibile firmare una nuova petizione: per liberare Julian Assange, il fondatore di Wi kiL eak s, rinchiuso dal 2019 nel carcere di massima sicurezza  di Belmarsh e in attesa di essere estradato negli Stati Uniti, dove rischia una condanna a 175 anni.

Chiediamo alle istituzioni italiane di rompere il silenzio  e di impegnarsi a tentare di salvare Julian Assange, ma non solo lui. Perché il giorno in cui Assange verrà estradato, a essere colpiti saranno tutti i  giornalisti di WikiLeaks, con la loro rivoluzione, e tutti i giornalisti di ogni parte del mondo. Per questo abbiamo chiesto a Stella Moris, moglie di Julian  e membro del suo team legale, un breve messaggio per rendere ancora più forte la nostra voce.

 

“Vi prego di aiutarmi a salvare mio marito, Julian  Assange. Il feroce attacco contro Julian è un attacco al diritto dell’opinione pubblica di sapere cosa viene fatto nel suo nome e con i soldi delle sue tasse,  ed è una camicia di forza usata contro i giornalisti di tutto il mondo. È un Chiaro e pesante messaggio: la libertà di stampa sarà solo uno slogan vuoto  finché i governi occidentali rimarranno in silenzio e saranno complici della  sua incarcerazione. Se Julian verrà liberato, la portata di queste libertà potrà tornare al livello in cui si trovava un decennio fa. Ma fino a che Julian  rimarrà imprigionato, i giornalisti di ogni parte del mondo rischieranno di  Essere vittime di abusi simili a quelli che lui ha subito, per le loro rivelazioni. 

STELLA ASSANGE”

 

Liberiamo Julian Assange:

le istituzioni italiane rompano

il silenzio

 

Da 13 anni il giornalista australiano Julian Assange, fondatore dell’organizzazione giornalistica WikiLeaks, ha perso la libertà e rischia di  essere estradato nel giro di pochi mesi da Londra negli Usa, dove verrebbe  rinchiuso per sempre in una prigione di massima sicurezza. Il suo unico Crimine è avere svelato la verità.

 

Lui e i suoi colleghi di WikiLeaks hanno  pubblicato documenti segreti del governo americano che hanno permesso di  scoprire crimini di guerra e torture, dall’Afghanistan all’Iraq fino a Guantanamo.

 

Mentre Assange non è più un uomo libero dal 2010, i criminali  che hanno commesso le atrocità denunciate da WikiLeaks si godono le  proprie famiglie indisturbati. Il mondo alla rovescia: i criminali liberi, i  giornalisti che li hanno denunciati in prigione a vita.

 

 Ma questa ingiustizia  abnorme è anche l’indicatore del destino delle democrazie occidentali. Per la  prima volta nella storia degli Usa, un giornalista sarà incarcerato per aver  rivelato informazioni vere e di pubblico interesse.

 

Se la più potente  democrazia del mondo – che garantisce protezione costituzionale alla stampa  – si comporta così, altre democrazie la seguiranno.

 

E non è un caso che  riguarda solo i giornalisti, ma tutti i cittadini, perché abbiamo il diritto di  sapere cosa fanno i nostri governi nel nostro nome e con i nostri soldi.

 

 Per  questo tutte le maggiori organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti  umani e della libertà di stampa, da Amnesty International a Human Rights  Watch a Reporters Sans Frontières, hanno ufficialmente chiesto al presidente  Biden di non estradare Assange e di archiviare il caso contro di lui e la sua  organizzazione.

Si è mossa anche la politica, con gli appelli di centinaia di  parlamentari di Inghilterra, Germania, Brasile e Usa.

Ancora l’11 aprile si sono  attivati i membri del Congresso americano Rashida Tlaib, Alexandria Ocasio-  Cortez, Jamaal Bowman, Cori Bush, Greg Casar, Ilhan Omar e Ayanna  Bressley.

 

Solo le istituzioni italiane tacciono.

 

Mentre si moltiplicano gli appelli  della società civile, l’ingiustizia mostruosa contro un innocente e la  istruzione della libertà di stampa sembrano non riguardare la Repubblica Italiana e i  suoi rappresentanti.

 

 Il messaggio di Stella “Così attaccano l’opinione pubblica e mettono una camicia di forza ai reporter.

 

 Aiutate mio marito  Julian”