Ho
visto la sua foto pubblicata oggi sul Giornale di Vicenza.
Faccia
stanca, barba di tre giorni, i famosi basettoni alla Teddy boy anni ’60
sbiaditi, capelli che virano malinconicamente verso il bianco, mascelle
serrate, come di chi da mesi vive in uno stato di continuo stress, e
soprattutto lo sguardo, due occhi come due fessure che non riescono a
nascondere lo sgomento di questi giorni e, al contempo, indagano
l’interlocutore quasi temendo nuove insidie.
La
vecchia eleganza demodé che caratterizzava la sua figura e lo spirito di
persona che galleggiava nel successo sono svanite per lasciare il posto ad un
uomo ansioso e preoccupato.
E
io la capisco, proprio nel momento in cui un referendum di grande spessore propagandistico
si avvicina per celebrare la potenza e il successo degli ex indipendentisti
veneti una macchia indelebile, idrorepellente e grasso repellente, si allarga
su tre provincie della regione che ella governa.
Si
tratta, come anche lei finalmente ormai sa, della più grande contaminazione
industriale mai avvenuta nelle preziosissime acque del Veneto.
E’
proprio questa macchia la causa ultima delle sue angosce.
Tralasciamo per ora
le altre numerosissime questioni non meno angoscianti come la pedemontana, gli
ospedali, le cementificazioni, i cementifici della bassa padovana, ecc.
Questa
macchia così inopportuna la costringe a smentire quanto riportato temerariamente
dal Giornale di Vicenza in una intervista recentissima in cui le si attribuiva
la dichiarazione:
“La Miteni attuale non risulta colpevole, la contaminazione viene da
precedenti attività".
Lei
afferma:
“La
frase riportata non corrisponde affatto a quanto scritto nella lettera a mia
firma, che recita invece come segue:
"Nel
caso della Miteni non si ha alcuna evidenza, grazie all'assiduo controllo a
cura di Arpav, che l'attuale attività produttiva sia condotta con modalità
contrarie alle norme ambientali; mentre è evidente che le manifeste criticità
siano da ricondurre alla pesante contaminazione del sito su cui opera la ditta
causata da precedenti attività.”
Lei
non dice infatti che la Miteni non sta inquinando ma solo che si sta attenendo
alle modalità prescritte, che è cosa ben diversa.
Ha
fatto bene a precisare, presidente, infatti, coi tempi che corrono e con una
inchiesta giudiziaria in corso, bisogna stare attentissimi con le parole;
gli stessi concetti si
possono esprimere con giri di parole meno rischiosi ma in questo caso xe pèso el tacòn del buso.
La
Miteni a suo tempo dichiarò che la produzione dei vecchi PFAS era stata chiusa
nel 2015 e che da quella data si sarebbero prodotti soltanto perfluorati a
catena corta, tra cui PFBA (Acido
perfluorobutanoico) e PFBS (Acido
perfluorobutansulfonico).
MONTORSO 30 NG/LITRO DI PFBS |
Prodotti
che benignamente la ULSS di Vicenza, senza alcuna documentazione scientifica,
definisce “MENO TOSSICI”.
Se
le cose stanno come afferma la Miteni come mai questi prodotti nuovi si trovano
nell’acqua distribuita da Acque del Chiampo ai comuni di Chiampo, Arzignano,
Montecchio, Brendola e Lonigo?
E’
la stessa società che gestisce gli acquedotti che ne certifica la presenza.
Da dove sono arrivate
queste molecole nell’acqua potabile?
E’
un mistero che ancora una volta Zaia ma anche Nardone, attuale amministratore
della Miteni, dovranno spiegarci.
ARZIGNANO 16 NG/LITRO DI PFBS |
Se
sono presenti nella rete dell’acquedotto (sia pure in quantità non eclatanti) è
segno che sono presenti nelle falde e nei pozzi da cui l’acquedotto attinge
l’acqua.
Ma se nelle falde e nei pozzi si trovano le nuove molecole prodotte
dalla Miteni dal 2015 in poi, è segno che l’attività
inquinante è ancora in atto.
Tra
tanti “misteri” una certezza noi l’abbiamo ed è quella che nessuno dei tre depuratori di Trissino, Arzignano e Montebello è in
grado di trattare e smaltire i PFAS.
Pertanto
queste molecole, corte o lunghe che siano, continuano il loro viaggio verso
nuovi lidi indisturbate.
Se
vengono prodotte MOLECOLE TOSSICHE E INQUINANTI che non possono essere trattate
ed eliminate dalle strutture adibite a proteggere le acque e l’ambiente, la produzione di queste molecole deve
essere sospesa immediatamente.
Molte
sono le autorità civili che hanno la facoltà e il dovere di intimare questo
divieto ma la più importante di queste è proprio quella del Presidente del Consiglio Regionale che,
come sta avvenendo in altre regioni, per esempio nel Lazio, per questioni
ambientali diverse ma non meno importanti, ha
il dovere di impedire che l’attività inquinante della Miteni continui.
Per
cui, con gentilezza le chiediamo, prima che sia il procuratore della Repubblica
a farlo: “Salga sulla nave, casso!”
Giovanni
Fazio
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