La Regione Veneto ha stabilito con un'apposita delibera della giunta un
progetto, che, verrà realizzato in gran parte al San Bortolo di Vicenza, nel
reparto di medicina trasfusionale, a partire dal 18 settembre.
Tale delibera prevede il trattamento (volontario), con la metodica della
PLASMAFERESI, di tutte le persone in cui, dai test dello screening tuttora in
atto, sono emersi valori di Pfoa fra i 100 e 200 nanogrammi.
Si tratta di una iniziativa, mai sperimentata
per il caso specifico, che avrebbe lo scopo di abbassare i livelli di PFAS nel
sangue dei cittadini contaminati dall’inquinamento delle acque causato dalla
nota multinazionale MITENI di Trissino (VI).
In questi giorni molti di coloro che sono stati
ammessi al trattamento si stanno chiedendo se sia il caso o meno di
sottoporvisi, anche perché fino ad ora nessuno si è peritato di spiegare
effettivamente in cosa consista e quali siano i rischi eventualmente connessi
allo stesso.
In particolare le mamme di Lonigo si stanno ponendo questa domanda.
Per questo motivo pensiamo di fare cosa utile dando
alcune spiegazioni sul trattamento stesso, le sue reali indicazioni e le
reazioni avverse fino ad ora riscontratesi.
Che cos’è il plasma: il plasma è la parte
più "liquida" del sangue che contiene proteine, elettroliti, ormoni e
molte altre sostanze.
Cosa è la plasmaferesi: è una procedura
extracorporea mediante la quale il plasma è separato dal sangue intero,
all’interno di una macchina, per essere rimosso e sostituito, oppure per essere
successivamente trattato per la rimozione selettiva di una o più sostanze.
Montecchio Maggiore |
La plasmaferesi si ottiene attraverso la centrifugazione del sangue che si separa in due
componenti: il plasma, appunto e la parte corpuscolata che
contiene prevalentemente cellule (globuli rossi, piastrine, globuli bianchi)
oppure attraverso filtrazione
effettuata da particolari membrane.
Questo secondo metodo è più sicuro e crea meno
problemi tuttavia si tratta di un trattamento molto costoso.
Il plasma sottratto con la plasmaferesi deve
essere sostituito con altre soluzioni.
Soluzioni
di reinfusione:
Nell'aferesi terapeutica, plasmaexchange in
particolare, il controllo dei volumi rimossi è di fondamentale importanza, e
richiede un rimpiazzo quantitativamente e qualitativamente adeguato: albumina e
plasma fresco congelato sono le reinfusioni più utilizzate.
E’ possibile anche, almeno in parte, l'impiego
di frazioni proteiche (gelatine) o di destrani ad alto peso molecolare.
Le soluzioni di albumina (al 4-5% in soluzione
fisiologica o soluzioni poli saline) garantiscono un rischio minimo di reazioni
anafilattiche/allergiche, e l'assenza di trasmissioni virali, ma comportano la
possibilità di una coagulopatia da
deplezione ed una perdita netta di immunoglobuline.
Il plasma
fresco congelato garantisce l'omeostasi proteica e dei fattori della
coagulazione, ma aumenta notevolmente la possibilità di un rischio infettivo di reazioni allergiche: ha quindi indicazione molto ristretta, in
particolare nella terapia di alcune malattie che non possono essere trattate
diversamente.
Esiste anche una tecnica di adsorbimento
selettivo per cui solo alcune sostanze contenute nel plasma vengono eliminate
dalla macchina, ma non ne parliamo perché questa tecnica non è applicabile al
nostro caso.
COMPLICAZIONI
DELLA PROCEDURA DI AFERESI
I problemi riportati con maggiore frequenza in
aferesi terapeutica sono le ipotensioni
da ipovolemia relativa, le parestesie da ipocalcemia indotta da citrato, i
crampi muscolari e l'orticaria.
In
letteratura, la frequenza di complicanze è riportata maggiormente con l'uso di plasma
fresco congelato che di albumina (20 contro 1,4%), e oltre alle ipocalcemie, comprende le infezioni, la trasmissione di
virus e le reazioni allergiche.
Le complicanze più serie, come le reazioni anafilattiche, sono quasi esclusivamente legate all'uso di plasma
fresco congelato o di sue frazioni.
Anomalie
della coagulazione ed aritmie da
ipokaliemia sono state descritte dopo trattamenti in cui è stata usata albumina come reinfusione.
Lo
scambio di un volume plasmatico aumenta il tempo di protrombina all'incirca del 30%,
ma nella maggior parte dei casi, si ritorna ai livelli normali entro 4 ore.
Ipotensione,
dispnea e dolori toracici sono stati osservati come conseguenza di una reazione di bio incompatibilità alla
membrana di tipo complemento-mediata, o di sensibilizzazione all'ossido di
etilene usato come agente sterilizzante.
L'incidenza
globale di mortalità è stata stimata tra lo 0,03 e lo 0,05% delle procedure.
Parte delle informazioni che abbiamo cercato di
riportare in forma comprensibile anche per chi non sia un esperto della materia
sono tratte da uno studio della Società Italiana di Nefrologia:
Coordinatore dott. Giovanni Sparano, Ospedale Cardarelli, Campobasso •
Past Coordinatore: prof. Giorgio Splendiani, Università di Tor Vergata, Roma •
Consiglieri: dott. Ghil Busnach, Ospedale Niguarda Ca Granda, Milano dott.
Luigi Moriconi, Ospedale Santa Chiara, Pisa dott. Massimo Morosetti, Università
Tor Vergata, Roma dott. Gabriele Liuzzo, Ospedale S. Luigi, Catania •
Segretario: dott. Stefano Passalacqua, C.I.Columbus-Università Cattolica, Roma.
Attualmente non
sappiamo se e come, con quali ritmi e con quante sedute la PLASMAFERESI si sarà
in grado di raggiungere risultati accettabili poiché non è stata mai usata per
questo scopo in sperimentazioni ufficiali.
Questo è un motivo
fondato per chiedere che prima di lanciare una campagna al trattamento su vasta
scala si faccia una sperimentazione su un campione più piccolo.
Un altro metodo sperimentato con successo in
Canada e in Australia per abbassare la concentrazione di PFAS nel sangue è la
SALASSO TERAPIA
Questa, infatti, ha dimostrato efficacia quando
eseguita al ritmo di un salasso ogni due mesi in una famiglia canadese con
valori altissimi.
Si arrivò a togliere circa 120 litri di sangue nel
padre nell’arco di 5 anni.
La media di PFHxS e PFOS scese di 6-7 volte, quella
del PFOA di 4.
All'inizio, gli autori avevano proposto anche la
plasmaferesi che fu rifiutata da tutti perché giudicata troppo invasiva. Anche
gli autori la consideravano una seconda scelta per lo stesso motivo e per il
rischio di infondere altri interferenti contenuti nelle flebo e nei tubi del
separatore cellulare (Genuis et al, 2012).
In uno studio australiano del 2011, Lorber et Thompson
hanno confrontato le concentrazioni di varie PFAS nel sangue di soggetti
sottoposti a salassi (qualcuno probabilmente anche a plasmaferesi) per varie
condizioni mediche, confrontandole con le concentrazioni di un gruppo di
controllo.
Gli autori affermano che “in generale, i soggetti nel
gruppo salassi avevano livelli di PFAS del 30-50% inferiori rispetto ad un
gruppo di controllo della popolazione generale”.
Questi studi, seppur limitati ci fanno propendere per
la salasso terapia, effettuabile iscrivendosi al gruppo di donatori di sangue
nell’ULSS di appartenenza.
I vantaggi sono:
1) L’assoluta sicurezza del trattamento
2) Il contributo che tale trattamento
darebbe indirettamente alla banca del sangue
3) La grande economicità.
Si tratta in
ogni caso di trattamenti lunghi, della durata di molti anni e efficaci, forse,
solo entro certi limiti.
Per questo va bandito ogni trionfalismo, come quello
espresso dal Giornale di Vicenza all’annuncio della notizia del trattamento.
Nessuno si faccia propaganda politica sulla sofferenza
dei ragazzi, delle loro madri e delle persone colpite dalla contaminazione,
soprattutto quando ancora chi avrebbe dovuto non ha provveduto a fermare la causa
dell’inquinamento.
Detto ciò
aggiungiamo che ovviamente, qualunque trattamento diventerebbe inutile qualora gli
interessati continuassero ad assumere alimenti o acqua contaminata da PFAS.
Nel 2015, da una ricerca fatta dall’ARPAV nella zona
inquinata da Miteni, sono state trovate partite di alimenti (uova, polli, pesci
di fiume ecc.)
contenenti alte percentuali di PFAS.Non risulta che siano stati censiti i produttori né i luoghi in cui tali reperti sono stati trovati né che ne sia stata vietata la vendita e l’immissione in commercio.
Pertanto, a titolo precauzionale, coloro che già
presentano alti livelli di PFAS nel sangue faranno bene a procurarsi il cibo da
zone di filiera alimentare documentata.
Ci auguriamo che al più presto si provveda
1)
alla
proibizione immediata della produzione di perfluorati,
2)
al bando di strumenti di cottura contenenti
pellicole antiadesive prodotte con molecole florurate,
3)
alle dovute
bonifiche del territorio a spese degli inquinatori,
4)
alla
immediata distribuzione ai cittadini di acqua totalmente priva di perfluorati
anche con autobotti, come è stato fatto negli USA,
5)
alla
progettazione e rapida realizzazione di acquedotti senza inquinanti di alcun
genere,
6)
alla comprensione da parte di tutti che NON
ESISTONO LIMITI DI TOLLERANZA ACCETTABILI PER le sostanze velenose nell’acqua e
negli alimenti poiché tali sostanze non devono far parte della nostra dieta per
nessun motivo, nemmeno in minima quantità.
7)
Alla
punizione severa degli inquinatori e dei loro complici, in qualunque modo tale
complicità sia stata effettuata,
8)
Al
risarcimento del danno da parte di chi lo ha provocato, secondo il principio
“chi inquina paga”.
La vita, la salute e le persone vengono prima del commercio e degli
affari.
Bisogna invertire il paradigma con cui è stata governata da sempre
questa regione e restituire a tutti i cittadini i diritti di cui sono stati
espropriati.
Nel ringraziare quanti si battono da anni contro l’avvelenamento dei
pozzi e contro il torpore colpevole delle autorità mi auguro che queste brevi
note su parziali rimedi di contrasto alla contaminazione da PFAS siano utili a
chi si appresta a sperimentarli sulla propria pelle.
Giovanni Fazio
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