Poco fa sulla soglia della mia cucina ho
scorto una cavalletta.
Un animale bellissimo di un colore verde luminoso.
Giaceva su un fianco immobile. Era morta, come tanti insetti che non si vedono
più.
Ho alzato lo sguardo verso il cielo.
Oggi è una giornata confortata da una fresca brezza che fa ondeggiare la cima
color ruggine del pruno nel prato del mio vicino. Il cielo è trasparente, di un
azzurro pulito, come raramente si riesce a vedere nei giorni di estate. Cumuli
bianchissimi si innalzano verso occidente.
Nell’ immenso spazio che si spalanca verso
Calvarina e più in là verso le Piccole Dolomiti, si avverte una strana
sensazione di vuoto, una mancanza che non sai cosa sia, uno sgomento che ti
cresce dentro e di cui non percepisci l’origine, una inquietudine silenziosa,
una assenza di cui non avverti la causa. Pian piano comici a capirne la
ragione.
Non una rondine solca quell’oceano
azzurro. Quel cielo che fino a qualche anno fa pullulava di uccelli è morto;
avvelenato come la terra e l’acqua. Non si sentono più i garriti che riempivano
l’aria.
Più in là, sulle colline che si
innalzano da Montorso, qualcuno, bardato con guanti, casco, occhiali e un
mantello di plastica guida un piccolo trattore lungo i filari delle viti, senti
il compressore che martella spargendo bianchi aerosol di veleni.
Lungo le tracce del suo passaggio
troverai tra qualche ora piccoli uccelli morti, qualche talpa, animaletti fermi
in mezzo alle zolle sulle quali ha cessato di crescere un’erba color arancione.
La cosa più sconvolgente è che nessuno,
nel lucido schermo dello smartphone nel quale si riflette costantemente
l’immagine di una umanità distratta, ha percepito la morte della natura. I suoi
gemiti non raggiungono l’orecchio delle persone, troppo prese dal chiacchierio
delle chat.
Nessuno
più guarda il cielo. Nessuno si è accorto che la primavera non porta più le
rondini. E, la stessa primavera, dov’è? Segna solo l’inizio della stagione in
cui si deve fuggire dalla campagna.
Un tempo, da ragazzo, in Sicilia, vedevo
i contadini seminare la vita nei solchi scavati con le zappe e con l’aratro a
chiodo trainato da un mulo. Una fatica millenaria che affidava alla terra una attesa
di messi dorate. Adesso quei contadini non ci sono più.
Partirono, giovani pieni di sconforto, coraggio e la speranza di una nuova vita più umana e più giusta verso le fabbriche del Nord, accolti, per necessità, da genti ostili.
Lasciarono nel paese le loro donne, i
vecchi e i bambini a rincorrersi nei carruggi, inseguendo una palla di pezza.
Trovarono tra ingranaggi, frese, torni odorosi di petrolio quel pane che la
loro fatica stentava a guadagnare in una terra avara, dominata da feudatari
anacronistici sopravvissuti al medioevo.
Ora anche quel lavoro sta agonizzando, tradito da chi avrebbe dovuto proteggerlo, dall’avidità di gente sempre più dimentica delle proprie radici.
Dove sono finite le serate d’estate
sull’aia, le fisarmoniche che riempivano improvvisamente la sera di cascate di
note come fuochi d’artificio, gli orchi e le anguane e i filò nelle stalle
scaldate dal doppio fiato delle mucche?
Migrazioni si appalesano per figli e
nipoti, inutilmente arricchitisi di saperi che chi governa una economia malata e disumanizzata non sa utilizzare.
La terra, la madre, fu profanata.
Tonnellate di rifiuti velenosi giacciono nelle sue viscere. La terra muore
lentamente nella quotidiana distrazione di una assuefazione al peggio.
Ora anche gli uomini cominciano a morire, come muoiono le api che non vengono più a succhiare il polline nei fiori del mio piccolo giardino.
La loro malattia viene vissuta come un
fatto privato, una sventura personale, qualcosa che non accadrà mai a me o alla
mia famiglia. Ma è veramente così?
“Tre casi di linfoma non Hodgkin, un mieloma, due tumori
intestinali e un tumore al cervello. Tre ricoveri in ospedale per vertigini e
perdita di conoscenza. Tutto nel raggio di 100 metri.
Siamo in via Borgovilla, a Cappella Maggiore, uno dei 15 comuni
dell’alto Trevigiano che fanno parte dell’area della denominazione Prosecco
Docg.
A farla da padrone qui è il vitigno Glera, da cui si ottiene
l’uva bianca Prosecco.
Una zona ricoperta da vigneti, e, da maggio a settembre, avvolta da nuvole di pesticidi.
Una zona ricoperta da vigneti, e, da maggio a settembre, avvolta da nuvole di pesticidi.
I cittadini sono spaventati e puntano il dito proprio contro
l’uso dei fitofarmaci:
"I linfomi non sono contagiosi: come possono esserci tanti casi di malattia e di ricoveri in una sola strada? Sono davvero una coincidenza?".
"I linfomi non sono contagiosi: come possono esserci tanti casi di malattia e di ricoveri in una sola strada? Sono davvero una coincidenza?".
A raccontarci la storia di una via di campagna dove "non si
respira più" è la famiglia G****.
La figlia Al***, 35 anni, due bimbe piccole, sta lottando contro il linfoma non Hodgkin. La stessa malattia che si è portata via un vicino e che ha colpito la signora R****, che vive a pochi metri da Al***. La madre della ragazza è finita al Pronto Soccorso. Lo stesso è accaduto ad altri due vicini di casa. Al marito di V***, è stato invece riscontrato un enfisema polmonare.”
La figlia Al***, 35 anni, due bimbe piccole, sta lottando contro il linfoma non Hodgkin. La stessa malattia che si è portata via un vicino e che ha colpito la signora R****, che vive a pochi metri da Al***. La madre della ragazza è finita al Pronto Soccorso. Lo stesso è accaduto ad altri due vicini di casa. Al marito di V***, è stato invece riscontrato un enfisema polmonare.”
Palazzo ferro fini Venezia sede della Regione |
Non stiamo parlando di una maledizione
divina né di una catastrofe naturale.
Il male che colpisce ignari cittadini è umano, governato dall’alto, da uomini indegni di rappresentare una popolazione che ha loro consegnato incautamente le leve del comando, uomini cinici che proteggono e garantiscono gli avvelenatori, siano questi una multinazionale che scarica i suoi rifiuti nelle vene della terra o imprenditori che hanno scoperto nuove miniere d’oro in un vino sempre più contaminato da una chimica che divora la terra e gli uomini.
Come potete dormire sonni tranquilli la
notte? Non sentite il pianto dei bambini accanto all’agonia delle madri? Come
fate a guardarvi allo specchio al mattino e raccontare in giro, in interviste
servili verso altri poteri molto più grandi di voi, che non ci sono prove certe sulla pericolosità dei PFAS?
State forse aspettando che venga anche a voi un cancro ai
testicoli o al rene per convincervi, nelle nebbie dell’Alzheimer collettivo che
avanza, che questa acqua che fate bere alla gente e che questo cibo che immettete
nei mercati portano sofferenza e morte nelle case?
Quando vi riunite nelle vostre lugubri
cene che irridono, di fatto, alla sofferenza altrui, mangiate forse spaghetti
alle vongole della laguna e crostacei dell’Adriatico?
Avete mai pensato ai bambini?
Sapete che i tumori colpiscono l’infanzia in età sempre più
precoce?
C’è una voragine che ci separa da questi uomini di potere, piccoli, mediocri e arroganti:
è la nostra consapevolezza di essere parte di un intero universo.
Noi sappiamo di essere la terra ferita e i mari agonizzanti tra plastiche e metalli pesanti che scendono a valle trasportati da fiumi trasformati in fogne.
Noi sappiamo di essere il cielo e la speranza che le rondini ritornino in un mondo liberato da una immondizia che è, prima di tutto, morale.
Giovanni Fazio
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