I Pfas continuano ad inquinare le acque del
Veneto e per questo bisogna contenere questa emergenza ambientale.
Sono
le premesse della relazione approvata
all’unanimità dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei
rifiuti e su illeciti ambientali, in merito al ciclo dei prodotti dai Pfas.
La novità principale della relazione adottata
dalla Commissione sta nel considerare tali
sostanze come “appartenenti alla classe dei composti organici alogenati con la
conseguenza che rientrano nell’elenco delle sostanze pericolose”, come
previsto dal DL 3 aprile 2006 numero 152.
In
base a questa considerazione, la Regione
Veneto può intervenire per richiedere di mettere a norma gli scarichi dove
risiedono le sostanze considerate come inquinanti e pericolose.
Al
contrario di quanto avrebbe dichiarato in un’audizione l’assessore regionale
all’Ambiente, Gianpaolo Bottacin,
sentito il 10 maggio del 2016.
Un secondo snodo fondamentale, ricostruito
dall’attività di indagine della Commissione, è “la certificazione che quasi il 97% dell’apporto totale di Pfas
scaricati nel bacino idrico Fratta-Gorzone, nel vicentino, sia riconducibile
alla Miteni”, società chimica di Trissino, al centro dell’attenzione
giudiziaria sul caso Pfas.
Ne
consegue, secondo il documento approvato dalla Commissione, “che l’inquinamento è ancora in atto e che le
misure poste in essere per il suo contenimento non siano state completamente
efficaci”.
Nelle stesse ore è stato dato il via libera
dal Consiglio regionale
“Mentre
a Roma verrà chiesto di inserire la relazione nei due rami del Parlamento per
una discussione”, ha assicurato il presidente della Commissione Ecomafie,
Alessandro Bratti.
Nelle ultime settimane c’è stato un rimpallo di responsabilità, denunciato
dalle opposizioni e organi di stampa,
tra il presidente della Regione, Luca Zaia, che sarebbe stato tenuto
all’oscuro di una relazione dell’Arpav dai
suoi assessori, che a loro volta avrebbero rinviato la palla ai dirigenti
del settore sanitario veneto: in particolare al direttore dell’area sanità e
sociale, Domenico Mantoan.
Il
deputato del M5S, Alberto Zolezzi,
ha presentato delle interpellanze parlamentari per chiedere lumi sulla presunta
plasmaferesi (una sorta di pulizia del
sangue), fatta da Mantoan in un ciclo di cinque sedute dal costo di 3.000 euro.
“Se ciò fosse vero – spiega Zolezzi – perché
non dirlo ed estendere questa procedura ai numerosi cittadini del Veneto
contaminati?”
Un’altra criticità emersa dalla relazione
riguarda i 13 lavoratori della Miteni, di
cui non si conoscono ancora le esatte condizioni cliniche.
[tratto
da Observatory Foundation for the Culture of Security, 8 febbraio 2017]
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