Nel Veneto nessuno è in grado di sapere cosa sta mangiando.
Tonnellate di prodotti agroalimentari arrivano
quotidianamente ai mercati dalle zone inquinate. Ogni giorno noi e i nostri
bambini siamo esposti ai PFAS.
Nessuno controlla.
Il nuovo "Piano regionale di sorveglianza PFA" non è sufficiente.
Non è la soluzione del problema se non è urgentemente accompagnato da un piano di prevenzione e di bonifica generale, tale da proteggere la salute e la vita dei cittadini.
Sono passati dieci anni dalla scoperta dell’inquinamento
di mezzo Veneto, provocato da Miteni. Centinaia di migliaia di cittadini
contaminati in tutto il territorio e non solo nella “zona rossa”.
In questo post tutto quello che
i cittadini debbono sapere.
Malgrado l'incompletezza dei dati, una cosa certa è emersa da questi monioitoraggi:
i cibi sono fortemente contaminati da PFAS in una vastissima parte del territorio. Sono contaminati gli animali, le piante e i derivati, uova, latte latticini ecc.
Lo stallo della prevenzione che ne deriva lascia indifesi ed esposti alla contaminazione i cittadini del Veneto.
Incredibili divieti di accesso ai laboratori di analisi
per la ricerca dei pfas nel sangue, mancanza
di indagini epidemiologiche, mancata formazione degli operatori sanitari, mancata demarcazione e blindatura delle aree
inquinate per evitare la diffusione della contaminazione, mancata bonifica di
Miteni, dei fiumi e il vano tentativo di liberarsi dei PFAS bruciandoli, sono
l’espressione di una assoluta mancanza di strategia e del tentativo di mettere in
sordina il più grande evento contaminante che si sia mai registrato nella
storia del Veneto.
René Truhaut, tossicologo francese (1909/1994), per molti anni direttore del laboratorio di
tossicologia della facoltà di farmacia dell’università di Parigi, è l’inventore
del metodo per definire la DGA (Dose ammissibile giornaliera) per
le sostanze tossiche presenti nei cibi e nelle bevande.
A
causa della sua grande notorietà di scienziato, il metodo da lui creato è stato
adottato pedissequamente dai laboratori di tutto il mondo anche se tale metodo
non è costruito su basi scientifiche ed è traballante anche dal punto d vista
del conflitto di interesse. Lo steso autore, dichiara pubblicamente che il
suo metodo non è stato mai pubblicato sulle riviste scientifiche.
Esso ha, di fatto, permesso l’ingresso legalizzato di agenti tossici negli alimenti, negli ambienti di lavoro e negli ambienti
biologici dei soggetti esposti.
La
richiesta di un metodo per misurare l’effetto di additivi chimici negli
alimenti proveniva dall’industria alimentare, per cui nel 1956, fu istituito da
FAO e OMS un comitato di esperti sugli additivi alimentari
(JEFCA).
Nel 1961, malgrado i limiti del metodo proposto da Truhaut, il JEFCA lo adottò ufficialmente
nella sua sesta sessione.
In che consiste il metodo Truhaut
Tecnicamente la dose giornaliera ammissibile di un additivo alimentare viene proposta dal produttore in base ad esperimenti eseguiti su animali, e verificata da un ufficio di controllo. Con la somministrazione di cibo a roditori viene anzitutto appurato il grado massimo di tossicità. Quest'ultimo viene misurato tenendo conto della quantità di sostanza che provoca la morte del 50% delle cavie. Tale dose è chiamata DL (dose letale al 50%).
Si tratta
di un metodo empirico che considera il metabolismo umano uguale a quello delle
cavie ma non è dimostrato che ciò sia vero per tutte le sostanze. Inoltre non
sono considerati i danni epigenetici, cioè quelli che si scoprono nei figli di
coloro che hanno mangiato i cibi contaminati.
Infine, non è scientificamente vero che gli effetti tossici dipendono dalla quantità ingerita, anzi, a volte, si hanno effetti inversi, soprattutto per tossici di piccolissime dimensioni.
Questi e
altri sono i motivi per cui il metodo di
René Truhaut non fu mai pubblicato nelle riviste scientifiche.
“ILSI è una federazione globale senza scopo di lucro impegnata a migliorare la salute pubblica e planetaria riunendo esperti internazionali del mondo accademico, del settore pubblico, del settore privato e di altre ONG per promuovere la ricerca scientifica basata sull’evidenza. Scopri di più sulla nostra missione, visione e principi operativi .Scienza collaborativa per alimenti sicuri, nutrienti e sostenibili.
ILSI
opera nel quadro dei più alti principi di integrità scientifica . I nostri
professionisti e volontari di fiducia in tutto il mondo lavorano in sinergia e
trasparenza in tutti i settori e le discipline”.
Questo è quello che si legge nel sito della ONG.
L’ILSI è da tempo promotore e sostenitore della
dose giornaliera ammissibile.
Fondata a Washington nel 1978 da grandi aziende del ramo agroalimentare
(Coca Cola, Heinz, Kraft, General Foods, Procter e Gamble cui si sono unite
successivamente altre aziende del settore agroalimentare (Danone, Mars,
McDonalds, Kellog’s, Ajimoto, il principale produttore di Aspartame), così come
aziende del mercato dei pesticidi (Monsanto, Dow, AgroSciences, DuPont, Nemours
, Basf) e del settore dei farmaci (Pfizer, Novartis).
Ad
eccezione del settore farmaceutico, tutte queste aziende hanno prosperato
grazie all’avvento della cosiddetta “Rivoluzione Verde Agroalimentare”: producono o
utilizzano sostanze chimiche che contaminano i nostri alimenti.
L’ILSI , fino al 2006, godeva di uno statuto speciale in seno alla OMS, poiché i suoi rappresentanti potevano partecipare direttamente ai gruppi di lavoro creati per stabilire le norme sanitarie internazionali.
L’agenzia delle Nazioni Unite
ha poi abrogato tale privilegio quando è chiaramente emerso il lavoro di
lobbying di questo organismo che, sotto il manto di una pseudo
indipendenza, promuoveva gli interessi dei suoi membri.
PRIMO
MOTIVO PER NON USARE LA TWI
Considerando
quanto detto sopra, il carattere empiristico, approssimativo e non scientifico
di questa misura, utile solo alle grandi lobby della trasformazione e della
produzione alimentare, riteniamo non utilizzabile questo metodo per una
corretta definizione della edibilità di una sostanza chimica.
La Persistenza.
Detto questo, un secondo motivo per cui non è
scientifico utilizzare la DGA o la dose settimanale (TWI) è
dovuto al fatto che i PFAS sono molecole persistenti, cioè sostanze
pressoché indistruttibili che rimangono e si accumulano nei nostri organismi
per anni prima di esserne espulse.
Per esempio, il PFOS ha
un tempo di dimezzamento di 5 anni. Pretendere di stabilire una dose innocua, sia
pure minima, per i PFAS significa ignorare questo precipuo aspetto
delle molecole perfluoroalchiliche e ciò non fa onore all’EFSA (Autorità Europea per la Salute Alimentare)
UN
TERZO MOTIVO PER NON USARE LA TWI:
migliaia
di molecole perfluoroalchiliche
Un terzo motivo per cui non ha senso usare la TWI per determinare la dose minima di PFAS negli alimenti è che di tutte le molecole PFAS, diverse migliaia fino ad ora prodotte dall’industria chimica, solo una ventina sono state studiate e di sole 4 è stato calcolato il TWI.
Un po’ pochino per molecole molto tossiche, scoperte nel Veneto da più di dieci anni. Procedendo di
questo passo, forse nel 2100 arriveremmo ad una mappatura delle migliaia di
molecole esistenti; nel frattempo … Di
tutte le altre migliaia non si sa niente, e soprattutto quali e in quale
quantità siano presenti negli alimenti.
In realtà non esistono dosi innocue di PFAS: sono molecole molto tossiche, insidiose e resistenti capaci di determinare danni notevoli già nella misura di pochi nanogrammi (miliardesimi di grammo).
Infine,
lo IARC (International Agency for Research on Cancer) ha recentemente
classificato il PFOA “cancerogeno
di gruppo 1” “cancerogeno certo per l'uomo”.
L’ EFSA con il suo TWI, non c’è ancora arrivata e continua a centellinarne dosi accettabili nei cibi. Pensiamo che anche per lei sia venuta l’ora di voltare pagina. (Tra l'altro non ha ancora provveduto a rimuoverne la dose accettabile, malgrado ormai sia accertato che il PFOA è cancerogeno).
Partiamo dal fatto che attualmente la casa brucia e che l’incendio dura da dieci anni senza che nessuno si sia preso la briga di spegnerlo.
Anche un bambino è in grado di comprendere, che prima di attivare continui studi su come determinare la natura e l’uso di materiali ignifughi con cui si debbano costruire le case è necessario chiamare i pompieri e spegnere l’incendio.
Il Dipartimento di Prevenzione Regionale è in grado di spiegarci questo comportamento o dobbiamo ancora ascoltare la motivazione secondo cui “ancora non sappiamo se i PFAS siano causa diretta di malattia” ripetuta come un mantra, per anni, dai responsabili regionali della prevenzione e, a scendere, dalle ULSS del Veneto?
Da anni sono noti molti dei meccanismi con cui agiscono i PFAS
nel nostro organismo. Essi sono in grado di
generare, autonomamente moltissime malattie e tumori, a
prescindere dalle errate abitudini di vita citate sempre dai responsabili
regionali della prevenzione.
Dobbiamo anche sentirci dire che, se non sappiamo quali
PFAS e in quale quantità sono presenti negli alimenti, non siamo in grado di
verificare il rischio per i cittadini del Veneto che li mangeranno?
A noi ciò sembra un’ottima ragione per escluderli tutti. Continueremo
a comprare e mangiare mele marce fin quando chi di dovere non ci fornirà la
misura secondo la quale una mela si possa definire tale e anche marcia?
Quante donne in gravidanza e quanti bambini sono stati contaminati dai PFAS in tutto il Veneto, e non solo nella cosiddetta Zone Rossa?
Gli alimenti, come del resto i rifiuti dei depuratori,
viaggiano tranquillamente, direi scorrazzano, per il Veneto grazie alle
magnifiche leggi che regolano il libero mercato?
Non lo
sapremo mai, grazie anche al divieto di usare i laboratori di analisi,
per controllare il nostro sangue, imposto da chi legifera in merito nella
nostra regione.
Quanti sono i morti per ictus, infarto, tumori e altro provocati dalla presenza di queste molecole nel sangue dei residenti in Veneto? Non lo sapremo mai perché le indagini epidemiologiche proposte non sono mai state effettuate: chissà perché.
Cominciamo dall’acqua potabile e dal limite massimo di
PFAS fissato dalla Commissione Europea e dalla Regione Veneto che lo recepisce ( Dlgs
18/2023 ) è di 100 nanogrammi di PFAS totali per litro.
Useremo la TWI poiché è questo il parametro usato dai legislatori.
Tale limite confligge con quello previsto dall’EFSA (Autorità Europea per la
Salute Alimentare) che fissa la TWI
quantità settimanale di PFAS che si possono assumere senza rischio a 4.4
nanogrammi per KG di peso corporeo.
Secondo la TWI otterremo una dose limite giornaliera di 6,2 nanogrammi al dì.
Tenendo presente che un litro d’acqua può contenere per legge ng.100 di PFAS per litro, per rimanere dentro i limiti previsti dall’EFSA il bambino potrà bere in un giorno non più di 62.8 grammi di acqua.
È
evidente che l’errore consiste nel fatto di pensare che negli acquedotti di
tutta Europa possano scorrere, assieme all’acqua, PFAS fino a100
nanogrammi /litro.
l'acqua della salute |
Quale laboratorio scientifico o quale università ha fornito tale dose a Ursula Von der Leyen? Non è dato saperlo ma è probabile che la dose sia stata suggerita dalle lobby della chimica.
LA
RACCOMANDAZIONE UE DEL 24 AGOSTO 2022
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32022H1431&from=EN
Il 24 agosto del 2022 viene infatti spedita a tutti gli stati
membri la raccomandazione (UE) 2022/1431 della Commissione Europea
relativa al monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche negli alimenti. Il
documento raccomanda di eseguire il monitoraggio relativo ad una ventina di
molecole PFAS e i loro sali. Ovviamente esorta i paesi membri che ne
fossero sprovvisti ad allestire rapidamente laboratori di massima precisione.
Tra le altre disposizioni gli Stati membri dovrebbero
fornire all’Autorità i dati di monitoraggio su base regolare, unitamente
alle informazioni e nel formato elettronico di comunicazione stabilito
dall’Autorità, ai fini della compilazione in un’unica banca dati.
Gli
Stati membri dovrebbero:
a) trasmettere i dati provenienti da regioni notoriamente
ad elevato inquinamento ambientale come campioni sospetti, in particolare in
relazione a pesce, selvaggina, pollame allevato all’aperto, frutta e ortaggi
coltivati all’aperto;
b) specificare il tipo di produzione, in particolare per
i prodotti di origine animale (animali selvatici, raccolti o cacciati rispetto
alla produzione non biologica o biologica; produzione all’aperto rispetto ai
metodi di produzione al chiuso) e funghi (selvatici o raccolti rispetto a
coltivati);
c) per le carni e le frattaglie di selvaggina indicare,
ove possibile, l’età degli animali;
Nulla di tutto ciò è stato fatto.
7
DICEMBRE 2022
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32022R2388&from=EN
A tal
uopo sono state realizzate delle tabelle, di seguito pubblicate, nelle
quali sono espressi i valori massimi di
pfas consentiti negli alimenti.
Riportiamo qui le tabelle pubblicate in Gazzetta “ L 316/40 IT Gazzetta
ufficiale dell’Unione europea 8.12.2022”
In tale regolamento sono espressi i tenori massimi in µ/kg
di peso fresco edibile relativamente
alla somma dei 4 PFAS presenti.
Notare che nelle nuove tabelle il peso dei PFAS è indicato in µ
(microgrammi), misura 1000 volte superiore al ng (nanogrammo) normalmente
usato.
La Direttiva fissa il limite massimo ammesso nei cibi (tenore) per
sole 4 molecole tra le migliaia che
possono essere presenti negli alimenti. E
autorizza limiti altissimi per alcuni di essi che esulano dalla precedente
raccomandazione della TWI.
Riportiamo le tabelle
originali:
Un uovo , secondo questa tabella può contenere 130 ng di PFAS. Se torniamo al nostro bambino di 10 kg, ci domandiamo in quante parti si dovrà suddividere quest’uovo perché rientri nella TWI del bambino che è di 6.2 nanogrammi di PFAS al giorno?
Come mai, tutti questi scienziati non capiscono che un uovo con 130 ng di PFAS al suo interno non è assolutamente innocuo? Un Uovo! Ma non si vive di sole uova.
Qualcuno si chiederà come mai i grandi scienziati al
servizio di Ursula, da un lato, fissano un limite massimo di assunzione
giornaliera di pfas in ng 4,4 per kg di
peso corporeo e, contemporaneamente autorizzano tenori massimi per alimenti
che superano anche di migliaia di volte, in certi casi, la TWI.
Infatti, secondo
la TWI, un adulto del peso di 70 kg non potrebbe superare, al giorno,
l’assunzione di una dose di PFAS maggiore di 44 ng (nemmeno un litro di
acqua).
Se poi
volesse assaggiare una aringa del Baltico da 150 grammi il suo organismo
potrebbe incassare, in un colpo solo, 1605 nanogrammi di PFAS.
Se,
infine il nostro ipotetico uomo di 70 kg desiderasse mangiare 150 grammi di
anguilla, arricchirebbe il suo
patrimonio di PFAS di 7875 ng in un solo colpo.
Tuttavia,
ci chiediamo come possano fare i cittadini del Veneto ad adeguarsi ai suddetti
valori se non sono segnalati sulla merce in vendita? Come effettuare le
TWI dei cibi se non si sa quanti PFAS ci sono nel nostro pane quotidiano?
Questo aspetto misterioso riguarda una questione ormai fantascientifica per cui
dalla Regione vengono emanate disposizioni in merito, alle ULSS affinché si
adeguino per quanto riguarda le nuove misure.
Nota bene che le
misure aggiornate sono in vigore già dal gennaio del 2023. C’è qualcuno
che se ne sia accorto?
Dal primo gennaio 2023 gli allevatori o i
pescatori devono, quindi, implementare
il loro “Piano di autocontrollo” provvedendo ad effettuare le analisi dei
prodotti indicati.
Non
sappiamo quanti allevatori o pescatori abbiano ottemperato alle esecuzioni
delle suddette analisi. Non sappiamo in quali laboratori le avrebbero
effettuate né se esse corrispondano nei limiti alle indicazioni europee. Non
sappiamo come abbiano fatto i cittadini del Veneto ad adeguarsi alla TWI, come
da regolamento europeo, se non sono venuti a conoscenza della quantità di PFAS,
espressa in nanogrammi, o, se volete in microgrammi, presente negli alimenti
esposti nei banconi dei mercati.
Bisognerebbe chiedere ai signori direttori destinatari della lettera se si tratta di uno scherzo o se veramente tutti questi produttori abbiano effettuato ed effettuano, di volta in volta gli esami previsti e ne inseriscono i dati nel loro “Piano di Autocontrollo”. Interessante inoltre sapere quanti controlli ufficiali, come previsto nella lettera, siano stati fino ad ora effettuati. Non mancheremo di inviare una richiesta di informazioni dettagliate.
Continuando
a seguire il bandolo di questa incredibile storia vediamo che la Regione tira
fuori l’asso che aveva conservato da tempo nella manica e lancia il
PIANO REGIONALE DI SORVEGLIANZA DI PFAS NEI PRODOTTI AGROALIMENTARI DELLE ZONE ROSSA E ARANCIONE: ALIMETI VEGETALI.
Istituto
superiore di Sanità, Istituto zooprofilattico Sperimentale delle Venezie,
Regione del Veneto.
Una vera corazzata lanciata contro tutti i denigrator storici dell’inefficienza della prevenzione alimentare in Veneto.
Dopo una cronistoria degli studi effettuati
sugli alimenti, che ciascuno può andarsi a leggere nel DGR n. 1676 del 29 dicembre 2023, 5. https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/pubblica/DettaglioDgr.aspx?id=520082
Si elencano i risultati delle indagini fino ad ora condotte, in
partenza, solo su PFOS e PFOA. Viene detto che esistono sicuri elementi per
considerare reale la trasmissione dei due PFAS esaminati dai prodotti
agroalimentari all’uomo. In questa prima
indagine furono ricercate solo due molecole PFOS e PFOA quindi mancano i dati
degli altri perfluoro contaminanti. Tuttavia il documento della Regione,
aggiornato al 2019 sottolinea che
“L'esposizione media cumulativa a PFOA e PFOS nelle aree non
soggette alla contaminazione è pari a 1,6
volte il TWI
per gli adulti e 1,7
volte il TWI
per i bambini.
Nei territori soggetti alla contaminazione, oggi tali valori sono stimati essere pari a 2,0 e 2,1 volte il TWI per i soggetti residenti nella zona a maggiore impatto
che consumano alimenti
locali, e aumenta a 3,8 e 5,8 volte il TWI per i residenti che in aggiunta si servono
dell'acqua dei pozzi privati a scopo potabile.”
I dati raccolti dal ISS nel 2019 confermano
pertanto l’aumento della presenza dei PFAS dovuto all’alimentazione del
doppio e del triplo dei valori soglia.
Il documento regionale aggiunge:
“Va sottolineato
che ogni stima è affetta da incertezze e l'analisi delle incertezze
è parte integrante di una corretta e trasparente valutazione del rischio. In
proposito, corre l'obbligo di evidenziare che
gli elevati livelli espositivi e di rischio
descritti sono raggiunti
senza il contributo di PFNA e PFHxS.
E aggiunge: “Per
entrambe le molecole i risultati dello studio evidenziano l'opportunità di una
valutazione più dettagliata del contributo degli alimenti prodotti in loco
all'esposizione complessiva della popolazione. Questa appare particolarmente
importante per alimenti come le uova e i prodotti carnei.”
Malgrado, fin dal 2019
l’ISS ritenesse “particolarmente importante
la ricerca dei PFAS nelle uova e
nei prodotti carnei”, l’attuale Piano di sorveglianza di PFAS viene
effettuato solamente sui vegetali. Sono
previsti almeno 24 mesi per portarlo a termine. Quindi si saprà qualcosa solo
nel 2027 ma, per completare l’opera, ci vorrà un nuovo piano per esaminare
anche “uova e prodotti carnei” raccomandati dall’ISS fin dal 2019.
Il piano di
monitoraggio è ben strutturato sono definiti i compiti di ciascun attore, le
misure dei terreni da monitorare, dei campioni da analizzare ecc. È previsto un
formidabile data base dove ogni elemento sarà trascritto.
Tuttavia non c’è
scritto cosa accadrà se durante il monitoraggio, o dopo, se si dovessero trovare
patate o radicchi contenenti quantità di PFAS eccedenti la TWI o le misure
previste dal nuovo regolamento europeo. Che fine farebbero le patate e il
radicchio iper contaminati? Sarebbero comunque avviate al mercato o inviate ad
apposite discariche speciali
(particolarmente costose) per lo smaltimento? Lo stesso vale per i mangimi
che, se trovati con notevoli quantità di pfas dovrebbero essere inviati,
anziché ai pollai o alle stalle a specifiche discariche.
Di ciò che avverrà, in
seguito alla mega indagine conoscitiva i documenti regionali non parlano e, per
la verità nemmeno quelli europei.
Sono passati dieci anni
da quando Sara Valsecchi e Stefano Polesello, operatori del CNR scopersero i
PFAS nella provincia di Vicenza.
Giovanni Fazio
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