Mentre Meloni urla che vuole “un presidente del Consiglio eletto direttamente dai cittadini”, frase demagogica che, dietro le apparenze di un popolo che sceglie da sé i suoi rappresentanti, propone in realtà l’istituzione di un nuovo sistema TOTALITARIO.
Infatti, collegando a tale scelta una legge elettorale con un premio
maggioritario del 55 per cento alla
lista del presidente, il dibattito
parlamentare diventerebbe una pura formalità .
Lo capisce anche un bambino e, soprattutto, ne sono coscienti tutti
coloro che fino ad ora non sono andati a votare, rifiutando la farsa di
leggi elettorali anti democratiche e anti costituzionali come quella definita,
senza pudore, “legge porcata” dallo stesso relatore Calderoli.
Ricordiamo l’umiliante
episodio di un Parlamento che votò le dichiarazioni di Berlusconi secondo cui una
prostituta minorenne marocchina sarebbe stata la nipote del presidente egiziano
Moubarak. Un Palamento Prono e senza dignità che sghignazza sulla faccia dei
cittadini onesti e disgustati.
Siamo giunti a questa totale ininfluenza delle indicazioni dei
cittadini alla elezione del Parlamento e del Senato dopo il referendum tenutosi nel 1991 che aveva modificato la legge, consentendo
un solo voto di preferenza.
Questa modifica fu applicata unicamente durante le elezioni politiche del 1992, in quanto nel 1993 venne varata una nuova
legge elettorale, la legge Mattarela, che introduceva un sistema misto
maggioritario-proporzionale con liste bloccate, eliminando
quindi completamente il voto di preferenza.
Da allora in poi la preferenza fu cancellata da tutte le leggi elettorali che seguirono.
Anche la
successiva legge elettorale entrata in vigore nel 2005, la legge Calderoli, ha mantenuto il sistema delle liste bloccate.
Nel novembre del 2017 nella legge Rosato (PD)
non è prevista l'espressione di voti di preferenza, cosicché nei collegi
plurinominali, una volta determinato il numero degli eletti che spettano a
ciascuna lista, i candidati vengono nominati secondo l'ordine fissato dal
partito al momento della presentazione della lista stessa.
L’accorpamento delle coalizioni e i doppi turni,
previsti nelle attuali leggi elettorali, allontanano ancor di più la volontà dei
singoli cittadini dai risultati elettorali, che esprimono solo minoranze
auto referenziali che si aprono la strada verso il potere attraverso premi
di maggioranza.
Non entro nel merito dei grandi dibattiti che
seguirono l’esclusione del voto di preferenza, che comunque era molto comoda a
chi deteneva le redini dei partiti, qualunque essi fossero. Faccio inoltre notare
che il voto di preferenza è invece tuttora previsto dalle elezioni europee.
(Se avessero tentato di cancellarlo anche lì, i cittadini europei avrebbero
certamente disertato le urne) e la UE non esisterebbe più.
Alla prova dei fatti, l’idea quindi che le
preferenze fossero manipolabili non ha condizionato la legge per l’elezione del
Parlamento europeo, né ha provocato le tremende conseguenze prefigurate dai
sostenitori delle liste bloccate.
È chiaro ormai che il motivo della disaffezione
crescente al voto è determinato dalla chiara percezione, da parte dei
cittadini, della propria ininfluenza nella scelta dei deputati e dei senatori (ormai
diventati una vera casta che in gran parte si autoriproduce).
Una disaffezione dovuta anche al disgusto per la
presenza, in Parlamento e in Senato, di pregiudicati e inquisiti per reati
amministrativi gravissimi; allo spettacolo delle auto assoluzioni, alla lontananza
dai problemi reali del Paese e alla sostanziale omogeneità degli
schieramenti contrapposti, ormai da tempo profondamente infiltrati e
corrotti da una ideologia ordoliberista che sta demolendo lo Stato e il
welfare, delegando il potere politico al mercato e alle banche.
Come cantava il duca di Mantova “questa o quella
per me pari sono”.
Le motivazioni che Meloni adduce per giustificare
la sua proposta sono le continue crisi di governo che si susseguirono nella
cosiddetta prima repubblica. È vero ma quei governi che si susseguivano
seguendo comunque una ispirazione politica univoca, realizzarono il grande
miracolo economico e sociale di una Italia contadina che in pochissimo tempo
divenne la seconda realtà manufatturiera Europea.
Un notevole impulso alla modernizzazione e alla trasformazione democratica del paese fu dato dalla presenza di un forte partito comunista e del partito socialista nonché la presenza di un forte movimento sindacale. La presenza di queste forze politiche smorzò sul nascere tentativi autoritari, colpi di stato e iniziative anti operaie e gettò le basi per quello che nel 1969 fu chiamato l'autunno caldo.
Furono anni di grande progresso in cui la vita e l’economia del nostro paese migliorò a vista d’occhio. Quei governi diedero vita all’ENI (ente di stato), che consentì all’Italia una autonomia economica nel campo dell’energia, fino ad allora governata dalle “Sette sorelle” cioè da un pool di corporation inglesi, francesi e americane. Costruì meravigliose autostrade in un paese in cui la dorsale appenninica creava notevoli difficoltà alla loro realizzazione; favorì la motorizzazione civile, nazionalizzò l’energia elettrica, portando la corrente in tanti comuni dove i privati non l’avrebbero mai portata, abbassando le tariffe e uniformando in meglio il servizio nazionale. Adesso, più di settecento gestori di un servizio riprivatizzato criminalmente dai governi liberisti costituiscono il dramma di milioni di famiglie abbandonate alla babele e al caos della liberalizzazione.
Tirò fuori dal medioevo paternalista la società
civile, rinnovando il diritto di famiglia, istituendo il divorzio e il diritto
della donna alla maternità e alla interruzione di gravidanza e dando alle donne
accesso definitivo alla scolarizzazione e al lavoro. Promulgò lo statuto dei
lavoratori e istituì il Servizio Sanitario Nazionale, tra i più ammirati del
mondo, determinando un allungamento della speranza di vita e migliorando
notevolmente la salute dei cittadini Italiani.
Quali critiche insulse può fare oggi Meloni a una
classe politica e un sistema istituzionale che hanno modernizzato l’Italia
rendendola un paese europeo a tutti gli effetti? Forse il suo desiderio di
potere incontrollato la porta a immaginare una Italia rifascistizzata nella
sostanza, una democratura che ha per modello l’Ungheria di Orban?
È necessario ripartire dal diritto dei cittadini
di scegliersi i propri parlamentari, di interrompere il ciclo, inaugurato
dalla cosiddetta seconda repubblica, che ha portato il paese alla
dipendenza della finanza internazionale attraverso un debito pubblico spaventoso.
Esso fu creato ad arte nel 1981 da carlo Azeglio Ciampi,
Governatore della banca d’Italia, e Beniamino Andreatta, ministro del tesoro
dei governi di Arnaldo Forlani e Giovanni Spadolini. L’operazione semplicissima
fu quella di togliere l’obbligo, della Banca d’Italia di acquistare i
titoli di stato invenduti durante le aste annuali.
Da allora i governi successivi dovettero cercare
nel mercato i compratori dei titoli invenduti, sottostando a esosi interessi
crescenti che hanno determinato la attuale situazione debitoria ormai non più controllabile.
Grazie a quella manovra adesso siamo in un circuito che non ha sbocchi e
che fa aumentare ogni anno di più gli interessi che ci vengono estorti dagli
strozzini internazionali
Cosa sta facendo Meloni rispetto a ciò se non
adeguarsi alle nuove regole europee che, in nome del debito, ordinano tagli
alle pensioni, tagli alla sanità e al welfare, tagli a tutta la spesa pubblica,
cioè una paralisi totale delle funzioni dello stato, indebolito dal blocco del
turn over imposto anche esso dall’Europa.
Siamo molto lontani dall’epoca di quei governi a
vita breve che seppero lanciare in avanti l’Italia nel mondo e diedero lavoro e
benessere a intere generazioni. Adesso, grazie alla economia di mercato, il
paese languisce e Meloni non vede altro che sé stessa regnante su un cumulo di
immondizie.
Giovanni Fazio
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