RISPONDIAMO:
“ABBIAMO GIA’ DATO”
Il 25 ottobre c.a. la testata on line VVOX
pubblica un’intervista a Rino Mastrotto, noto imprenditore della concia, presidente
dell’omonimo gruppo conciario di Trissino (uno dei più grossi d’Italia),
vicepresidente dell’Unione Nazionale Industria Conciaria (UNIC) e presidente
della sezione concia di Confindustria Vicenza.
Il fatturato del Rino Mastrotto Group, è di
oltre 300 milioni di euro.
Ci
troviamo pertanto di fronte ad un milionario che vanta stabilimenti in Brasile
e in Svezia, oltre a quelli del Veneto e che è in procinto di aprirne uno in
Toscana a Santa Croce sull’Arno. Il suo cruccio è, da sempre, il “trattamento
dei fanghi” prodotti dall’attività del distretto concia di Arzignano: 8.550
addetti, 455 imprese e una produzione di 2.825,5 milioni di euro (dati di fine
2018).
Non
solo la parola “inceneritore” è bandita dal lessico dei giornali e delle TV
locali, sempre attente a non dispiacere ai signori della concia, ma anche altri
sinonimi come “gassificatore” o “termovalorizzatore” sono parole da non
pronunciare e non scrivere mai, se non si vuole toccare il nervo scoperto dei
cittadini che a più riprese si sono opposti a ulteriori pratiche inquinanti.
Già
adesso gli abitanti di Arzignano e dintorni soffrono per essere uno dei comuni in
cui l’acqua del rubinetto contiene dai 26 ai 90 nanogrammi di PFOA, a seconda
della stagione e delle piogge che provocano l’innalzamento della falda, e di
non poter contare né sulla installazione di filtri a carboni attivi, come è
stato fatto per altri comuni inquinati né, tanto meno sulla progettazione di
nuovi acquedotti.
La
parola impronunciabile è sempre nel cuore dei big fin dal lontano 1986 quando
l’allora sindaco Severino Trevisan aveva approntato un progetto per incenerire
circa 569 tonnellate di fanghi al giorno.
Allora
si costituì immediatamente un comitato che raccolse in poco tempo più di 10.000
firme e costrinse sindaco e conciari ad archiviare il progetto.
Malgrado ciò, periodicamente, c’è
qualcuno che ci riprova.
Recentemente l’AD di Acque del Chiampo, la società che
gestisce l’acquedotto e i depuratori di Arzignano e Montebello, è tornato all’attacco
proponendo un inceneritore da 50.000 tonnellate annue (i due depuratori,
insieme non ne producono più di 36.000) ma, onde evitare la sollevazione generale
degli abitanti della zona, insieme ai sindaci che hanno aderito al progetto, ha incluso tra le condizioni inviolabili del
nuovo impianto la clausola secondo cui la struttura dovrebbe essere
costruita al di fuori del territorio dei comuni facenti parte del bacino.
È in particolare questa clausola che fa arrabbiare Rino Mastrotto:
Presentazione del progetto del nuovo inceneritore a Montecchio M. |
È in particolare questa clausola che fa arrabbiare Rino Mastrotto:
“… il progetto arriva in ritardo.
Il bando è una messa in scena, l’ennesima. Io non ci credo.
Avrebbero dovuto farlo prima ... ma nessuno ha voluto prendersi la
responsabilità. Il Comune di Arzignano ha avuto paura perché quando
era tutto pronto (durante il doppio mandato di Giorgio Gentilin n.d.r.) si sono
resi conto che politicamente avrebbero potuto perdere consensi … Acque del
Chiampo e Medio Chiampo hanno scelto di non realizzare l’impianto
trattamento fanghi nell’area del distretto locale. … È da anni che dico: prima
di tutto deve nascere un progetto che rispetta l’ambiente, poi si costruirà
dove va fatto.”
Più volte Mastrotto, ripete di essere per il rispetto dell’ambiente ma la sua richiesta di costruire un inceneritore è già di per sé una smentita del suo preteso ambientalismo e quella di costruirla “dove va fatto” cioè accanto al depuratore di Arzignano, non brilla certo di rispetto per l’impatto ambientale che tale struttura avrebbe per i circa 60.000 cittadini che abitano nella zona.
Il giorno dopo, a sostegno delle tesi dell’imprenditore
conciario, arriva su VVOX la risposta di Stefano Fracasso, ex sindaco di
Arzignano e attuale capo gruppo consiliare del PD in Regione:
“…. Mastrotto
ha certamente centrato le prospettive del comparto e la sua esperienza imprenditoriale
è testimonianza di capacità di lettura delle dinamiche del mercato. Ha centrato
pure l’accusa alla politica di inconcludenza e paura nell’affrontare la soluzione
al trattamento dei fanghi di depurazione…
E il bando per costruire un impianto di
trattamento ovunque, ad eccezione di dove quei fanghi si producono è l’epilogo
dell’ipocrisia. Ci si vuol tenere i soldi e l’occupazione della concia ma non i
necessari interventi di sostenibilità ambientale ed economica. …
…. non avevo mai pensato che la soluzione fosse
esternalizzare, che il motto fosse “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”.
Se una soluzione è ambientalmente sostenibile
fuori dal distretto perché non lo può essere nel distretto? E dove se non nel distretto una soluzione può essere
capita e socialmente accettata se non dove la ricchezza che la concia genera si
distribuisce? Sorprende
pure il silenzio degli attuali sindaci della valle del Chiampo, nessuno che si senta
in dovere di affrontare a viso aperto la questione.
Non si vive di solo facebook, ci vuole anche
lavoro, reddito, investimenti, sostenibilità; nei comuni se ne discute?
Ci attendono altri dieci anni di in-decisioni? Non credo che l’economia e
l’ambiente della valle se lo possano permettere.”
È la
logica seguita da sempre da tutte le aziende della zona, a partire dalla Miteni
che ha seppellito tonnellate di rifiuti e sversato tonnellate di reflui, “là
dove quei fanghi si producono” con il bel risultato che tutti conosciamo, dal
momento che sversare reflui e fanghi nell’alta pianura veneta significa
inquinare la più grande falda acquifera d’Italia.
È la
stessa logica praticata da più di cinquant’anni dai conciari arzignanesi che
hanno riempito abusivamente tutte le cave di ghiaia dei dintorni “dove la
ricchezza che la concia genera si distribuisce”, lasciando per anni che
i percolati raggiungessero la falda sottostante e successivamente costruendo
ben nove discariche tutte attorno al depuratore, senza alcuna considerazione
dell’impatto ambientale che tale mole di rifiuti conciari rappresenta per la
falda acquifera sottostante.
Si tratta di una bomba ad orologeria, costituita da milioni di tonnellate di rifiuti conciari, separati dalla falda, a volte affiorante, solo da un sottile telo di plastica e una spolverata di argilla, inadeguata a sostenere cotanto peso.
Si tratta di una bomba ad orologeria, costituita da milioni di tonnellate di rifiuti conciari, separati dalla falda, a volte affiorante, solo da un sottile telo di plastica e una spolverata di argilla, inadeguata a sostenere cotanto peso.
Forse la
vera ipocrisia è stata quella di ritenere che questo fosse il luogo più
idoneo per interrare rifiuti conciari, così come Miteni pensava che
il più idoneo fosse quello di Trissino.
L’idea di Fracasso è davvero originale
sotto il profilo ambientale poiché, da che mondo è mondo, la localizzazione per
gli impianti di trattamento rifiuti dovrebbe essere individuata dopo una
accurata analisi idrogeologica del territorio, delle risorse acquifere che
potrebbero essere compromesse, dei centri abitati adiacenti, dell’orografia, della
logistica, delle correnti atmosferiche e delle colture della zona. Si chiama analisi
dell’impatto ambientale che dovrebbe essere effettuata da specifiche commissioni
di esperti che, fino ad oggi, se ne sono sempre fregati.
A parte il fatto che anche Fracasso
adotta anche lui il neologismo “trattamento fanghi” per indicare il termine “inceneritore”,
in linea con il lessico prudente degli inquinatori di sempre, tutte le
condizioni per considerare l’area alle porte della città come idonea all’impianto
di incenerimento, mancano.
A parte il fatto che l’uso di
bruciare i rifiuti è considerato molto dannoso per le comunità adiacenti
agli inceneritori (vedi studio SENTIERI e molti altri), a parte il fatto che la
UE sta per bandire definitivamente tale tecnica, per vari motivi, non ultimo
quello del riscaldamento terrestre, bruciare i fanghi è anche molto dispendioso
e l’energia che se ne potrebbe ricavare è troppo poca perché il gioco valga la
candela. Naturalmente a ciò sopperisce il lauto finanziamento che queste
strutture ricevono dallo stato, attraverso “incentivi verdi”. Si tratta
pertanto di un ottimo affare per costruttori e gestori privati degli
impianti, ancora una volta totalmente a spese nostre:
“E
dove se non nel distretto una soluzione può essere capita e socialmente
accettata se non dove la ricchezza che la concia genera si distribuisce?”
E
già noi cittadini inquinati, le migliaia di persone ammalatesi e decedute per
tumori e patologie derivate dalle sostanze tossiche sparse sui terreni, nell’acqua
e nell’aria, siamo degli ingrati e dovremmo ringraziare i nostri benefattori e
coloro che come Fracasso li incensano in nome del nuovo dogma sulla nuova
sostenibilità ambientale legata al campanile.
Riporta dati ancora più sconfortanti di quelli registrati a Vicenza
e Schio e minacciosi perché le tabelle ricavate dalle centraline mobili, ci
informano che polveri sottili e toluene sforano bellamente le norme di
sicurezza europee.
La
cosa più grave è che tali misure sono state effettuate in Via Mazzini e in via
Cazzavillan. Cioè sono misure che si riferiscono ad un’area urbana adiacente
alla scuola primaria (elementare)Fogazzaro.
Altri
veleni repertati non superano la soglia prevista ma sono abbondantemente presenti, come l’ozono,
il benzo(a)pirene, il monossido di carbonio che risulta con valori meno
alti perché misurato da una centralina posta molto in alto, attaccata al palo
della luce. Il monossido di carbonio infatti è un gas pesante che in assenza di
venti o di spazi aperti, permane nel luogo dove è stato emesso dagli
scappamenti delle auto per 24 giorni circa. Pertanto, l’ultimo tratto di via
Mazzini, è detto “La valle della morte” in considerazione della strettezza
della strada e dell’altezza delle abitazioni. È superfluo elencare le patologie
che provoca una miscela di inquinanti come quella rilevata da Arpav per il 2018
nella città delle pelli.
A
questa miscela di tossici prodotti dal traffico automobilistico che rastrella
la città dalle due alle quattro volte al giorno, si aggiungono le emissioni del
distretto della concia.
A
chi si sbraccia per costruire una nuova fonte inquinante in loco diciamo: “Grazie,
siamo già a posto”. Fa specie che un miliardario non si sia ancora stancato di
accumulare quattrini, proponendo simili impianti e che il portavoce regionale
del PD gli faccia da stampella.
Non siamo indifferenti ai problemi sollevati dai produttori di pelli, e anche dal trasporto dei fanghi verso lo smaltimento, tuttavia riteniamo che il problema non si risolve dalla coda, cioè dai rifiuti, ma dalla testa e cioè attraverso un radicale cambiamento di materie prime e tecnologie usate, dalla raccolta differenziata (circa metà dei fanghi potrebbero diventare materia seconda), ma anche da una analisi dei costi-benefici che la produzione delle pelli rappresenta per l’intera zona, dallo studio dei problemi ancora insoluti dell’avvelenamento massiccio delle acque (anche da parte delle PFAS, presenti nei reflui industriali. Ne sanno qualcosa cittadini, allevatori e agricoltori a valle dello sbocco del dotto A.Ri.C.A.).
A
chi si facesse incantare dallo pseudo ecologismo campanilistico dei due, ricordiamo che, da sempre, ci siamo battutti contro la costruzione degli inceneritori, sia ad Arzignano che altrove, ci siamo battuti per salvaguardare l’aria e la
salute degli Arzignanesi, ma anche quella degli abitanti dei comuni vicini e,
soprattutto, per la salute dei bambini, prime vittime dell’inquinamento
ambientale. Il cinismo con cui tali strumenti vengono proposti come soluzione all'ingente inquinamento, prodotto dall'attuale attività della concia, è misura dell' etica che li sottintende:"Prima i schei e dopo la salute". E' questo principio barbaro e immorale che noi combattiamo in nome di tutte le persone che a causa di ciò si sono ammalate e sono morte, in nome dei nostri bambini che hanno diritto di vivere in un ambiente sano e non contaminato da diossine e cromo esavalente, in nome del diritto alla vita e all'ambiente che in questi terribili tempi di devastazione ambientale viene ogni giorno di più negato.
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