Roma 11/09/2018
A pochi anni di
distanza dall’apertura a Marghera della seconda zona in cui Monsanto e
Sicedison avevano aperto il primo impianto per la produzione di Cvm e Pvc
(materie prime per la plastica) il conte Giannino Marzotto comincia, nel
giardino della sua villa, un tempo Villa delle nobili famiglie Trissino e Da
Porto, gli esperimenti per produrre sostanze impermeabilizzanti per i tessuti
che producevano i suoi opifici di Valdagno. Siamo nel 1960, anno in cui
possiamo indicare l’inizio di questa incredibile storia che ci condurrà al più
grande disastro ambientale del Veneto.
Cito il
petrolchimico di Marghera, che si innesta su una zona industriale creata nel 1917
dall’imprenditore veneziano Giuseppe Volpi e il suo svilupparsi tumultuoso che
lo porta a diventare uno dei più importanti poli per la produzione di materie
plastiche in Europa, per descrivere un processo di industrializzazione nel
Veneto, totalmente privo di quel rispetto che meritava una terra ricca di
storia e di mirabili architetture, uniche al mondo, come la città di Venezia.
Questa triste
eredità del recente passato ha inciso il suo marchio nella storia dello
sviluppo industriale dell’intera regione.
Le classi dirigenti
che ne furono i protagonisti dimostrarono di non comprendere il nesso tra
industrializzazione e territorio, e questa incomprensione o malafede ci porta
dritti allo scempio dei nostri giorni.
La mancanza di una
visone sistemica necessaria per armonizzare, per quanto possibile, la crescita
delle industrie e delle infrastrutture con le caratteristiche ambientali,
culturali ed economiche è evidente già nelle modalità con cui nasceva Miteni .
Dopo i primi
incidenti in villa, Giannino Marzotto, agli inizi del 1967, trasferisce la sua
azienda, che nel frattempo prende il nome di Rimar, in località Colombara, a
valle del comune di Trissino, accanto al torrente. La localizzazione
dell’azienda dipende solo dal fatto che in quell’area i Marzotto avevano una
proprietà.
È questo l’atto fondativo
della attuale Miteni. Già nel 1970 la
Rimar produce 12 tonnellate di Apo-PFOA l'anno, e nel 1973 avvia altre
produzioni come i Btf-benzotrifluoruri.
Per tornare al ruolo della politica, diremo che nessun ostacolo
ebbe dalle istituzioni di allora Giannino Marzotto nella scelta della
localizzazione della sua azienda che pure insisteva in uno dei punti più
fragili del sistema idrico del Veneto occidentale, in piena zona di ricarica di
falda.
Non si tratta di
una falda qualunque ma di quella che è stata definita la seconda falda in
Europa, capiente, per dare un’idea, quanto il Lago di Garda.
Questa non è l’unica “disattenzione” da parte di chi ha governato il Veneto e lo governa tuttora. Lo stesso comportamento si manifesta anche nel silenzio relativo a quanto accade qualche tempo dopo, a pochi chilometri di distanza, cioè alla nascita, agli inizi degli anni ‘80 della zona industriale di Arzignano che in pochi anni diviene il più grande polo europeo della concia, industria estremamente inquinante.
Anche il distretto conciario arzignanese con il suo hinterland, gravita sopra la grande falda su un territorio caratterizzato da ghiaie e sabbie.
Non si si sono mai
accorti coloro che avrebbero avuto il dovere di vigilare, che nei primi anni
dello sviluppo della concia, quando ancora le fabbriche sorgevano in mezzo
all’abitato, alcuni conciatori utilizzavano vecchie cave di ghiaia abbandonate
per scaricarvi gli scarti delle loro lavorazioni.
Con gli anni ’80 però si volta pagina, si costruisce un mega depuratore e si cominciano a costruire le prime discariche tutto attorno.
Nessuno è intervenuto per impedire che su una zona di ricarica così delicata si scaricassero migliaia di tonnellate di rifiuti conciari, e non solo, che gravitano tuttora sull’acqua sottostante, separati solo da un piccolo strato di argilla e un telo di plastica.
Oggi siamo arrivati
alla nona discarica in zona, malgrado le proteste negli anni passati di
Legambiente e di alcuni abitanti del posto, miei compagni di lotta, già
deceduti da tempo per tumore.
Il denaro fluiva
copioso nelle viscere del distretto e il settore acquistava sempre maggiore
peso politico.
Ma ciò che fluiva
più copiosamente erano i reflui che uscivano dal depuratore, inondando il Rio
Acquetta di liquidi non eccessivamente potabili e non in regola con le prime
leggi di tutela ambientale che cominciavano a “disturbare” l’espansione delle
industrie.
Ne facevano le spese gli abitanti di Lonigo, a valle del
depuratore, che iniziarono una lunga stagione di proteste finché non si decise
in Regione di costruire un tubo per bypassare il territorio leoniceno.
Naturalmente l’arrivo nelle rogge dei
comuni a valle del tubo (detto A.Ri.C.A. dal consorzio che ne cura la gestione)
determinò uguali malumori costringendo i geniali gestori del liquido inquinante
a prolungare il tubone fino a Cologna Venta dove finalmente i reflui possono
gettarsi nel fiume Fratta, non prima però di essere diluiti con acque pulite
derivate, con un apposito canale di nome LEB (Lessino, Euganeo, Berico), dal
vicino Adige.
L’operazione fu salutata come definitivamente risolutiva del
problema dei reflui conciari che viaggiavano insieme ai reflui della Miteni,
provenienti dal depuratore di Trissino. (Di questa struttura trissinese si può
tranquillamente dire che sia poco più di una vasca di decantazione, certamente
sprovvista di filtri per i PFAS).
Sbocco del dotto A.Ri.C.A. nel fiume Fratta |
Qualcuno però fece notare che la diluizione dei reflui fognari
era reato.
Il problema fu
risolto ricorrendo ad una geniale modifica lessicale. Qualche mente illuminata
in Regione definì col termine di “vivificazione” l’apporto di acque pulite
provenienti dall’Adige, pertanto le procure di Vicenza e di Verona, rassicurate
dalla nuova dizione, chiusero le indagini o forse non le aprirono nemmeno.
Fatto sta che trent’anni di reflui industriali distribuiti
attraverso il Fratta – Gorzone in una delle zone più fertili del Veneto
occidentale, non contribuirono certo alla salute dei cittadini né degli esseri
viventi di questa zona. Non ne ricevettero beneficio nemmeno le colture di
vongole della laguna veneta.
Per questo motivo nel 2005 fu siglato un patto stato-regione,
con la partecipazione dei comuni interessati, dei gestori degli acquedotti e
depuratori e dei rappresentanti delle industrie, finalizzato alla definitiva
bonifica del fiume Fratta e di tutto il territorio.
Tuttavia, il piano per la bonifica del Fratta Gorzone, in dieci
anni, non riuscì a partorire nemmeno l’ombra di un progetto e si concluse, alla
scadenza prevista, (dicembre 2015) con un nulla di fatto.
Oggi, che prodotti agricoli della “zona rossa” sono risultati da
un recente monitoraggio effettuato dall’Istituto Superiore di Sanità,
totalmente inzuppati dai vari PFAS, tra cui primeggiano PFOA e PFOS, la
questione della depurazione delle acque del tubo A.Ri.C.A. diventa ineludibile,
malgrado l’ostinato silenzio della politica, sul ruolo del comparto conciario.
Infatti, nella mappa dei comuni inquinati il nome di Arzignano
non appare nemmeno, pur essendo il più vicino alla Miteni (dopo Trissino
ovviamente) ed essendo, al contempo comune inquinato e inquinante.
È arcinoto infatti che
molte industrie delle pelli usano prodotti contenenti PFAS o derivati per
impermeabilizzarle.
La politica regionale e locale è stata molto attenta a non
coinvolgere mai il distretto conciario come co-responsabile dell’inquinamento
del territorio di tre province.
Adesso arriva dall’EUROPA
il PIANO REACH, finalizzato alla individuazione nelle attività industriali
dell’uso di sostanze chimiche dannose ai lavoratori, ai cittadini e
all’ambiente.
Si tratta di un piano ambizioso con cui in
Europa si tenta di regolamentare o vietare tante sostanze chimiche responsabili
di un rapido degrado dell’ambiente e considerate pericolose per la stessa sopravvivenza
della specie umana.
La Regione Veneto
deve giocoforza aderire. Questa è l’intestazione della delibera regionale che
viene qui riportata di seguito:
“Piano
Regionale di Controllo ufficiale REACH – Anno 2018” (PRC 2018) in ambito regionale veneto attuato, nel rispetto del “Piano
Nazionale delle attività di controllo sui prodotti chimici - anno 2018” (PNC
2018), da parte delle Aziende ULSS e dell’ARPAV competenti per
territorio, attraverso un coordinamento con la Direzione Regionale Prevenzione,
Sicurezza Alimentare e Veterinaria, che fornirà, in ordine all’effettivo
svolgimento dei controlli, specifiche indicazioni operative per l’effettuazione
dell’attività di vigilanza.”
Su un’area che
conta circa 600 aziende, quale è quella del distretto conciario di Arzignano,
la Regione, in riferimento alla problematica PFAS, ha incluso nel suo piano di
controllo per l’anno 2018 due controlli REACH nella ULSS 8, da effettuarsi
secondo la metodologia REF.
Tralasciando momentaneamente le vicende del tubo A.Ri.C.A. e dell’inquinamento alimentare emerso dal monitoraggio dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità), torniamo alla mancanza di visione sistemica delle problematiche ambientali nella gestione della politica regionale e veniamo al punto in cui l’inquinamento della Miteni si incrocia con la costruzione della Superstrada Pedemontana.
Scavi per la Pedemontana |
Non parliamo in
questa sede di tutte le irregolarità, i conflitti di interesse e le discrepanze
emerse da un’opera che va a solo vantaggio di alcuni privati e a grande
svantaggio per l’erario veneto. Ma ci occupiamo dell’opera sotto due aspetti
che riguardano il tema in questione.
Stranamente
l’opera, diversamente dalla maggior parte delle opere stradali esistenti, viene
costruita “in trincea” cioè diversi metri al di sotto del livello campagna. La
motivazione data dai costruttori sarebbe di ordine paesaggistico, ma i maligni
sospettano che scavare lungo il percorso consente alla società di reperire
preziose ghiaie (materiale indispensabile alla costruzione dei sottofondi
stradali.)
Tuttavia ammessa la buona fede paesaggistica
dei costruttori, nessuno ha obiettato sul fatto che là dove le falde subiscono
in maniera più incisiva l’offensiva dell’inquinamento Miteni, una ferita
profonda del territorio e la costruzione di ancora più profonde barriere di
calcestruzzo, potrebbero sconvolgere l’attuale quadro idrografico già
fortemente compromesso con effetti imprevedibili sull’inquinamento delle falde.
Evidentemente chi
ha il compito di valutare l’impatto ambientale delle grandi opere che si progettano
in Veneto non è in grado di vedere le grandissime problematiche che una
superstrada di quel tipo determina incrociando il territorio inquinato da
Miteni, all’altezza delle ricariche di falda.
Torrente Poscola |
Ignari di tutto, i progettisti avevano previsto anche un attraversamento del torrente Poscola, direttamente inquinato da Miteni e dal depuratore di Trissino, tramite una galleria che sarebbe dovuta passare sotto il letto del torrente.
Il progetto fu poi modificato per l’insorgere
delle popolazioni locali e la evidente incompatibilità con le problematiche
emerse dall’inquinamento Miteni.
La totale ignoranza del territorio, della struttura geologica
dello stesso, degli eventi antropici che ne hanno alterato la conformazione da
parte di chi disegna autostrade soltanto sulla carta topografica, fa sì che
inopinatamente, poche centinaia di metri prima di incrociare il Poscola, in
territorio confinante tra i comuni di Arzignano e Montecchio Maggiore, gli
scavi autostradali hanno tagliato di netto una grande discarica abusiva (sembra
risalente agli anni sessanta).
I lavori della Pedemontana incrociano una mega discarica abusiva degli anni '60 |
La ditta
costruttrice, seguendo la regola del rattoppo, si è limitata a elevare dei muri
di contenimento in cemento, incastonati su profondi pali di sostegno che, tra
l’altro, potrebbero spingere più a fondo i percolati.
La scoperta della grande discarica dimenticata non ha scomposto
nessuno e tanto meno le istituzioni preposte alla tutela del territorio.
Dopo un po’ di
maretta, provocata da una consigliera comunale del M5S di Montecchio Maggiore e
dal movimento No PFAS della zona, la questione si è inspiegabilmente ma
legalmente appianata consentendo alla ditta di proseguire il suo infausto
percorso verso nuove disavventure, crolli di gallerie e manifestazioni di
cittadini e agricoltori.
Ci si chiede come mai i progettisti non avevano notato la discarica, già nota al comune di Montecchio. Ci si chiede di chi sia il compito di verificare se i lavori effettuati abbiano peggiorato la situazione delle falde sottostanti. Ci si chiede in che modo vengono rilasciate impunemente le certificazioni VIA, ammesso che siano state effettivamente rilasciate.
I contrafforti di cemento
che hanno separato il tracciato della superstrada da rifiuti e percolati, hanno
sigillato la questione. Nessuno sa quanto stia avvenendo dietro il sipario di
cemento e quanto stia succedendo sotto il fondo stradale. Tutto ciò si chiama
Veneto, la regione più cementificata d’Italia.
Contemporaneamente allo svolgersi di questi incidenti poco più
in là, a poche centinaia di metri da Miteni si costruisce un grande invaso sul
torrente Guà che proviene dai monti del Recoarese.
La ditta ha ottenuto regolare licenza per la costruzione due
vasche di laminazione il cui scopo, a detta dei commissionari e dei
costruttori, sarebbe quello di contenere eventuali piene, responsabili
dell’allagamento di una piccola frazione in prossimità di Monselice a circa
settanta chilometri di distanza.
Il fatto è che dopo le rotte del 1907 l’area delle cosiddette “rotte del Guà” era diventata una zona umida, ricca di ruscelli e di alberi entrata nella lista dei parchi Baden Powel e aveva sempre funzionato come bacino di espansione naturale durante le piene del torrente, senza danni per le frazioni limitrofe.
Il parco delle rotte del Guà prima della sua distruzione |
Di fatto le nuove escavazioni, che abbassano di ulteriori 4
metri l’intero livello dell’area precedentemente occupata dal parco, sono
realizzate in una zona in cui le risorgive emergono periodicamente sul piano
campagna che risulta una decina di metri più alto del fondo del bacino.
Chi ha autorizzato l’opera non sa niente dell’inquinamento delle
falde operato dalla adiacente fabbrica di perfluorati. Nessuno si è posto il
problema di cosa succederà a causa di questa opera insensata, realizzata a
poche centinaia di metri dalla Miteni.
Si procede a compartimenti stagni senza una minima visione di
insieme e senza nessun rispetto per un territorio martoriato da una
antropizzazione selvaggia e irrazionale.
La mano destra non sappia quello che fa la sinistra, soprattutto
se questo può danneggiare ulteriori affari.
Proprio per ciò, chi autorizza gli scarichi dell’’A.Ri.C.A. nel
Fratta – Gorzone ignora il recente monitoraggio dell’Istituto Superiore di
Sanità sui prodotti agricoli e sugli allevamenti che insistono sulla “zona
rossa”.
Risulta che in varie zone del territorio indagato sono stati
repertati allevamenti di maiali con livelli altissimi di contaminazione da
PFAS. Lo stesso vale per uova, mais e verdure. Tuttavia nessuna misura è stata
presa per impedire che tali prodotti fossero immessi nel mercato.
Eccetto che per i pesci, presenti nei fiumi e nelle rogge, che
sono risultati immangiabili per gli altissimi contenuti di PFAS delle loro
carni e per i quali è stato decretato un divieto di pesca, nessuna indagine è
stata effettuata sulla fauna locale.
In alcune zone definite arancione (comune di Creazzo), dove
alcuni privati hanno effettuato un esame chimico dei terreni agricoli, questi
sono risultati letteralmente inzuppati di PFAS. Nella stessa occasione sono
stati analizzati dei campioni di kiwi coltivati su questi terreni, con
riscontro di livelli altissimi di contaminazione. Tuttavia ciò non toglie che
questi prodotti siano finiti sui banchi del mercato.
Nel Veneto si naviga a vista.
Non è stata effettuata una mappatura completa dei pozzi privati.
Malgrado recenti delibere regionali, molto chiare in proposito,
non esiste una mappatura dei terreni. Non esiste nemmeno una mappatura di tutti
i prodotti agricoli e di allevamento. Non è previsto un controllo permanente
veterinario per i prodotti a rischio.
Al dipartimento di prevenzione si attendono i nuovi limiti
proposti dall’EFSA per la TDI e, nel frattempo, non si applica alcuna
precauzione.
I cittadini non sanno più cosa mangiare e soprattutto cosa dare da mangiare e da bere ai propri bambini.
Il sindaco di Arzignano, si rifiuta di rifornire asili e mense
scolastiche di acqua non contaminata ma mette i filtri nelle cosiddette casette
dell’acqua.
I cittadini abitanti nelle zone arancione chiedono, inascoltati,
l’estensione dei monitoraggi sanitari, attualmente riservati solo agli abitanti
della zona rossa.
Il popolo dei PFAS, stimato in 350.000 persone, ma sicuramente
molto più numeroso in considerazione di siti contaminati inesplorati e della
mancanza di informazione sulla contaminazione umana nelle altre aree inquinate,
chiede che non ci siano discriminazioni di trattamento, tra gli abitanti delle
varie zone contaminate.
Un momento dell'incontro della delegazione NO PFAS col ministro Sergio Costa |
In merito a quest’ultimo punto è necessario che parta al più
presto il nuovo patto decennale Stato-Regione per la bonifica del Fratta
Gorzone.
TRENT'ANNI DI INQUINAMENTO
TRENT'ANNI DI INQUINAMENTO
Trent’anni di inquinamento attraverso il tubo A.Ri.C.A.
impongono la fine degli sversamenti dei reflui industriali nei fiumi e nelle
rogge con la realizzazione di sistemi di depurazione industriale a circuito
chiuso nei depuratori.
È necessaria la
separazione delle fognature civili da quelle industriali, il recupero dei
fanghi derivati dal pretrattamento delle pelli (scarnificazione e pelo) che si
effettua prima della concia vera e propria, che deve avvenire con l’uso di acqua
filtrata priva di PFAS per consentirne un uso come materia seconda riccamente
proteica.
Chiedono interventi sulla linea dei prodotti usati per la
produzione conciaria, attraverso l’applicazione stretta del REACH e l’adesione
al progetto di Greenpeace “DETOX”; chiedono, anche attraverso il potenziamento
del locale istituto conciario, la promozione di una ricerca finalizzata ad una
produzione industriale compatibile con le esigenze dell’ambiente.
Le richieste dei cittadini, seppur onerose, possono essere
realizzate con enorme vantaggio non solo ambientale ma anche sanitario ed
economico per i produttori (agricoltori e allevatori) che, a valle di Miteni e
delle industrie conciarie, non possono più sostenere il danno arrecato dalla
contaminazione delle acque da parte delle industrie a monte.
Chi produce non può addossare alla comunità il costo e il
compito di risolvere i problemi ambientali da lui creati. Se una determinata
produzione non è compatibile con l’ambiente e con la salute dei cittadini va
cambiata o esclusa perché non tutto si può fare e non a tutto ci sono risposte
praticabili.
È bene che chi fino ad ora ha governato il Veneto, usando due
pesi e due misure, tenga conto del fatto che industriali, cittadini,
agricoltori, allevatori, fanno parte di una umanità in cui tutti hanno uguali
diritti e meritano uguale rispetto. Il futuro dei nostri figli è strettamente
legato a questo principio che è e deve essere alla base di ogni democrazia
compiuta.
Per l’associazione CiLLSA e il Comitato Zero PFAS Agno Chiampo
Giovanni Fazio
Ps:
A nome di CiLLSA e del Comiatato Zero
PFAS Agno Chiampo, ringraziamo la consigliera Sonia Perenzoni e il gruppo
veneto del Movimento Cinque Stelle per avere realizzato l’incontro del Ministro
Sergio Costa con tutti gli attori del Movimento No PFAS presenti nel Veneto. Si
è trattato di un confronto molto costruttivo e utile alla causa della bonifica
del nostro territorio ma anche ad un cambio di rotta che ci porti fuori dalle
sabbie mobili di una politica veneta che fino ad ora non ha voluto o non è
stata capace di bloccare gli inquinatori né di proteggere i cittadini da acque
e cibi inquinati.
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