Nel Veneto nessuno è in grado di
sapere cosa sta mangiando.
Tonnellate di prodotti agroalimentari arrivano
quotidianamente ai mercati dalle zone inquinate. Ogni giorno noi e i nostri
bambini siamo esposti ai PFAS.
Nessuno controlla.
Il nuovo "Piano regionale di sorveglianza PFA" non è sufficiente.
Non è la soluzione del problema se non è urgentemente accompagnato da un piano di prevenzione e di bonifica generale, tale da proteggere la salute e
la vita dei cittadini.
Sono passati dieci anni dalla scoperta dell’inquinamento
di mezzo Veneto, provocato da Miteni. Centinaia di migliaia di cittadini
contaminati in tutto il territorio e non solo nella “zona rossa”.
In questo post tutto quello che
i cittadini debbono sapere.
Ricomponendo
il puzzle dei dati sulla contaminazione da PFAS, raccolti su piante e animali nei
vari monitoraggi che dal 2015 in poi si
sono susseguiti, in parte totalmente cancellati per presunti errori nella
raccolta dei dati, in parte interrotti e
ripresi per varie cause, la Regione Veneto intende portare a termine l'ennesimo piano di monitoraggio sugli alimenti. Non si sa però per quali arcane ragioni, siano stati esclusi dalla
ricerca i prodotti di origine animale.
Malgrado l'incompletezza dei dati, una cosa certa è emersa da questi monioitoraggi:
i cibi sono fortemente contaminati da PFAS in una vastissima parte del territorio. Sono contaminati gli animali, le piante e i derivati, uova, latte latticini ecc.
Il caos che ha caratterizzato il comportamento
della Regione Veneto in questi lunghi anni di incertezze e di nuovi allarmi,
scientificamente confermati, si riflette su una parallela confusione delle
istituzioni europee e del parlamento Italiano.
Lo stallo della
prevenzione che ne deriva lascia indifesi ed esposti alla contaminazione i
cittadini del Veneto.
Incredibili divieti di accesso ai laboratori di analisi
per la ricerca dei pfas nel sangue, mancanza
di indagini epidemiologiche, mancata formazione degli operatori sanitari, mancata demarcazione e blindatura delle aree
inquinate per evitare la diffusione della contaminazione, mancata bonifica di
Miteni, dei fiumi e il vano tentativo di liberarsi dei PFAS bruciandoli, sono
l’espressione di una assoluta mancanza di strategia e del tentativo di mettere in
sordina il più grande evento contaminante che si sia mai registrato nella
storia del Veneto.
LA DOSE AMMISSIBILE DI VELENO (DGA)
René Truhaut, tossicologo francese (1909/1994), per molti anni direttore del laboratorio di
tossicologia della facoltà di farmacia dell’università di Parigi, è l’inventore
del metodo per definire la DGA (Dose ammissibile giornaliera) per
le sostanze tossiche presenti nei cibi e nelle bevande.
A
causa della sua grande notorietà di scienziato, il metodo da lui creato è stato
adottato pedissequamente dai laboratori di tutto il mondo anche se tale metodo
non è costruito su basi scientifiche ed è traballante anche dal punto d vista
del conflitto di interesse. Lo steso autore, dichiara pubblicamente che il
suo metodo non è stato mai pubblicato sulle riviste scientifiche.
Esso ha, di fatto, permesso l’ingresso legalizzato di agenti tossici negli alimenti, negli ambienti di lavoro e negli ambienti
biologici dei soggetti esposti.
La
richiesta di un metodo per misurare l’effetto di additivi chimici negli
alimenti proveniva dall’industria alimentare, per cui nel 1956, fu istituito da
FAO e OMS un comitato di esperti sugli additivi alimentari
(JEFCA).
Nel 1961, malgrado i limiti del metodo proposto da Truhaut, il JEFCA lo adottò ufficialmente
nella sua sesta sessione.
In che consiste il metodo Truhaut
Tecnicamente
la dose
giornaliera ammissibile di un additivo alimentare viene proposta dal produttore
in base ad esperimenti eseguiti su animali, e verificata da un ufficio
di controllo. Con la somministrazione di cibo a roditori viene anzitutto
appurato il grado massimo di tossicità. Quest'ultimo viene misurato tenendo
conto della quantità di sostanza che provoca la morte del 50% delle cavie. Tale
dose è chiamata DL (dose letale al 50%).
Si tratta
di un metodo empirico che considera il metabolismo umano uguale a quello delle
cavie ma non è dimostrato che ciò sia vero per tutte le sostanze. Inoltre non
sono considerati i danni epigenetici, cioè quelli che si scoprono nei figli di
coloro che hanno mangiato i cibi contaminati.
Infine,
non è scientificamente vero che gli effetti tossici dipendono dalla quantità
ingerita, anzi, a volte, si hanno effetti inversi, soprattutto per tossici di
piccolissime dimensioni.
Questi e
altri sono i motivi per cui il metodo di
René Truhaut non fu mai pubblicato nelle riviste scientifiche.
Nota: la DGA
è recentemente evoluta in TWI (TOLERABLE
WEEKLY INTAKE) cioè dose accettabile settimanale. Per tale ragione da ora in
poi useremo solo il termine TWI.
L’ILSI
“ILSI è una federazione globale senza scopo di lucro
impegnata a migliorare la salute pubblica e planetaria riunendo esperti
internazionali del mondo accademico, del settore pubblico, del settore privato
e di altre ONG per promuovere la ricerca scientifica basata sull’evidenza.
Scopri di più sulla nostra missione, visione e principi operativi .Scienza
collaborativa per alimenti sicuri, nutrienti e sostenibili.
ILSI
opera nel quadro dei più alti principi di integrità scientifica . I nostri
professionisti e volontari di fiducia in tutto il mondo lavorano in sinergia e
trasparenza in tutti i settori e le discipline”.
Questo è
quello che si legge nel sito della ONG.
L’ILSI è da tempo promotore e sostenitore della
dose giornaliera ammissibile.
Fondata a Washington nel 1978 da grandi aziende del ramo agroalimentare
(Coca Cola, Heinz, Kraft, General Foods, Procter e Gamble cui si sono unite
successivamente altre aziende del settore agroalimentare (Danone, Mars,
McDonalds, Kellog’s, Ajimoto, il principale produttore di Aspartame), così come
aziende del mercato dei pesticidi (Monsanto, Dow, AgroSciences, DuPont, Nemours
, Basf) e del settore dei farmaci (Pfizer, Novartis).
Ad
eccezione del settore farmaceutico, tutte queste aziende hanno prosperato
grazie all’avvento della cosiddetta “Rivoluzione Verde Agroalimentare”: producono o
utilizzano sostanze chimiche che contaminano i nostri alimenti.
L’ILSI , fino al 2006, godeva di uno statuto speciale in seno
alla OMS, poiché i suoi rappresentanti potevano partecipare
direttamente ai gruppi di lavoro creati
per stabilire le norme sanitarie internazionali.
L’agenzia delle Nazioni Unite
ha poi abrogato tale privilegio quando è chiaramente emerso il lavoro di
lobbying di questo organismo che, sotto il manto di una pseudo
indipendenza, promuoveva gli interessi dei suoi membri.
PRIMO
MOTIVO PER NON USARE LA TWI per dosare i PFAS negli alimenti.
Considerando
quanto detto sopra, il carattere empiristico, approssimativo e non scientifico
di questa misura, utile solo alle grandi lobby della trasformazione e della
produzione alimentare, riteniamo non utilizzabile questo metodo per una
corretta definizione della edibilità di una sostanza chimica.
UN
SECONDO MOTIVO PER NON USARE LA TWI per i PFAS:
La
Persistenza.
Detto questo, un secondo motivo per cui non è
scientifico utilizzare la DGA o la dose settimanale (TWI) è
dovuto al fatto che i PFAS sono molecole persistenti, cioè sostanze
pressoché indistruttibili che rimangono e si accumulano nei nostri organismi
per anni prima di esserne espulse.
Per esempio, il PFOS ha
un tempo di dimezzamento di 5 anni. Pretendere di stabilire una dose innocua, sia
pure minima, per i PFAS significa ignorare questo precipuo aspetto
delle molecole perfluoroalchiliche e ciò non fa onore all’EFSA (Autorità Europea per la Salute Alimentare)
UN
TERZO MOTIVO PER NON USARE LA TWI:
migliaia
di molecole perfluoroalchiliche
Un
terzo motivo per cui non
ha senso usare la TWI per determinare la dose minima di PFAS negli alimenti
è che di tutte le molecole PFAS, diverse migliaia fino ad ora prodotte
dall’industria chimica, solo una ventina sono state studiate e di
sole 4 è stato calcolato il TWI.
Un po’ pochino per molecole molto tossiche, scoperte nel Veneto da più di dieci anni. Procedendo di
questo passo, forse nel 2100 arriveremmo ad una mappatura delle migliaia di
molecole esistenti; nel frattempo … Di
tutte le altre migliaia non si sa niente, e soprattutto quali e in quale
quantità siano presenti negli alimenti.
In realtà
non esistono dosi innocue di PFAS: sono molecole molto tossiche, insidiose e
resistenti capaci di determinare danni notevoli già nella misura di pochi
nanogrammi (miliardesimi di grammo).
Infine,
lo IARC (International Agency for Research on Cancer) ha recentemente
classificato il PFOA “cancerogeno
di gruppo 1” “cancerogeno certo per l'uomo”.
L’ EFSA
con il suo TWI, non c’è ancora arrivata e continua a centellinarne dosi accettabili nei cibi. Pensiamo che
anche per lei sia venuta l’ora di voltare pagina. (Tra l'altro non ha ancora provveduto a rimuoverne la dose accettabile, malgrado ormai sia accertato che il PFOA è cancerogeno).
In
armonia con quanto detto da sempre in merito da ISDE (Associazione Internazionale dei Medici per
l’Ambiente), l’unico livello accettabile di pfas negli alimenti è
zero.
Partiamo
dal fatto che attualmente la casa brucia e che l’incendio dura da dieci anni senza
che nessuno si sia preso la briga di spegnerlo.
Anche un
bambino è in grado di comprendere, che prima di attivare continui studi su come
determinare la natura e l’uso di materiali ignifughi con cui si debbano
costruire le case è necessario chiamare i pompieri e spegnere l’incendio.
In parole
spicciole. Chi avrebbe dovuto immediatamente controllare i prodotti
agroalimentari provenienti dalle zone inquinate
e supposte tali non lo ha mai fatto. In tal modo, migliaia o forse
milioni di tonnellate di alimenti, sospetti di essere inquinati da PFAS e
cancerogeni, sono state immesse nel mercato e centinaia di migliaia di persone
hanno inconsapevolmente ingerito per anni alimenti contaminati da PFAS in tutto il Veneto e altrove e non
soltanto nella Zona Rossa.

Il Dipartimento
di Prevenzione Regionale è in grado di spiegarci questo comportamento o
dobbiamo ancora ascoltare la motivazione secondo cui “ancora non sappiamo se
i PFAS siano causa diretta di malattia” ripetuta come un mantra, per anni, dai responsabili regionali della
prevenzione e, a scendere, dalle ULSS del Veneto?
Da anni sono noti molti dei meccanismi con cui agiscono i PFAS
nel nostro organismo. Essi sono in grado di
generare, autonomamente moltissime malattie e tumori, a
prescindere dalle errate abitudini di vita citate sempre dai responsabili
regionali della prevenzione.
Dobbiamo anche sentirci dire che, se non sappiamo quali
PFAS e in quale quantità sono presenti negli alimenti, non siamo in grado di
verificare il rischio per i cittadini del Veneto che li mangeranno?
A noi ciò sembra un’ottima ragione per escluderli tutti. Continueremo
a comprare e mangiare mele marce fin quando chi di dovere non ci fornirà la
misura secondo la quale una mela si possa definire tale e anche marcia?
Quante donne in gravidanza e quanti bambini
sono stati contaminati dai PFAS in tutto il Veneto, e non solo nella cosiddetta
Zone Rossa?
Gli alimenti, come del resto i rifiuti dei depuratori,
viaggiano tranquillamente, direi scorrazzano, per il Veneto grazie alle
magnifiche leggi che regolano il libero mercato?
Non lo
sapremo mai, grazie anche al divieto di usare i laboratori di analisi,
per controllare il nostro sangue, imposto da chi legifera in merito nella
nostra regione.
Quanti sono i morti per ictus, infarto, tumori e altro provocati dalla presenza di queste
molecole nel sangue dei residenti in Veneto? Non lo sapremo mai perché le
indagini epidemiologiche proposte non sono mai state effettuate: chissà perché.
Tuttavia abbiamo uno studio epidemiologico effettuato
dalla Regione Veneto nel 2011, epoca ancora non sospetta, che evidenzia un
numero di ictus cerebrali quasi doppio della media regionale nella ULSS
5 (nella quale all’epoca erano inclusi alcuni territori oggi definiti Zona
Rossa). La cosa non suscitò alcun sospetto all’epoca.
È dal 2015 che la Regione risponde alla esigenza di una dieta
non inquinata da PFAS proponendo studi sulla contaminazione delle piante e
degli animali nelle zone inquinate. Studi i cui esiti, a volte, sono stati
distrutti (perché fatti male), oppure interrotti (perché c’è il Covid).
Oppure (non considerati, in attesa di ulteriori accertamenti). Così si è
tirato avanti bellamente di anno in anno cercando di fare dimenticare alla
gente quello che mangia ogni giorno, senza prendere alcun provvedimento.
Alla luce di queste considerazioni, andiamo ad esaminare il
caos e la schizofrenia che sembrano guidare le azioni della
Commissione Europea, della Regione
Veneto e del Parlamento italiano.
Cominciamo dall’acqua potabile e dal limite massimo di
PFAS fissato dalla Commissione Europea e dalla Regione Veneto che lo recepisce ( Dlgs
18/2023 ) è di 100 nanogrammi di PFAS totali per litro.
Useremo la TWI poiché è questo il parametro usato dai
legislatori.
Tale limite confligge con quello previsto dall’EFSA (Autorità Europea per la
Salute Alimentare) che fissa la TWI
quantità settimanale di PFAS che si possono assumere senza rischio a 4.4
nanogrammi per KG di peso corporeo.
Se
utilizziamo questo metodo, malgrado quanto detto sopra, possiamo prendere ad
esempio cosa accadrebbe ad un bambino del peso di kg 10 .
Secondo
la TWI otterremo una dose limite giornaliera di 6,2 nanogrammi al dì.
Tenendo presente che un litro d’acqua può contenere per legge ng.100 di PFAS per litro, per rimanere dentro i limiti
previsti dall’EFSA il bambino potrà bere in un giorno non più di 62.8 grammi di
acqua.
Come è
evidenziato da questo esempio che chiunque può eseguire sul proprio peso
corporeo, l’idea che un bambino non possa bere più di 62 grammi di acqua, legalmente
inquinata, al dì è irragionevole. Questo comunque è il dettato dell’EU e della
Regione Veneto.
È
evidente che l’errore consiste nel fatto di pensare che negli acquedotti di
tutta Europa possano scorrere, assieme all’acqua, PFAS fino a100
nanogrammi /litro.
 |
l'acqua della salute |
Quale
laboratorio scientifico o quale università ha fornito tale dose a Ursula Von
der Leyen? Non è dato saperlo ma è probabile che la dose sia stata suggerita
dalle lobby della chimica.
LA
RACCOMANDAZIONE UE DEL 24 AGOSTO 2022
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32022H1431&from=EN
L’attenzione
della EU sugli alimenti
cresce , mentre nel frattempo la Regione Veneto sonnecchia.
Il 24 agosto del 2022 viene infatti spedita a tutti gli stati
membri la raccomandazione (UE) 2022/1431 della Commissione Europea
relativa al monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche negli alimenti. Il
documento raccomanda di eseguire il monitoraggio relativo ad una ventina di
molecole PFAS e i loro sali. Ovviamente esorta i paesi membri che ne
fossero sprovvisti ad allestire rapidamente laboratori di massima precisione.
Tra le altre disposizioni gli Stati membri dovrebbero
fornire all’Autorità i dati di monitoraggio su base regolare, unitamente
alle informazioni e nel formato elettronico di comunicazione stabilito
dall’Autorità, ai fini della compilazione in un’unica banca dati.
Gli
Stati membri dovrebbero:
a) trasmettere i dati provenienti da regioni notoriamente
ad elevato inquinamento ambientale come campioni sospetti, in particolare in
relazione a pesce, selvaggina, pollame allevato all’aperto, frutta e ortaggi
coltivati all’aperto;
b) specificare il tipo di produzione, in particolare per
i prodotti di origine animale (animali selvatici, raccolti o cacciati rispetto
alla produzione non biologica o biologica; produzione all’aperto rispetto ai
metodi di produzione al chiuso) e funghi (selvatici o raccolti rispetto a
coltivati);
c) per le carni e le frattaglie di selvaggina indicare,
ove possibile, l’età degli animali;
d) per gli alimenti destinati ai lattanti e ai bambini
nella prima infanzia, indicare gli ingredienti principali (latte vaccino, semi
di soia, pesce, carne di animali terrestri, cereali, ortaggi o frutta).
Nulla
di tutto ciò è stato fatto.
IL
NUOVO REGOLAMENTO UE 2022/2388
7
DICEMBRE 2022
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32022R2388&from=EN
Il 7
dicembre del 2022 la UE invia il nuovo REGOLAMENTO
(UE) 2022/2388 DELLA COMMISSIONE che modifica il
regolamento (CE) n. 1881/2006 per quanto riguarda i tenori massimi di sostanze perfluoroalchiliche in
alcuni prodotti alimentari.
“Il
9 luglio 2020 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare («Autorità») ha
adottato un parere sul rischio per la salute umana connesso alla
presenza di sostanze perfluoroalchiliche negli alimenti (3). L’Autorità ha
concluso che il PFOS, il PFOA, il PFNA e il PFHxS
possono provocare effetti sullo sviluppo e possono avere effetti nocivi sul
colesterolo sierico, sul fegato nonché sul sistema immunitario e sul peso alla
nascita. Essa ha considerato gli effetti
sul sistema immunitario come l’effetto più critico e ha stabilito una
dose settimanale tollerabile (TWI) di gruppo di 4,4 ng/kg di
peso corporeo alla settimana per la somma di PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS, che
protegge anche dagli altri effetti di tali sostanze. Ha concluso che
l’esposizione di parti della popolazione europea a tali sostanze supera la TWI,
il che desta preoccupazione.”
A tal
uopo sono state realizzate delle tabelle, di seguito pubblicate, nelle
quali sono espressi i valori massimi di
pfas consentiti negli alimenti.
Riportiamo qui le tabelle pubblicate in Gazzetta “ L 316/40 IT Gazzetta
ufficiale dell’Unione europea 8.12.2022”
In tale regolamento sono espressi i tenori massimi in µ/kg
di peso fresco edibile relativamente
alla somma dei 4 PFAS presenti.
Notare che nelle nuove tabelle il peso dei PFAS è indicato in µ
(microgrammi), misura 1000 volte superiore al ng (nanogrammo) normalmente
usato.
La Direttiva fissa il limite massimo ammesso nei cibi (tenore) per
sole 4 molecole tra le migliaia che
possono essere presenti negli alimenti. E
autorizza limiti altissimi per alcuni di essi che esulano dalla precedente
raccomandazione della TWI.
Riportiamo le tabelle
originali:

Un uovo ,
secondo questa tabella può contenere 130 ng di PFAS. Se torniamo al nostro
bambino di 10 kg, ci domandiamo in quante parti si dovrà suddividere quest’uovo
perché rientri nella TWI del bambino che è di 6.2 nanogrammi di PFAS al giorno?
Come mai, tutti questi scienziati non capiscono che un uovo con 130 ng di PFAS
al suo interno non è assolutamente innocuo? Un Uovo! Ma non si vive di sole
uova.
Qualcuno si chiederà come mai i grandi scienziati al
servizio di Ursula, da un lato, fissano un limite massimo di assunzione
giornaliera di pfas in ng 4,4 per kg di
peso corporeo e, contemporaneamente autorizzano tenori massimi per alimenti
che superano anche di migliaia di volte, in certi casi, la TWI.
Infatti, secondo
la TWI, un adulto del peso di 70 kg non potrebbe superare, al giorno,
l’assunzione di una dose di PFAS maggiore di 44 ng (nemmeno un litro di
acqua).
Se poi
volesse assaggiare una aringa del Baltico da 150 grammi il suo organismo
potrebbe incassare, in un colpo solo, 1605 nanogrammi di PFAS.
Questi
numeri faranno felici i pescatori del baltico, ai quali saranno spalancate le
porte dei mercati di tutta Europa, ma non certo gli amanti del pesce nordico
che li mangeranno.
Siamo
chiaramente davanti ad una contraddizione palese. I massimi espressi nelle
tabelle non corrispondono ai limiti posti dall’ EFSA. In tali
condizioni non è possibile effettuare
alcuna prevenzione.
Se,
infine il nostro ipotetico uomo di 70 kg desiderasse mangiare 150 grammi di
anguilla, arricchirebbe il suo
patrimonio di PFAS di 7875 ng in un solo colpo.

Inutili
ulteriori commenti.
Tuttavia,
ci chiediamo come possano fare i cittadini del Veneto ad adeguarsi ai suddetti
valori se non sono segnalati sulla merce in vendita? Come effettuare le
TWI dei cibi se non si sa quanti PFAS ci sono nel nostro pane quotidiano?
Questo aspetto misterioso riguarda una questione ormai fantascientifica per cui
dalla Regione vengono emanate disposizioni in merito, alle ULSS affinché si
adeguino per quanto riguarda le nuove misure.
Nota bene che le
misure aggiornate sono in vigore già dal gennaio del 2023. C’è qualcuno
che se ne sia accorto?
Come si
evince dal documento, la Regione non perde tempo a recepire la nuova direttiva
Europea e il dott. Michele Brichese con la dottoressa Alessandra Luisa Amorena,
trasmettono il regolamento ai direttori dei dipartimenti di prevenzione del SIAN
(Sistema Informativo Agricolo Nazionale), SIAOA (Servizio
di Igiene degli Alimenti di Origine Animale) e SIAPZ (Servizio Igiene degli Allevamenti e delle Produzioni
Zootecniche).
Dal primo gennaio 2023 gli allevatori o i
pescatori devono, quindi, implementare
il loro “Piano di autocontrollo” provvedendo ad effettuare le analisi dei
prodotti indicati.
Non
sappiamo quanti allevatori o pescatori abbiano ottemperato alle esecuzioni
delle suddette analisi. Non sappiamo in quali laboratori le avrebbero
effettuate né se esse corrispondano nei limiti alle indicazioni europee. Non
sappiamo come abbiano fatto i cittadini del Veneto ad adeguarsi alla TWI, come
da regolamento europeo, se non sono venuti a conoscenza della quantità di PFAS,
espressa in nanogrammi, o, se volete in microgrammi, presente negli alimenti
esposti nei banconi dei mercati.
Bisognerebbe
chiedere ai signori direttori destinatari della lettera se si tratta di uno
scherzo o se veramente tutti questi produttori abbiano effettuato ed effettuano,
di volta in volta gli esami previsti e ne inseriscono i dati nel loro “Piano di
Autocontrollo”. Interessante inoltre sapere quanti controlli ufficiali, come
previsto nella lettera, siano stati fino ad ora effettuati. Non mancheremo di
inviare una richiesta di informazioni dettagliate.
Continuando
a seguire il bandolo di questa incredibile storia vediamo che la Regione tira
fuori l’asso che aveva conservato da tempo nella manica e lancia il
PIANO
REGIONALE DI SORVEGLIANZA DI PFAS NEI PRODOTTI AGROALIMENTARI DELLE
ZONE ROSSA E ARANCIONE: ALIMETI VEGETALI.
Istituto
superiore di Sanità, Istituto zooprofilattico Sperimentale delle Venezie,
Regione del Veneto.
Una vera
corazzata lanciata contro tutti i denigrator storici dell’inefficienza della
prevenzione alimentare in Veneto.
Dopo una cronistoria degli studi effettuati
sugli alimenti, che ciascuno può andarsi a leggere nel DGR n. 1676 del 29 dicembre 2023, 5. https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/pubblica/DettaglioDgr.aspx?id=520082
Si elencano i risultati delle indagini fino ad ora condotte, in
partenza, solo su PFOS e PFOA. Viene detto che esistono sicuri elementi per
considerare reale la trasmissione dei due PFAS esaminati dai prodotti
agroalimentari all’uomo. In questa prima
indagine furono ricercate solo due molecole PFOS e PFOA quindi mancano i dati
degli altri perfluoro contaminanti. Tuttavia il documento della Regione,
aggiornato al 2019 sottolinea che
“L'esposizione media cumulativa a PFOA e PFOS nelle aree non
soggette alla contaminazione è pari a 1,6
volte il TWI
per gli adulti e 1,7
volte il TWI
per i bambini.
Nei territori soggetti alla contaminazione, oggi tali valori sono stimati essere pari a 2,0 e 2,1 volte il TWI per i soggetti residenti nella zona a maggiore impatto
che consumano alimenti
locali, e aumenta a 3,8 e 5,8 volte il TWI per i residenti che in aggiunta si servono
dell'acqua dei pozzi privati a scopo potabile.”
I dati raccolti dal ISS nel 2019 confermano
pertanto l’aumento della presenza dei PFAS dovuto all’alimentazione del
doppio e del triplo dei valori soglia.
Il
documento regionale aggiunge:
“Va sottolineato
che ogni stima è affetta da incertezze e l'analisi delle incertezze
è parte integrante di una corretta e trasparente valutazione del rischio. In
proposito, corre l'obbligo di evidenziare che
gli elevati livelli espositivi e di rischio
descritti sono raggiunti
senza il contributo di PFNA e PFHxS.
E aggiunge: “Per
entrambe le molecole i risultati dello studio evidenziano l'opportunità di una
valutazione più dettagliata del contributo degli alimenti prodotti in loco
all'esposizione complessiva della popolazione. Questa appare particolarmente
importante per alimenti come le uova e i prodotti carnei.”
Malgrado, fin dal 2019
l’ISS ritenesse “particolarmente importante
la ricerca dei PFAS nelle uova e
nei prodotti carnei”, l’attuale Piano di sorveglianza di PFAS viene
effettuato solamente sui vegetali. Sono
previsti almeno 24 mesi per portarlo a termine. Quindi si saprà qualcosa solo
nel 2027 ma, per completare l’opera, ci vorrà un nuovo piano per esaminare
anche “uova e prodotti carnei” raccomandati dall’ISS fin dal 2019.
Il piano di
monitoraggio è ben strutturato sono definiti i compiti di ciascun attore, le
misure dei terreni da monitorare, dei campioni da analizzare ecc. È previsto un
formidabile data base dove ogni elemento sarà trascritto.
Tuttavia non c’è
scritto cosa accadrà se durante il monitoraggio, o dopo, se si dovessero trovare
patate o radicchi contenenti quantità di PFAS eccedenti la TWI o le misure
previste dal nuovo regolamento europeo. Che fine farebbero le patate e il
radicchio iper contaminati? Sarebbero comunque avviate al mercato o inviate ad
apposite discariche speciali
(particolarmente costose) per lo smaltimento? Lo stesso vale per i mangimi
che, se trovati con notevoli quantità di pfas dovrebbero essere inviati,
anziché ai pollai o alle stalle a specifiche discariche.
Di ciò che avverrà, in
seguito alla mega indagine conoscitiva i documenti regionali non parlano e, per
la verità nemmeno quelli europei.
Sono passati dieci anni
da quando Sara Valsecchi e Stefano Polesello, operatori del CNR scopersero i
PFAS nella provincia di Vicenza.
Giovanni Fazio