FRANCESCO SYLOS LABINI
In Italia, come in altri Paesi occidentali, la gran parte dei mezzi
di informazione è controllata da pochi gruppi editoriali che sono nelle
mani degli ultraricchi: Cairo (Corriere della Sera, La7), Agnelli
(Repubblica, La Stampa), famiglia Berlusconi (Mediaset), Caltagirone
(Il Messaggero, Il Mattino, ecc.), Angelucci (Il Giornale, Il Tempo o,
Libero , ecc.).
Il risultato di questa sovrapposizione tra potere mediatico ed
economico è il condizionamento dell’ informazione che ha comportato una perdita
di credibilità e prestigio e lettori. Dal 2013 al 2020, secondo i dati di
Accertamenti diffusione stampa (Ads), che molti considerano
sovrastimati, i quattro maggiori quotidiani italiani (Corriere della Sera, La
Repubblica, Il Sole 24 Ore e La Stampa) hanno perso tra il 44 e il 54%
delle copie. Tendenze analoghe sono riscontrate in altri Paesi occidentali: nel
Regno Unito nello stesso periodo i maggiori quotidiani hanno avuto un calo del
30%, mentre il Washington Post ha perso 77 milioni di dollari nel
2023 e metà dei lettori dal 2020.
Malgrado il crollo di copie vendute, l’interesse nell’investimento
degli ultraricchi nei mezzi d’informazione sta nella possibilità di definire
e controllare la narrazione dominante. Tuttavia, dal conflitto
d’interessi di memoria berlusconiana, che riguardava il controllo delle
vicende italiane, siamo ora passati a una situazione in cui le mosse, sono allineate
a livello sovranazionale con gli interessi geopolitici dei Paesi
occidentali. Se in Italia la narrazione è prodotta da un piccolo gruppo
di giornalisti che la sostiene e la ridefinisce nei principali quotidiani e
talk show televisivi è a livello internazionale che bisogna guardare in questa
fase di sconvolgimenti planetari.
Nei Paesi occidentali la narrazione è prodotta da tre grandi agenzie di stampa: l’American Associated Press, l’agenzia francese semi-governativa France press e l’agenzia britannica Reuters.
Queste tre agenzie diffondono la maggior parte delle notizie
internazionali che sono riprese da tutti i mass media modellando così la
narrazione a livello internazionale. Questa è la nuova frontiera della
(non) libertà d’informazione che ha dunque superato i confini nazionali e
in questa epoca di trasformazioni globali svolge un ruolo chiave per
orientare le opinioni pubbliche dei Paesi occidentali e, a quanto pare, per
trascinarle verso la guerra.
A far fronte a questo
panorama claustrofobico e inquietante ci sono, con tutte le loro
contraddizioni, i social media. Anche se l’ambiente dei social è un
calderone disordinato in cui si muovono attori di ogni tipo, è ancora
possibile costruirsi (in particolare
su YouTube) una rete di riferimenti di qualità. Tra i social TikTok,
l’unico non di proprietà dei colossi americani ma del gigante cinese Byte
Dance, ha avuto un notevole successo nei Paesi occidentali. È questo
successo che spinge a limitare e controllare TikTok con la motivazione che
agenti “nemici” potrebbero utilizzarlo per diffondere fake news in uno scenario
da guerra ibrida e per influenzare le opinioni.
Di volta in volta quando accadano risultati inaspettati alle
elezioni, come ultimamente in Romania, vengono chiamati in causa i social.
Ad esempio, da più parti è stato sostenuto che una campagna di disinformazione,
basata su fake news immesse su Facebook e Twitter, sia stata condotta dalla
Russia e abbia influenzato le elezioni presidenziali degli Stati Uniti quando
vinse Trump nel 2016. Tuttavia, uno studio pubblicato nel 2023 (le analisi
serie richiedono tempo) su Nature
(https://shorturl.at/Pxs5G) ha concluso che “non è stata trovata alcuna
prova di una relazione significativa tra l’esposizione alla campagna di
influenza russa all’estero e i cambiamenti negli atteggiamenti, nella
polarizzazione o nel comportamento di voto”.
Se in alcuni casi
particolari, come è stato mostrato da studi scientifici, le fake news si
possono diffondere velocemente sui social, in genere la diffusione
dell’informazione è molto articolata e complessa, influenzata sia dalle
dinamiche di comportamento degli individui sia dai meccanismi di funzionamento
delle piattaforme. Inoltre, mentre l’attenzione si è concentrata principalmente
sul fenomeno delle fake news sui social si è trascurato un fatto evidente: il
problema delle fake news è molto più profondo poiché coinvolge anche i
media tradizionali che plasmano la narrazione del dibattito pubblico. Oggi
si stima che almeno la metà della popolazione del mondo, ovvero 3,9 miliardi
di persone, utilizzi i social a fronte di 2,1 miliardi nel 2015. Se questa
crescita si contrappone al calo verticale dei lettori dei maggiori quotidiani
bisogna considerare un altro dato chiave: i social sono visti dalle giovani
generazioni, mentre i media tradizionali si rivolgono ormai solo ai più
anziani. Si sta venendo così a creare una spaccatura generazionale:
miliardi di persone, soprattutto di giovane età, possono avere accesso allo
stesso tipo di intrattenimento, immagini e video e i cambiamenti innescati
sono giganteschi, ancora largamente incompresi e stanno avvenendo in tempo
reale. Inoltre, nascono in continuazione nuovi social e il controllo
capillare di ognuno di questi è una chimera che solo una politica che non sa
più come contrastare l’abisso che separa la realtà dalla sua narrazione può
inseguire
BERLINO 500.000 PERSONE CONTRO LA GUERRA IN UCRAINA |
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