GOTT MIT UNS
Tu,
nella goffa divisa
di moderno soldato,
segui la rotta
tracciata dalle bombe.
Varcato il confine
dello sterminio,
avanzi nel buio
tra foglie tremanti
di limoni spezzati.
Carri di duro metallo sfondano,
portici e cortili di ibisco
e cisterne profumate d’ombra e d’acqua
cristallina,
dove disseta la sera il giovane
garzone.
Ora
uno zampillo vermiglio sgorga
sul candido sudario
della camicia.
Mandrie atterrite
scardinano le stalle.
Il fuoco divora la campagna.
Più avanti,
terribili schianti di bombe
spalancano scuole e poveri ospedali.
Tra case strette
nei vicoli dall’impossibile fuga,
danza la morte, cantando,
tra le macerie.
Spegne sommesso pianto di disperati
il rombo ottuso dei carri.
Pioggia di cristalli
taglienti
cade dal cielo.
Ovunque
Corpi aperti di donne,
di bimbi increduli,
di fanciulle in fiore.
Tu,
nella goffa divisa di soldato moderno,
avanzi nella notte,
timoroso dei colpi
di padri e di fratelli,
di figli:
peana di piombo,
imeneo di lacrime
per le ragazze morte alla vigilia delle
nozze.
Lenzuola di gelsomini coprono i bimbi
uccisi,
davanti al pianto cieco delle madri.
Corazze e cingoli di acciaio,
si aprono la strada
tra desolati abbeveratoi e giardini di
arance.
Bruciano come torce gli ulivi
centenari.
Un orizzonte invisibile di cani
lacera i confini della notte.
Dietro di te lasci solo una scia
informe di morti.
Mordechai Anielewicz,
martoriato, nelle vesti stracciate
dell’ultima lotta del ghetto,
le mani ustionate
dai colpi di un vecchio fucile,
senza più munizioni,
davanti a te s’erge.
Ora puoi riconoscere
il doloroso
trasparente sguardo dei morti.
Insieme a lui,
Itzack Zukkermann, Zivia Lubetkin,
Joseph Kaplan1.
“Qui
per morire una seconda volta,
in questa Guernica,
che brucia nella notte senza possibile
tregua.
Porto nel cuore
l’eco delle donne
violate e assassinate
a Sabra e Chatila.
Il lampo dei coltelli feroci
delle milizie maronite
aizzate dall’odio di Ariel.
Quanti bambini avete ucciso oggi a
Gaza,
e quanti a Sabra, a Chatila?
Dalla nebbia dei lager le vostre madri
vi guardano e non vi riconoscono.
Non riconoscono le divise che indossate
né l’odio che urla nei vostri cuori.
Non riconoscono
la lingua di morte che esce dalle
vostre gole esauste.
Le vostre madri,
tra le donne di Gaza,
stringono al petto
1 Sono
i nomi dei combattenti nella resistenza del ghetto di Varsavia
corpi straziati di bambini.
Soccombemmo
combattendo a mani nude
contro un esercito
di acciaio temprato con l’odio.
Terroristi e banditi
ci chiamarono,
rei di difenderci
dentro il chiuso orizzonte
disperante della storia.
Terroristi e banditi
ci chiamano ancora.
Questa, che voi dite guerra,
è un massacro.
Massacro di eserciti
che marciano su un popolo inerme.
Così sugli schermi
di asettiche azzurre TV
esibite ogni sera
la cieca coscienza del mondo!
Brucia Gaza e voi
invocate
una falsa e impossibile pace.
Guerra chiamate
gli orrendi omicidi.
Guerra il delitto e le case sventrate,
guerra chiamate questo
perenne, atroce
genocidio,
Giordano di pena,
sotto l’azzurro cielo della Palestina.”
Titta Fazio
Nel “giorno
della memoria” dedicato alle odierne vittime di genocidi che si susseguono nell’ipocrisia
di un Occidente complice e assassino. Gli Ebrei d’Italia e del mondo hanno il
dovere morale di dissociarsi dalla politica di Israele. Hanno chiuso Gaza in un
ghetto da dove non si esce e dove non si può entrare. Rubano la terra e le case
a poveri contadini. I cosiddetti coloni girano minacciosi sulla terra di
Palestina armati di fucili. I militari israeliani mirano al cuore e alla testa
per uccidere ragazzi armati di sassi.
Dedico i
miei versi ai ragazzi di Palestina, alle ragazze curde, ai migranti massacrati
sulla neve dai poliziotti croati e ai morti insepolti nel mar Mediterraneo.
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