Prodotti contenenti perfluorati scaricati nel Fratta Gorzone dai depuratori.
Detto
questo, se ne deduce che tali sostanze indistruttibili, perciò presenti in
tutto il pianeta compresi i poli, non devono essere più né create, né
commercializzate e né usate. Si tratta di misure già sollevate da alcuni paesi
del Nord Europa e molto contrastate dalle potentissime lobby della chimica, assai
influenti nei luoghi chiave delle strutture EU (Commissione, Parlamento, Consiglio
dei Ministri ecc.)
Il
Ricorso al Tar dei comitati del Veneziano apre uno spiraglio di speranza affinché
la logica, il buon senso, le ragioni della salute di centinaia di migliaia di
cittadini abbiano il sopravvento sui calcoli basati solo sul profitto e la
speculazione.
Chiedere di non bruciare diventa una
lotta comune con chi reclama di non produrre e non diffondere
nell’ambiente i reflui industriali.
Parliamo del fiume Fratta e del suo
proseguimento nel canale Gorzone che costituiscono il bacino irriguo di tre
provincie (Verona, Vicenza e Padova).
Sui
danni alla salute dei PFAS abbiamo trattato a lungo, sia sui social che negli incontri
con gli studenti della nostra regione con cui interloquiamo da tre anni.
EFFETTI
SUI PRODOTTI AGROALIMENTARI
Il problema è di grandissima rilevanza poiché la
contaminazione delle falde e delle acque superficiali, oltre a mettere fuori
gioco le risorse idriche dei nostri acquedotti, si riversa sui prodotti
agricoli e gli allevamenti.
Radicchi,
cavoli neri, fiolari, frutta, uova, latte, bistecche, pesci, molluschi, gran
parte di ciò che arriva ogni giorno al mercato sono il veicolo attraverso cui i
nostri organismi e quelli dei nostri figli accumulano i PFAS (dati pubblicati
dall’Istituto Superiore di Sanità in un monitoraggio effettuato nella “Zona
Rossa” nel 2017).
Purtroppo
nessuno si è preso la briga di indicare, fino ad ora, quali, fra le tonnellate
di prodotti in vendita siano contaminati o meno e nessuno si è preoccupato di escludere
gli alimenti inquinati prima che arrivino sui banconi dei mercati e
supermercati, motivo per cui non è nemmeno possibile effettuare alcuna
prevenzione, evitando di acquistarli e mangiarli.
Siamo di fronte a un disastro
ambientale in atto, che dura da
diversi decenni, senza che alcuno si prenda la briga di attuare rimedi efficaci
e non di facciata.
TABELLE
I punti rossi segnano più di 500 ng /litro e si trovano nell'area della concia Il Fratta Gorzone è ancora rosso prima di sboccare nel Brenta |
La tabella di ARPAV su dieci anni di sversamenti
parla da sé e le tabelle sulla presenza dei PFAS nei fiumi e nelle rogge del
bacino Fratta Gorzone, altrettanto.
Che fare? Come risolvere questo
problema angosciante?
UNA PROPOSTA COSTRUTTIVA
Una corposa risposta alle problematiche sopra
citate sta nei progetti contenuti nella sentenza del Tribunale
Superiore delle Acque (TSAP febbraio 2017) e nel Patto Stato Regione
siglato da Regione Veneto e Ministero dell’Ambiente, nonché dalle associazioni
di categoria (leggi conciari) dai sindacati, dalle autorità di bacino, ecc…
Si tratta di un percorso decennale che ha come
obiettivo la bonifica permanente del bacino del Fratta Gorzone.
Affinché qualche
buontempone non mi accusi di volere danneggiare le concerie e cancellare posti
di lavoro, preciso che quanto riportato non è una mia invenzione ma la lettura
pedissequa del Patto controfirmato da tutti, come detto sopra.
Una delle citazioni più significative è quella per
cui
“nella considerazione
della contaminazione storica che alcune aste fluviali hanno subìto, soprattutto
nella matrice dei sedimenti, da parte delle industrie conciarie”, il piano non sarà in
grado di ripristinare lo “Stato buono” del fiume Fratta ma ci si dovrà accontentare
del raggiungimento dello “stato Sufficiente entro il 2027”
Siffatta precisazione,
scritta nell’Accordo Stato Regione, dimostra quanto grave sia lo stato di
degrado prodotto dagli scarichi conciari e come sia addirittura impossibile
restaurare lo “Stato Buono”.
Siamo di fronte
ad un danno ambientale gravissimo e irreversibile, dichiaratamente
riconosciuto dagli stessi firmatari del Patto; però, allo stato
presente nessuno mette mano per rimediare (tutti i cronoprogrammi sono
bellamente saltati).
Ancora
più grave è il fatto che esso è stato redatto alla scadenza decennale del
precedente accordo, firmato nel 2005 e conclusosi con un nulla di fatto al 31
dicembre del 2015.
Tornando alle
citazioni del testo, fondamentale è quanto scritto nell’articolo 3
“Le Parti confermano e
ribadiscono che il risanamento della parte alta del bacino del Fratta-
Gorzone costituisce una delle condizioni indispensabili per
l’utilizzazione delle risorse idriche a valle.”
Stiamo
parlando di “Condizioni Indispensabili”.
Il fatto
che non si sia tentato nemmeno di mettere una prima pietra simbolica, a cinque
anni dalla seconda scadenza, dovrebbe accendere i fari delle procure,
similmente a quanto sta avvenendo a Torino in questi giorni a causa
dell’altissimo inquinamento atmosferico cui nessuno ha mai messo mano per,
almeno, attenuarlo.
I cronoprogrammi, di cui stiamo parlando, sono
stati prodotti, presumibilmente, dai tecnici di Acque del Chiampo, di A.Ri.C.A.
e dell’assessorato regionale all’ambiente.
Sono progetti di grandissima valenza ambientale e
tecnologica davanti ai quali ci leviamo tanto di cappello, programmi basati sulle
BAT (Best Available Techniques), cioè sulle migliori tecnologie
attualmente esistenti, quindi non stiamo parlando di fantascienza.
I PROGETTI
Per darvi una idea vi enumeriamo in maniera
sintetica ed estremamente semplificata, alcuni di questi progetti che
potrebbero risolvere in grandissima parte la contaminazione di fanghi e di
reflui.
“Creare un data
base dei prodotti” usati per la concia o altre lavorazioni e scartare
quelli che non possono essere trattati e distrutti; mettere dei filtri in
ingresso nell’acquedotto industriale della concia per intercettare
all’origine la presenza di PFAS (un acquedotto ripulito dai PFAS potrebbe permettere
di recuperare circa il 40% dei fanghi di risulta, ricchi di proteine,
separandoli dagli altri reflui prima che si passi alla concia vera e propria).
Raccolta differenziata
e riciclo sono
alla base delle tecnologie proposte. Trattamento in ambiente chiuso e
sigillato delle fasi in cui si adoperano Pfas o sostanze di impossibile
eliminazione; recupero e inertizzazione dei reflui e delle emissioni gassose
evitando che vadano in fognatura. Recupero del cromo e dei solfati.
Depurazione e riciclo dell’acqua, evitando di inviarla in fognatura. Ingegnerizzazione
dei depuratori, ormai obsoleti e non in grado di eliminare metalli pesanti
e altro. Separazione dei reflui civili da quelli industriali.
Sono alcune delle opere
indispensabili per il recupero di un territorio vastissimo con una
pianificazione decennale.
Riportare nei fiumi acque non contenenti inquinanti di alcun genere
avrebbe immediati effetti sui prodotti alimentari. Certamente non è così
semplice, visto il danno ricevuto in decenni dai terreni, inzuppati di residui
chimici, tuttavia si tratterebbe dell’inizio del cambiamento.
Quanto detto è solo
una breve sintesi di un corposo progetto complessivo che, con le disponibilità
economiche messe a disposizione dal Recovery Fund, troverebbe una
corretta e salvifica applicazione.
EFFETTI SUL LAVORO
Per quanto riguarda gli effetti sul lavoro di un’opera ciclopica, quale
quella che è stata controfirmata, si aprirebbe un vasto campo di lungo impiego,
non solo di operai e imprese, ma di tecnici, ingegneri, geologi, biologi,
ricercatori, agronomi, medici, informatici ecc.
Sarebbe l’inizio di una opera epocale che potrebbe segnare lo spartiacque
tra un Veneto ormai agonizzante nei propri rifiuti che non sa più come smaltire
e una realtà all’avanguardia che si proietta verso un futuro fondato sui valori
dell’ecologia circolare, del rispetto per l’ambiente, per le piante, per gli
animali e dove la salute pubblica sia messa al primo posto.
IL TRIBUNALE
I processi in corso
contro chi in passato si rese responsabile, sotto ogni profilo, di un
criminale dilagare di tossici nelle nostre acque e nei nostri corpi,
indicheranno la giusta via per perseguire e fermare chi nel presente
attua e consente ancora il perpetrarsi di un immane disastro ambientale.
IL CERCHIO SI CHIUDE
L’impegno civile di chi lotta contro gli
inceneritori si fonda adesso con quello di chi, come noi, vive nell’occhio del
ciclone dell’inquinamento massivo del territorio. Questa consapevolezza dovrà
essere la base per operare insieme verso un vero rinascimento del nostro
territorio, nell’unità e nella cooperazione. Belle parole! E resteranno tali se non cominciamo tutti a
premere perché i patti controfirmati siano rispettati. Ognuno di noi è chiamato
in causa.
Giovanni Fazio
Note:
Inseriamo i link
dell’articolo sugli inceneritori , il patto integrale Stato Regione e la
sentenza del Tribunale Superiore delle acque
Decreto sucronoprogramma A.Ri.C.A.
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