“Occorre considerare la natura privata
degli enti interessati la cui attività costituisce esercizio della libertà di
iniziativa economica riconosciuta e garantita dall’articolo 41 della
Costituzione”. Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella lettera ai
presidenti delle Camere sulla legge “Istituzione di una
Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario”.
Detto in parole più brutali: fate pure tutte le inchieste che volete, ma non vi
azzardate poi a prendere qualunque decisione che riguardi le banche o altri
enti finanziari: quelle spettano esclusivamente alla Banca d’Italia e alle
altre authority indipendenti, e “occorre evitare il rischio che il ruolo della
Commissione finisca con il sovrapporsi – quasi che si trattasse di un organismo
ad esse sopra ordinato – all’esercizio dei compiti propri” di queste authority.
Apprendiamo così che il Parlamento, ossia
l’organo dello Stato che dovrebbe esercitare la “sovranità” che “spetta al
popolo”, come stabilisce il primo articolo della Costituzione, non è “sopra
ordinato” agli organismi tecnici istituiti (con leggi del Parlamento stesso)
per controllare e regolare i vari attori del mercato (della Banca d’Italia,
caso particolare, diremo più avanti). Qui c’è materia per i costituzionalisti:
è corretta questa interpretazione del presidente della Repubblica?
Singolare anche il richiamo all’articolo
41: sembra che Mattarella voglia fermarsi alla prima riga. Perché l’articolo
così recita:
L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
E chi, se non il Parlamento, dovrebbe valutare se venga rispettato il secondo comma? Per, eventualmente, procedere ad attuare quanto espressamente previsto dal terzo comma?
L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
E chi, se non il Parlamento, dovrebbe valutare se venga rispettato il secondo comma? Per, eventualmente, procedere ad attuare quanto espressamente previsto dal terzo comma?
E c’è anche da ricordare quello che si dice
nel successivo articolo 43:
A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
Se – per assurdo – il Parlamento decidesse di nazionalizzare il sistema bancario, che indubbiamente svolge un compito “di preminente interesse generale”, non andrebbe oltre quanto previsto dalla Costituzione.
A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
Se – per assurdo – il Parlamento decidesse di nazionalizzare il sistema bancario, che indubbiamente svolge un compito “di preminente interesse generale”, non andrebbe oltre quanto previsto dalla Costituzione.
Ma anche su questo Mattarella non sembra
pensarla allo stesso modo, a giudicare da quest’altro passaggio della sua
lettera: “L’eventualità che soggetti, partecipi dell’alta funzione parlamentare
ma pur sempre portatori di interessi politici, possano, anche
involontariamente, condizionare, direttamente o indirettamente, le banche
nell’esercizio del credito, nell’erogazione di finanziamenti o di mutui e le
società per quanto riguarda le scelte di investimento si colloca decisamente al
di fuori dei criteri che ispirano le norme della Costituzione”.
Da questa frase si evince che secondo il
Mattarella-pensiero l’essere “portatori di interessi politici” sia un difetto,
anche se inevitabile. Ma il fatto è che chi siede in Parlamento è lì proprio
perché è “portatore di interessi politici”. Il presidente intende certamente
marcare una differenza tra interessi di parte e interessi generali, che sono
quelli che ogni parlamentare dovrebbe perseguire indipendentemente dalla sua
appartenenza politica, e su questo si deve ovviamente concordare. Ma lo esprime
in modo piuttosto infelice, e di certo la condizione di “portatore di interessi
politici” non può essere limitativa rispetto alle prerogative che la
Costituzione attribuisce al Parlamento.
Che Mattarella non si fidi affatto di
questa maggioranza parlamentare è evidente non da ora, e non mancano i motivi
per dargli ragione su questo atteggiamento. Questo però non significa che si
possano brandire interpretazioni discutibili della Costituzione per limitare
preventivamente ciò che il Parlamento può o non può fare.
Fra tutte le authority citate dal
presidente, la Banca d’Italia ha certamente una sua specificità. Non è più un
organismo soltanto italiano, perché fa parte del Sistema europeo delle banche
centrali al cui vertice c’è la Bce, a cui i trattati attribuiscono una completa
indipendenza dal potere politico, come nella lettera non si manca di
sottolineare: “Ricordo, tra l’altro, che né le banche centrali né, tantomeno,
la Banca centrale europea possono sollecitare o accettare istruzioni dai
governi o da qualsiasi altro organismo degli Stati membri”. Detto che quanto è
scritto nei trattati europei non è indiscutibile al pari delle tavole della
legge date a Mosè sul monte Sinai, e che quella norma è figlia di una
determinata teoria economica sulla sensatezza della quale non tutti concordano,
nei fatti c’è però poco da dire: finché le norme sono quelle bisogna
rispettarle. Se Mattarella si fosse limitato a ricordare questo principio non
si sarebbe potuto obiettare nulla. Ma il presidente si è spinto molto oltre.
Qualcuno potrebbe pensare troppo oltre.
Carlo Clericetti
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