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giovedì 26 dicembre 2024

SPARANO SUI PRESEPI

 


In Palestina gli israeliani commettono, alla luce del sole, un genocidio che fa impallidire quello di Erode. Ciò avviene con la sostanziale approvazione dell’America di Biden che, ipocritamente, finge di rimproverare Netanyahu mentre, sotto banco, gli passa soldi e armi per ammazzare altri bambini e altra gente innocente. Armi americane per distruggere ospedali, moschee, scuole, musei, intere città; per cancellare un popolo in tutte le sue espressioni vitali, culturali e spirituali.

Quando questo ipocrita lascerà la Casa bianca sarà sostituito da un altro che si appresta a completare lo sterminio.

 Quindi per la gente di Palestina sembra non esserci più alcuna speranza, come non ce n’è alcuna nemmeno per i Curdi che, dopo avere sconfitto i tagliagole dell’ISIS che intralciavano gli affari petroliferi americani in Medio Oriente, sono stati abbandonati dagli USA, soli e indifesi, sotto i bombardieri di Erdogan Pascià.

 L’Europa sta pagando un costo altissimo, col crollo dell’intera economia del continente, causato dalle sanzioni masochistiche contro la Russia. Ci furono imposte dagli americani come arma che avrebbe distrutto lo zar in poche settimane. I giornaloni già preconizzavano il tonfo ma quel tonfo lo abbiamo fatto solo noi.

  Anche la nostra presidente Meloni, insieme alla combriccola democratica dei governi europei, aderì con slancio e giuliva obbedienza alla direttiva americana, ligia al presidente USA (e getta) più che agli interessi dei cittadini italiani.

 Ma è andata oltre, programmando nuovi finanziamenti e armamenti allo squalificato Zelenskij, quando lo stesso Trump taglia i fondi all’Ucraina ormai spacciata.

 La favoletta raccontata da Stoltenberg (NATO) secondo cui uno stato morto di fame come l’Ucraina, che fino ad allora aveva esportato solo badanti in tutta Europa, poteva sconfiggere una potenza atomica con ricchezze naturali infinite è arrivata a fine corsa. 

L’obiettivo della NATO era quello di piazzare le proprie basi missilistiche al confine orientale che separa l’Ucraina dalla la Russia. 

Quello dell’Ucraina non si sa, visto l’improvviso voltafaccia con cui Zelenskij, nel febbraio del 2022, ha stracciato il trattato di Minsk, giunto a conclusione dopo anni di trattative.

Il trattato avrebbe garantito una pace duratura e utile a tutti i popoli europei, oltre che all’Ucraina. Prevedeva, tra l’altro, uno status di neutralità dell’Ucraina e una zona cuscinetto, totalmente disarmata, di duecento chilometri da ambo le parti del confine con la Russia, sotto il controllo dell’OCSE. 

L’obiettivo della Russia, infine, era quello di impedire che la Nato piazzasse i suoi missili nucleari supersonici a una distanza tale da non consentirle di neutralizzarli in caso di attacco.

In realtà, è di questo che i russi hanno veramente paura, provocata dalla continua avanzata della Nato verso i loro confini (quest’ultima è anche una ipotesi di Papa Francesco).

Quante volte ho sentito ripetere da persone, (miei amici che stimo e rispetto), la frasetta “Aggressore - aggredito” come se la storia del mondo fosse iniziata dal nulla il 24 febbraio 2022.

 Quante volte ho sentito dire che dobbiamo difenderci dalla Russia anche se, in realtà, siamo noi che inviamo armi e munizioni contro i russi mentre loro ci inviavano solo petrolio e gas a basso costo. Noi li abbiamo rifiutati sdegnosamente per comprare dagli americani lo scisto gas molto più caro e fortemente inquinante. Stiamo quindi spendendo l’ira di Dio, per costruire, nei porti italiani, rigassificatori che nessuno vuole, perché rappresentano un altissimo rischio per la popolazione (È stato calcolato che una loro eventuale esplosione creerebbe un effetto paragonabile a quello dell’atomica che ha distrutto Hiroshima. 



Gli effetti provocati dalle sanzioni economiche contro la Russia, si son riversati sulle fasce della popolazione meno fortunate sotto il profilo economico. Il rincaro vertiginoso dell’energia sta colpendo milioni di famiglie italiane che non riescono a pagare le bollette.

 Nel 2024, il numero di famiglie in povertà assoluta è aumentato rispetto agli anni precedenti, raggiungendo circa 2,2 milioni di famiglie, che corrispondono a circa 6,2 milioni di individui, pari al 10,3% della popolazione.(11 nov 2024.) 

Non stanno meglio gli operai tedeschi. Il caro energia ha colpito tutto l’asset dell’industria tedesca. Marchi automobilistici storici come quello della Volkswagen stanno chiudendo le fabbriche. In tutta Europa aumenta la disoccupazione. 

Dappertutto, manifestazioni contro la guerra e contro il genocidio in Palestina. Tuttavia i Governi europei non ne tengono conto raccogliendo “brillanti” risultati come in Francia e Germania, mentre una pericolosa instabilità politica aleggia su tutte le nazioni europee.



Lo stesso Papa Francesco è stato ripreso e chiamato “Putinista” perché da sempre condanna la strage degli innocenti in Palestina e sostiene la necessità di trattative per evitare ancora morti russi e ucraini.

Non siamo “pacifisti”. Siamo contro le guerre che infestano il pianeta e contro le motivazioni indegne che le giustificano (giornalisti proni). Non siamo ideologisti come ci definisce il primo ministro del Governo Italiano.                                                     Siamo soltanto realisti.

 Centinaia di migliaia di morti provocati dalla guerra, distruzioni immani provocate dal conflitto non sono ideologie ma fatti concreti, signora Meloni, che ci vengono vomitati dalle televisioni ogni giorno.

  Sono una donna, sono una madre, sono cristiana”. Non basta gridarlo, bisogna anche esserlo veramente.

 Paventiamo lo scoppio di una guerra nucleare che non avrebbe vincitori ma solo vinti. Siamo molto preoccupati per le nuove armi che stanno arrivando a Vicenza.

 Siamo persone concrete che si assumono la responsabilità delle proprie azioni. Sdegnati di quante volte sia stata pronunciata ipocritamente e, al calduccio, la parola “Pace”, sotto Natale ma mai accompagnata alla parola Palestina o Ucraina. Anche il Presepe sfuma in una favola ideologica se non si rapporta con la realtà di coloro che, nella Palestina vera, affamati, morti di freddo, terrorizzati dalle bombe e dalle incursioni dei soldati israeliani, stringono al cuore i propri bambini. 

Cari governanti, militari, ministri, presidenti, capi di partiti democratici e non,  guerrafondai di ogni risma, azionisti di Leonardo, provate sta sera a uscire un attimo dalle abbuffate che fate in onore di Gesù bambino  e fate un giro fuori di casa per sentire il freddo che fa. È lo stesso di quello che uccide coloro che, in terra santa, vivono sotto tende improvvisate e in mezzo alle macerie. Il vero presepe è là; non uno ma cento, mille, centomila nella stessa terra che partorì i vangeli.

Giovanni Fazio





domenica 15 dicembre 2024

ALTRO CHE SOCIAL: LE FAKE NEWS STANNO SUI GIORNALI

 


FRANCESCO SYLOS LABINI

In Italia, come in altri Paesi occidentali, la gran parte dei mezzi di informazione è controllata da pochi gruppi editoriali che sono nelle mani degli ultraricchi: Cairo (Corriere della Sera, La7), Agnelli (Repubblica, La Stampa), famiglia Berlusconi (Mediaset), Caltagirone (Il Messaggero, Il Mattino, ecc.), Angelucci (Il Giornale, Il Tempo o, Libero , ecc.).

Il risultato di questa sovrapposizione tra potere mediatico ed economico è il condizionamento dell’ informazione che ha comportato una perdita di credibilità e prestigio e lettori. Dal 2013 al 2020, secondo i dati di Accertamenti diffusione stampa (Ads), che molti considerano sovrastimati, i quattro maggiori quotidiani italiani (Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole 24 Ore e La Stampa) hanno perso tra il 44 e il 54% delle copie. Tendenze analoghe sono riscontrate in altri Paesi occidentali: nel Regno Unito nello stesso periodo i maggiori quotidiani hanno avuto un calo del 30%, mentre il Washington Post ha perso 77 milioni di dollari nel 2023 e metà dei lettori dal 2020.

Malgrado il crollo di copie vendute, l’interesse nell’investimento degli ultraricchi nei mezzi d’informazione sta nella possibilità di definire e controllare la narrazione dominante. Tuttavia, dal conflitto d’interessi di memoria berlusconiana, che riguardava il controllo delle vicende italiane, siamo ora passati a una situazione in cui le mosse, sono allineate a livello sovranazionale con gli interessi geopolitici dei Paesi occidentali. Se in Italia la narrazione è prodotta da un piccolo gruppo di giornalisti che la sostiene e la ridefinisce nei principali quotidiani e talk show televisivi è a livello internazionale che bisogna guardare in questa fase di sconvolgimenti planetari.


Nei Paesi occidentali la narrazione è prodotta da tre grandi agenzie di stampa: l’American Associated Press, l’agenzia francese semi-governativa France press e l’agenzia britannica Reuters.

Queste tre agenzie diffondono la maggior parte delle notizie internazionali che sono riprese da tutti i mass media modellando così la narrazione a livello internazionale. Questa è la nuova frontiera della (non) libertà d’informazione che ha dunque superato i confini nazionali e in questa epoca di trasformazioni globali svolge un ruolo chiave per orientare le opinioni pubbliche dei Paesi occidentali e, a quanto pare, per trascinarle verso la guerra.



 A far fronte a questo panorama claustrofobico e inquietante ci sono, con tutte le loro contraddizioni, i social media. Anche se l’ambiente dei social è un calderone disordinato in cui si muovono attori di ogni tipo, è ancora possibile costruirsi (in  particolare su YouTube) una rete di riferimenti di qualità. Tra i social TikTok, l’unico non di proprietà dei colossi americani ma del gigante cinese Byte Dance, ha avuto un notevole successo nei Paesi occidentali. È questo successo che spinge a limitare e controllare TikTok con la motivazione che agenti “nemici” potrebbero utilizzarlo per diffondere fake news in uno scenario da guerra ibrida e per influenzare le opinioni.

Di volta in volta quando accadano risultati inaspettati alle elezioni, come ultimamente in Romania, vengono chiamati in causa i social. Ad esempio, da più parti è stato sostenuto che una campagna di disinformazione, basata su fake news immesse su Facebook e Twitter, sia stata condotta dalla Russia e abbia influenzato le elezioni presidenziali degli Stati Uniti quando vinse Trump nel 2016. Tuttavia, uno studio pubblicato nel 2023 (le analisi serie richiedono tempo) su                           Nature (https://shorturl.at/Pxs5G) ha concluso che “non è stata trovata alcuna prova di una relazione significativa tra l’esposizione alla campagna di influenza russa all’estero e i cambiamenti negli atteggiamenti, nella polarizzazione o nel comportamento di voto”.

 Se in alcuni casi particolari, come è stato mostrato da studi scientifici, le fake news si possono diffondere velocemente sui social, in genere la diffusione dell’informazione è molto articolata e complessa, influenzata sia dalle dinamiche di comportamento degli individui sia dai meccanismi di funzionamento delle piattaforme. Inoltre, mentre l’attenzione si è concentrata principalmente sul fenomeno delle fake news sui social si è trascurato un fatto evidente: il problema delle fake news è molto più profondo poiché coinvolge anche i media tradizionali che plasmano la narrazione del dibattito pubblico. Oggi si stima che almeno la metà della popolazione del mondo, ovvero 3,9 miliardi di persone, utilizzi i social a fronte di 2,1 miliardi nel 2015. Se questa crescita si contrappone al calo verticale dei lettori dei maggiori quotidiani bisogna considerare un altro dato chiave: i social sono visti dalle giovani generazioni, mentre i media tradizionali si rivolgono ormai solo ai più anziani. Si sta venendo così a creare una spaccatura generazionale: miliardi di persone, soprattutto di giovane età, possono avere accesso allo stesso tipo di intrattenimento, immagini e video e i cambiamenti innescati sono giganteschi, ancora largamente incompresi e stanno avvenendo in tempo reale. Inoltre, nascono in continuazione nuovi social e il controllo capillare di ognuno di questi è una chimera che solo una politica che non sa più come contrastare l’abisso che separa la realtà dalla sua narrazione può inseguire


BERLINO  500.000 PERSONE CONTRO LA GUERRA IN UCRAINA