«Per la prima volta la società di Acque del Chiampo - dice il consigliere provinciale delegato all'ambiente, Matteo Macilotti - finanzia una serie di sperimentazioni fatte a piè di fabbrica nell'annoso tema della depurazione e del riciclo dei fanghi»
Un po’ strano che solo nel 2020 dal 1988
(anno di costruzione del depuratore di Arzignano) si inizino a fare delle
sperimentazioni sul tema del riciclo dei fanghi. Comunque, meglio tardi che
mai.
“Pronto a partire il piano sperimentale messo a punto da Acque
del Chiampo per una nuova soluzione al problema dello smaltimento dei fanghi da
conceria.
Avremo tre sperimentazioni che riguarderanno in particolare il
trattamento termico dei fanghi, quindi la loro distruzione con produzione
di energia, che verranno svolte in impianti pilota all'interno della regione ma
fuori dal territorio dei comuni soci di Acque del Chiampo”
Si parla di inceneritori e, ipocritamente, si
sottolinea che queste cosiddette sperimentazioni verranno effettuate “in regione ma fuori dai comuni soci della società Acque
del Chiampo”.
Una delle mete indicate dove si dovrebbero “termovalorizzare” i fanghi di conceria è “l’inceneritore di Venezia”. Questa precisazione fa tirare un respiro di sollievo ai nostri concittadini; sì perché dei polmoni e della vita dei bambini veneziani ce ne possiamo infischiare, visto che non abitano nei comuni serviti da Acque del Chiampo.
Altro termine ipocrita è la parola “termovalorizzatore” in
quanto è arcinoto che l’energia prodotta da siffatti impianti, costosissimi e
dispendiosi, non è sufficiente a ripagare le spese di quella usata per bruciare
i rifiuti. Pertanto non si valorizza alcunché e, senza lauti incentivi statali,
l’impresa di incenerimento sarebbe gravemente in perdita. Dunque possiamo
dire, come contribuenti che pagano le tasse e le tariffe elettriche da cui si
ricavano parte di questi incentivi, che tale “valorizzazione” viene effettuata
a spese nostre.
Proprio oggi i comitati di cittadini dell’area del veneziano stanno
presentando un ricorso al TAR del Veneto per i gravissimi rischi connessi all’attività dell’inceneritore da realizzare a Fusina per bruciare rifiuti che contengono PFAS, Cromo e altre sostanze tossiche e cancerogene. Coinvolti da questo inquinamento che dovrebbe interessare la linea 3 dell’inceneritore di Fusina (Marghera) ci sono più di 450 000 abitanti
. In America ormai si sono resi conto che i PFAS non si possono eliminare con gli inceneritori mentre l’UE sta avviando una programmazione per eliminarli del tutto entro il 2030, per cui anche Acque del Chiampo, nel suo piccolo, pur sognando l’inceneritore di Venezia, comincia a capire che l’unico modo di distruggere i rifiuti pericolosi è quello di non produrli.
Per questo si dà da fare per recuperare una
parte dei fanghi, per esempio il pelo, preziosa sostanza proteica, da
quarant’anni buttata in discarica senza motivo. Si tratta di 8.000 tonnellate
annue, come sostiene G. Z. nel Giornale di Vicenza.
Però tale operazione non si può fare senza togliere
prima i PFAS presenti nell’acquedotto industriale arzignanese.
Come da noi comunicato ai gestori regionali delle acque e all’assessore
all’Ambiente di Arzignano con una lettera dettagliata, i derivati della lavorazione del pelo conterrebbero alte quantità di PFAS presenti nell’acqua con cui verrebbero lavorati.
Per ovviare a ciò è sufficiente “l’installazione,
sui pozzi di approvvigionamento idrico autonomo aziendali, di sistemi
di abbattimento con filtri a carboni attivi, in modo tale da consentire un
bilancio ambientale positivo caratterizzato dalla depurazione dell’acqua di
falda e dall’impedire al contempo il potenziale trasferimento dell’impatto al
collettore Arica e conseguentemente ai corsi d’acqua superficiali (scadenza settembre
2017).”
Sentenza del Tribunale Speciale delle Acque settembre 2017
Non
ci sembra che Acque del Chiampo o il consorzio A.Ri.C.A. abbiano provveduto ad
effettuare questa indispensabile opera, prescritta dal TSAP per ottenere
prodotti zero PFAS al 100%. Sono passati più di 3 anni, dalla sentenza ma
ancora si pensa che l’unico modo di liberarci da queste sostanze sia il “camino”.
Nel progetto di Acque del Chiampo si
parla di “riduzione
degli impatti del processo conciario, in concerie del distretto si lavorerà per
il recupero del 40 per cento dei solfuri nelle acque di scarico, la scomparsa
del calcinaio ossidativo, il recupero del 90 % delle acque di rifinizione.”
Ottime intenzioni: ci auguriamo vadano in porto e
non siano un escamotage per portare i fanghi a Marghera.
Tuttavia
è giusto far notare ad Acque del Chiampo e ai conciari del distretto
Arzignanese che tali ed altre iniziative erano già contenute nel Patto Stato
Regione siglato da loro, oltre che dal governo Nazionale e Regionale, dai
sindacati e dai sindaci della vallata, nel 2005. Un patto decennale,
scaduto nel dicembre del 2015 senza che nemmeno una delle opere sottoscritte sia
stata almeno iniziata. Possiamo ancora fidarci?
Naturalmente, nel febbraio del 2016
è stato firmato un nuovo patto Stato Regione decennale dagli stessi firmatari
del precedente: sono passati quattro anni senza che qualcuno abbia mosso una
foglia. Il suddetto patto non rientra nemmeno nelle 500 e più opere, previste
da Zaia in questi giorni, per ottenere i finanziamenti europei previsti dal
Next generation EU. Eppure da tale patto,
che si rinnova inutilmente ogni dieci anni, dipende la bonifica dell’intera
bassa pianura veneta occidentale!
Quello che né il nuovo Patto né il Tribunale Superiore delle Acque (TSAP) prescrivono è, invece, l’ampliamento di una discarica in esaurimento, nel bel mezzo della zona industriale di Arzignano, dove lavorano e sono a rischio migliaia di persone, ad appena un chilometro di distanza in linea d’aria dal centro città.
Si tratta di un’opera altamente insalubre, costruita a suo tempo nel posto sbagliato, che penalizza un’area
industriale di eccellenza in maniera miserabile, come un water al centro di un
salotto elegante.
Il prodotto dell’ignoranza e della
sprovvedutezza di chi allora concepì una simile balordaggine non può adesso
essere ripetuto facendo crescere una innaturale sopraelevazione, tale da
mettere a rischio la salute dei lavoratori e dei cittadini arzignanesi.
Nel momento in cui in tutto il mondo si aprono
le porte ad un futuro green da noi si opera un penoso e grottesco ritorno al passato,
ennesimo fiore all’occhiello di una classe politico imprenditoriale la cui
mentalità non riesce ad evolversi nemmeno dopo la batosta del coronavirus.
Questo post, non ha intenti polemici ma costruttivi,
come è stata sempre l’attività svolta dalla associazione CiLLSA. Abbiamo
inserito di proposito dei LINK che, per chi volesse conoscere i documenti citati,
mettono a disposizione di tutti i contenuti del Patto Stato Regione e il cronoprogramma presente nella sentenza del TSAP, della lettera aigestori, con proposte importanti onde evitare l’ampliamento della discarica
9, su cui il dott. Francesco Bertola, presidente ISDE Vicenza e il sottoscritto,
abbiamo lavorato a lungo questa estate; lettera cui non è stata data alcuna risposta da
parte dei destinatari. Ci sono i LINK della prima e seconda lettera deipediatri di Venezia contro l’inceneritore e il documento dei comitati,
lo studio del professor Grandjean sul rapporto tra PFAS e COVId 19, la storia
del follout tossico dell’inceneritore dello stato di New York: una
storia interessantissima che dimostra il fallimento del Dipartimento della
Difesa americano nel tentativo di distruggere i PFAS con gli inceneritori. (Ringraziamo la professoressa Stefania Romio per la traduzione dell'inglese).
Insomma, abbiamo messo tanta legna al fuoco che ci auguriamo,
per primi, siano i tecnici di Acque del Chiampo a leggere.
Una ulteriore testimonianza, ricca di dati e di proposte, affinché i cittadini
sappiano che lavoriamo per il bene della comunità.
Giovanni Fazio
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